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I quattro angoli delle mie visioni


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Dal 1993 al '95 amavo andare in quella che all'epoca veniva chiamata "città satellite" tra Senago, Garbagnate e Solaro, indicata oggi su google come "GreenLand - città satellite", in una palazzina bassa che faceva angolo tra via del Laghetto e via Einstein, dove c'era una delle più fornite sale videogame della zona. Ricordo bene che andavo spesso alla console del mio videogame preferito in quell'epoca, Phelios, un arcade della Namco uscito nel 1989 (QUI) sperando ogni volta con il mio risibile budget utile per qualche partita di liberare la fanciulla dal cattivone di turno. Non sono mai riuscito a finirlo quel gioco, nemmeno dopo con l'ausilio di emulatori.

Ma non è di quel videogame che volevo parlare, anche se nel quadro generale del suo significato si colloca alla perfezione: ogni visione del futuro è ricca di assunti che paiono del tutto slegati ai contesti vissuti, ma poi con calma riletti nel tempo acquisiscono significati straordinariamete ricchi e capaci di rendere anche le cose più semplici, incredibili.

Così, non avere mai visto la fine del quel videogame (se non su Youtube molti anni dopo) sembra fare eco all'idea che nessuno, io compreso, può vedere la fine delle proprie intuizioni.

Quello che ci sembra al momento di vedere, non è mai il significato di quello che verrà, eppure la visione rimane precisa al punto da lasciare senza parole. Mia madre ad esempio, era solita raccontarmi che sognava da bambina, mentre subiva infinite angherie in collegio a causa delle suore, una scatola dove dentro si poteva guardare cosa succedeva ovunque nel mondo e non solo ascoltare come con la radio. Oggi potremmo dire che non era una veggente, perché lei era nata nel 1939 e la televisione era già una realtà, come oggi lo sono altre tecnologie di cui però le applicazioni sono ancora rudimentali e su piccola scala come il microchip di neuralink che permette la connessione diretta del cervello e dischiude il futuro di quell'internet delle cose ancora in corso d'opera.

Tuttavia dobbiamo rimettere la questione all'epoca e al paese a cui appartiene, quella precedente la seconda guerra, in una Italia che viveva nel regime fascista, non certo noto per difendere la libertà di stampa e amichevole verso gli inglesi che per primi testarono la trasmissione via etere delle immagini. Molti all'epoca di mia madre, avrebbero reagito come oggi altri reagiscono quando si parla di interfacce biotech o di vaccini che non servono a proteggerci dai virus ma a impiantare nanomacchine sottopelle. Cioé parlando di bufale, stupidaggini dettate dalla propaganda straniera o da sciocchi e superstiziosi che si alimentano delle argomentazioni più assurde.

Beh, presto sapremo (dati di ricerca alla mano) che per l'Uomo vedere nel tempo o nei luoghi distanti non è poi così assurdo, ma rimane un vedere confuso e fuori dagli schemi: poniamo di vivere all'età del bronzo, come avremmo sognato l'acciaio? Semplice, come una spada magica in grado di tagliare come burro il metallo e probabilmente così poi è filtrata nel tempo quell'idea, diventanto "Excalibur" la spada di Re Artù o tante altre delle nostre fiabe. Per quel che so e capisco, credo che tutto dipenda dalla partecipazione emotiva. Più la partecipazione di un evento coinvolge emotivamente, più acquista risonanza e perde spazio e tempo. Poi si può recepire come fossimo un antenna ricetrasmittente, magari tramite i sogni o le intuizioni (appunto).

Ecco, in quel periodo degli esperimenti condotti per le interfacce uomo-macchina non ne sapeva niente nessuno. Un giorno si dirà che erano già in corso fin dagli anni xy precedenti ma quello che posso testimoniare è che nessuno (come all'epoca di mia madre per la telecomunicazione) proprio nessuno negli anni '80 e poi anche '90 aveva la più vaga idea di come si sarebbe poi sviluppata l'elettronica. Per la maggioranza assoluta era poco più di una moda passeggera e di fatto la massima espressione dell'elettronica, il computer, rimaneva qualcosa per i pochi eletti che riuscivano a capirla, i mitici "giovani smanettoni" romanzati dai serial TV come "i ragazzi del computer".

Bene, in quel tempo ogni volta che attraversavo il parco nella zona verde che circondava città satellite (parcheggiavo apposta a 1 Km c.ca per poter compiere quel percorso nel verde) fantasticavo che nei videogame del futuro tra gli alberi avrei visto dei nemici (tipo quelli del Signore degli Anelli) che erano veri però solo per la mia testa, ma che interagivano con me e con l'ambiente come fossero stati veri, mescolandosi alla realtà visibile e udibile. Così gli scontri non sarebbero più accaduti dietro uno schermo video, ma nella realtà. Tutto questo mi eccitava ed ero entusiasmato all'idea che quella avrebbe potuto essere veramente l'evoluzione futura dei videogame. Nella mia idea di futuro di quell'epoca, non vedevo l'ora di sperimentare questo tipo di realtà alterata. Anche perché per me i videogame rimanevano a gettoni e senza gettoni, niente videogame, quindi credevo di andare in un posto, come con gli autoscontri e con dei gettoni ottenere una sorta di videogame entro uno spazio apposito. Questo tipo di installazioni, dai lasergame al virtuality in parte esiste già ma gli manca la caratteristica principale da me prevista: l'interazione mista tra realtà digitale e realtà sensoriale.

Ad esempio se esiste un albero vedere qualcosa che si nasconde dietro e mentre l'albero è reale quello che si nasconde è digitale, solo che nel vivere l'esperienza non c'è modo di capire la differenza. Ad esempio, se qualcuno che partecipa coglie "la creatura digitale" alle spalle, dalla sua prospettiva la stessa potrà essere ben visibile, esattamente come fosse reale. Solo che è una ricostruzione digitale e quindi con una spada magica o poteri magici (altrettanto digitali) potrà essere terminato nei modi più spettacolari. Una sola domanda: se fosse invece reale? Se per esempio decidessimo di bruciarlo vivo usando vero fuoco su un individuo vivente, cosa ci permetterebbe di capire che abbiamo commesso un omicidio? Niente. Allo stesso modo (e in un prossimo POST intendo approfondire meglio) un invasione aliena non ci permetterebbe di distinguere "il videogame" dalla realtà trasformandoci nei persecutori di noi stessi in modi del tutto nuovi.

Il problema infatti quando siamo passati alla TV è che la realtà che mia madre credeva in buona fede sarebbe stata vista nella scatola, era quella di un altro luogo riconoscibile e trasmessa in tempo reale. Oggi sappiamo che con delle immagini di repertorio si può imbastire qualsiasi notizia a prescindere dalla realtà e la TV che prometteva di espandere la nostra sensorialità, invece l'ha repressa, finendo per tradire la verità lontana e falsificare quella vicina. La banda poi delle trasmissioni è aumentata e questo processo di tradimento del vero ha iniziato ad essediare gli spazi domestici e oggi è arrivata ad assediare i corpi. Mentre viene promessa la verità fuori sempre più lontana e sempre più irraggiungibile (come la conquista di Marte e poi della Galassia chissà) in cambio viene data falsità sempre più strutturale, sempre più interiore e intima (come il microchip di neuralink).

Devo dire che non sono contro niente, men che meno posso dire tutto ciò come si concretizzerà poi nel tempo. So che Elon Musk in un intervista di Joe Rogan (QUI) stramessa in streaming 2 anni fa, descrive esattamente quello che ho previsto nei primi anni '90 quando parla dell'interfaccia futura tra cervello e macchina: parla di videogame e di come la realtà sarà indistinguibile dallo stimolo che la macchina potrà offrire al cervello.

Io aggiungo oggi un pezzetto che lascio ai vostri commenti: la macchina non ha emozioni e tanto per cominciare la voglia di libertà e indipendenza è unicamente un esigenza emotiva, quindi non mi preoccupa un futuro alla skynet dove un intelligenza artificiale arrivi a decretare la fine dell'umanità, ma il semplice effetto psicotropo che può avere la liberalizzazione totale dell'emozione dentro una prigione digitale.

C'è solo un modo per descriverla: l'Inferno dantesco. Ora, per rilassarci, potremmo anche rileggere "The Hoole Book of Kyng Arthur and of His Noble Knyghtes of The Rounde Table" meglio noto come "La morte di Artù", titolo del XV secolo, per fare i nostri calcoli non su quello che crediamo "fantasia", ma su quello che la fantasia potrebbe essere, nient'altro che visioni più o meno distorte di un tempo che impressioniamo con l'emozione, come una pellicola cinematografica.


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