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I socialisti sono reazionari


stefanodandrea
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I socialisti devono sinceramente e felicemente considerarsi reazionari

Mi vado convincendo sempre più che viviamo tempi nei quali chi è socialista è reazionario. Intendo il termine socialista nel senso generico, che esprime ciò che accomuna, con riferimento alla tradizione europea, comunisti, socialisti, socialdemocratici, cristianosociali e persino la cosiddetta destra sociale (il socialismo nazionale). Mi riferisco, dunque, al nucleo indiscutibile del socialismo, al massimo denominatore comune a tutte le dottrine socialiste

Reazionario è colui che reagisce o che intenderebbe reagire o che spera in una reazione. L’essere reazionari implica che l’organizzazione politica, sociale ed economica di una società abbia subito, nel recente passato, un grande mutamento. Quando ciò accade, c’è chi intende proseguire oltre; chi, per mero riflesso di una psicologia (il conservatore è conservatore ovunque e in ogni tempo), accetta di conservare la nuova situazione ma non desidera ulteriori mutamenti; e chi, invece, si propone di reagire e reintrodurre istituti, valori e prassi spazzati via dalle idee e dalle forze (ormai) dominanti.

Non mi sembra che abbia alcun senso continuare ad utilizzare, per l’eternità, il termine reazionario nel significato originario di sostenitore dell’ancien regime o in quello, estensivo, ma pur sempre storicamente determinato, di maschilista o di sostenitore di una legislazione antisociale o di propugnatore di una società governata dagli ottimati. Infatti, salvo rari casi, le critiche al concetto di progresso, che si vanno viepiù diffondendo, non sono portatrici di un auspicato ritorno a una società gerarchica, bensì esprimono la volontà: i) di eliminare le conseguenze più nefaste delle teorie e delle politiche economiche che hanno dominato l’ultimo ventennio; ii) di salvaguardare l’uomo europeo da uno o altro condizionamento tecnologico; iii) di eliminare o ridimensionare i non luoghi abitati dall’uomo contemporaneo; e così via. Si tratta sempre di volontà di reagire. Soltanto per convenienza – e quest’ultima è sempre maschera dell’ipocrisia – si tende ad evitare la qualifica di reazionario, che invece è implicita se per reazionario si intende colui che è contro il progresso e con quest’ultimo concetto si allude non ad un periodo secolare o addirittura a tutto il tempo che ci separa dalla Rivoluzione Francese, bensì ai caratteri (teorie, politiche, ideologie, istituti giuridici) che negli ultimi decenni ha assunto la storia delle civiltà europee (e, a rigore, non solo europee).

In particolare, il socialista moderno non vuole introdurre nell’ordinamento principi nuovi, che fondino conquiste sociali, bensì intende reintrodurre principi vecchi: reintrodurre l’equo canone; reintrodurre lo sviluppo di edilizia popolare e cooperativa; reintrodurre la stabilità del lavoro subordinato; rendere di nuovo vigente il principio secondo il quale il salario deve garantire una esistenza libera e dignitosa; rinazionalizzare e comunque collocare sotto il controllo pubblico le principali banche e alcune imprese strategiche; tutelare il lavoro autonomo eseguito per conto del grande capitale o svolto in concorrenza di quest’ultimo. Chi è socialista non vuole andare avanti; intende tornare indietro.

Peraltro, per reintrodurre gli istituti tipici del socialismo europeo e per rivitalizzare quelli ancora vigenti e che tuttavia hanno perduto vigore o rischiano di essere travolti dal cosiddetto processo di globalizzazione, non vi è altra possibilità che reintrodurre barriere alla libera circolazione delle merci, del lavoro e del capitale: dazi; divieti di importazione di taluni beni; vincoli alla esportazione dei capitali e alle delocalizzazioni; aiuti di stato; limiti all’acquisto di aziende strategiche da parte del capitale straniero; sottrazione, per quanto possibile, dell’economia reale al dominio dei mercati finanziari.

Infatti, “l’ordinamento globale”, ossia la costruzione, attraverso leggi degli stati nazionali, del “mercato globale” è intrinsecamente incompatibile con i tradizionali istituti socialistici europei: lo stato sociale è uno stato nazionale sociale (per la dimostrazione dell’assunto rinvio a Il socialismo è un carattere degli stati nazionali o non è nulla: http://www.appelloalpopolo.it/?p=1742). Orbene, anche la introduzione dei suddetti limiti al “mercato globale” sarebbe una reintroduzione. E quindi anche per questo aspetto, strumentale agli istituti del socialismo europeo (ma in realtà potenzialmente strumentale alla tutela di molti altri valori e interessi di fondamentale rilevanza e, nell’ordinamento giuridico italiano, di rango costituzionale), il socialista europeo, che sia consapevole del carattere nazionale di ogni socialismo e dunque coerente con sé stesso, è un reazionario.

So bene che moltissimi socialisti si professano progressisti e che forse addirittura la totalità dei socialisti crede di essere progressista. Ma quando il termine progressista non è riferito ad altri profili, diversi da quelli della distribuzione della ricchezza, dell’esistenza e della tutela di beni pubblici, della tutela del lavoro (subordinato ed autonomo) e del diritto dell’economia in generale, esso contrasta inesorabilmente con il fatto incontestabile che non è dato individuare un solo istituto che i socialisti vogliono introdurre ex novo e che sia sconosciuto alla nostra tradizione politico-giuridica. In particolare i socialisti sono contro la concorrenza, perché il socialismo nasce come pensiero politico contro la concorrenza; mentre tutte le politiche attuate negli ultimi decenni sono state a favore della concorrenza (cfr. Proposte per l’Alternativa: valorizzare il lavoro, non soltanto subordinato ma anche autonomo, in tutte le sue forme: http://www.appelloalpopolo.it/?p=1431 .

E’ soltanto per il fatto che gli antichi predecessori dei socialisti contemporanei (essenzialmente coloro che sono stati socialisti fino agli anni settanta) erano “progressisti”, e in quanto tali erano ostili ai conservatori e ai reazionari del tempo, che oggi i socialisti continuano a definirsi progressisti. Invece sono reazionari, perché propongono di reagire a venti anni di politiche liberiste, mercatiste e monetariste, volte a valorizzare il capitale (profitti e rendite) a discapito del lavoro, reintroducendo istituti che sono stati abrogati o modificati, nonché le condizioni (la legislazione contro la concorrenza) che rendono possibili quegli istituti. Insomma, i socialisti europei sono reazionari senza saperlo o senza volerlo confessare.

Si tratta di una questione meramente terminologica? Non credo. Scoprire e dire pubblicamente di essere reazionari sarebbe un modo per conoscere noi stessi, per riconoscerci, per unirci e per non cadere nell’abbaglio del “progresso”, il quale se forse, come reputano alcuni, era un abbaglio già prima dell’ultimo ventennio (ma personalmente credo che ci sia una grande forzatura in questa posizione e una buona dose di irrealismo), è stato certamente un abbaglio negli ultimi due decenni (ricordate “i progressisti”?), quando “progresso” ha designato il puro regresso politico, sociale, economico e antropologico. Senza chiarezza dei concetti, nessuna incisiva azione politica è pensabile e possibile.

di Stefano D’Andrea
http://www.appelloalpopolo.it/?p=2019


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Truman
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Anni fa avevo trattato argomenti simili in
Rivoluzionari di destra e conservatori di sinistra
http://trumanb.blogspot.com/2007/10/rivoluzionari-di-destra-e-conservatori.html

Può darsi che quelli che per me erano conservatori siano ormai diventati reazionari.


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dana74
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Post: 14446
 

condivido pienamente, i termini sono molto importanti perché definiscono un concetto preciso, un'idea precisa, se si sbagliano si aumenta la confusione e non aiuta.
Ci è stato inculcato dalla global elite (finanza e capitale) che il progresso in quanto tale è per forza positivo, facile quando se ne nascondono i lati devastanti, senza contare che è un concetto estremamente relativo, es venisse introdotto il salario minimo garantito per i poveracci sarebbe un "progresso", per i capitalisti una sventura, costoro infatti considerano il welfare da demolire in todo, come stanno realizzando e tali riforme infatti vengono definite progressiste.
Ma è un bene per la collettività?
Perciò progresso non è sinonimo di positivo, di bene come ci è stato inculcato e ci è stato insegnato che andare avanti è sempre un bene, qualsiasi cosa si faccia, mentre andare indietro è un abominio.
Ma se avanti ho un burrone, non conviene tornare indietro?


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Tonguessy
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Post: 2779
 

@Truman:
nelle rispettive fasi parossistiche il conservatore non butta mai la spazzatura che conserva gelosamente, mentre il rivoluzionario vive in un perenne cantiere, avendo a cuore la continua ristrutturazione della propria casa.

Stiamoci attenti a questa trappole semantiche. Senza contesto ogni astrazione diventa facile rampa per voli pindarici.

Conservare i diritti dei lavoratori fin qui acquisiti mi sembra già un atto rivoluzionario, dato il periodo storico.
Questo ossimoro spero faccia chiarezza sull'assoluta necessità di contestualizzare.


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Tetris1917
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Marchionne e' rivoluzionario. Gli operai fiat sono conservatori. Per cui, dato che a noi piacciono i rivoluzionari, siamo con Marchionne. Inoltre visto che la classe dominante, ossia gli operai, non vogliono mollare il potere, la rivoluzione sara' violenta.


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stefanodandrea
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@ Tetris1917 e Truman
Coloro che in una società vogliono un rilevante cambiamento sono o reazionari o progressisti. In mezzo stanno i conservatori che sarebbero tali ovunque (stalinisti sotto lo stalinismo, socialdemocratici nella svezia degli anni settanta, democristiani aperti al sociale nell'italia dei primi quaranta anni dopo la guerra, e così via).
Reazionario (o progressista) non è il contrario di rivoluzionario o di riformista.
Un progressista può essere rivoluzionario o riformista. Idem un reazionario. E a seconda dei contesti storici il reazionario o il progressista che siano riformisti possono essere favorevoli a riforme strutturali o a riforme migliorative (dal punto di vista dal quale essi muovono).
Il problema allora è se oggi un socialista è reazionario, un progressista o se, per paura, consapevolezza delle poche forze o convinzione che non è possibile ottenere miglioramenti è un semplice conservatore di quei diritti quesiti che ancora non sono stati abrogati o modificati.
A me sembra che chi è contrario alla linea politica seguita da entrambi gli schieramenti da venti anni e non propone una linea nuova, bensì propone di mollare l'Europa (del quale è stato ormai scoperto il vero volto), reintrodurre limiti alla circolazione del capitale e alle delocalizzazioni (limiti che prima esistevano) rendere di nuovo pubbliche o mettere sotto il controllo pubblico le principali banche e imprese strategiche (come era un tempo), rendere di nuyovo stabile il rapporto di lavoro, sia egli un rivoluzionario o un riformista o uno che crede che a causa della situazione bisogna llimitarsi a resistere, sia un reazionario. Vel la sentite di dire che è un progressista?
I comunisti russi che alla caduta dell'URSS rimasero comunisti furono immediatamente qualificati come reazionari. E lo erano, perché intendevano reagire ad un mutamento dell'assetto politico economico e sociale che stava stravolgendo il loro mondo.
Ciao


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Tetris1917
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Stefano, io cerco di rifarmi sempre a una concezione materialistica della storia; e in base alla quale, mi chiedo:<br>
a) Chi e' la classe dominante? (chi detiene il potere economico ed ideologico)?<br>
b) Chi e' la classe dominata (o proletaria)? Come vive oggi? <br>
c) Come sono i rapporti (anche di produzione) tra questi due macro blocchi?<br>
Dalle risposte di questi punti, traggo la conclusione che storicamente la classe dominante, se fa rivoluzioni (in questo caso per rafforzare il suo status) sono a sfondo conservativo. Mentre nel rapporto di contrapposizione di interessi di classe, la classe subalterna, nel cambiamento non puo' che invocare il sottrarsi allo sfruttamento. Per cui, come la vedo io, rivoluziona lo status vigente.<br><br>
Tornando a noi: Marchionne come dimostra ampiamente, non si sottrae ai compiti storici della sua classe. Mentre chi manca al suo mandato storico e' il proletariato (e gli operai). Difendere un diritto e' conservazione, ma e' stato a suo tempo frutto di una conquista, una sottrazione ai Marchionne di turno, un miglioramento di condizioni di vita e di lavoro; ma cio’ non e’ rivoluzione, in quanto tale. La rivoluzione (socialista) depone definitivamente una classe rispetto ad un’altra. E non dovrebbe porre poi piu’ il problema del conservare o del sottrarre. Scusa per la lungaggine. Ciao


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