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Il cortocircuito tra la violenza e l'islamofobia


Tao
 Tao
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Sul Secolo di domenica scorsa Massimo Cacciari invitava la politica ad affrontare le vere sfide del nostro tempo, tra le quali la necessità di «confrontarsi col mondo islamico». Un invito che arrivava contemporaneamente all'ennesimo allarme-Islam che abbiamo registrato negli ultimi giorni: da una parte il jihadismo con le minacce terroristiche e, su un altro versante, la tragedia di domenica pomeriggio a Novi Modena in cui il rifiuto di un matrimonio combinato, consuetudine culturale nelle famiglie pachistane - si veda il film di qualche anno fa East is East - è all'origine del brutale assassinio della madre intervenuta a favore di una figlia a sua volta colpita dal fratello. Si è parlato di una fotocopia del caso di Hina, la ragazza del Pakistan che viveva a Sarezzo di Brescia, uccisa dal padre nell'agosto di quattro anni fa. Questa volta a morire non è stata la figlia, la ventenne Nosheen, che - anche lei, come Hina Saleem - voleva scegliere il proprio destino e rifiutava il matrimonio combinato, ma la madre, Begm Shnez, che aveva osato prendere le sue difese, vista come una traditrice da Ahmad Khan Butt, operaio 53enne, fermato dai Carabinieri insieme al figlio di 19 anni. Fatto sta che per una consuetudine etnica e tribale pachistana è questione di onore ("izzat") anche il modo di vestire e il comportamento della figlia in vista del matrimonio. Ma per chi ha visto anche il film Sognando Beckham - che parlava di una famiglia indù e non musulmana - qui entrano decisamente in gioco fattori etnici e non religiosi. Eppure la lettura dei giornali tende a soffiare sul fuoco dell'islamofobia...

Pensiamo del resto anche ad altri segnali degli ultimi giorni che rimandano ancora al sangue, alla violenza, all'intolleranza. Nonostante il fatto, tanto per dire, che il presidente Obama ha ribadito che gli Stati Uniti non saranno mai in guerra contro l'Islam, l'amministrazione Usa si è sentita in dovere di avvertire i turisti americani che l'Europa è a rischio di attentati (anche se molti commentatori hanno rilevato la "dose di calcolo politico" di un tale appello in vista delle elezioni di mezzo termine del 2 novembre). Inevitabilmente, tutto cio comporta - ad esempio negli aeroporti - ansie, seccature e comprensibili sentimenti nei confronti del terrorismo di matrice islamica. La routine, ha spiegato su Repubblica Vittorio Zucconi, si trasforma in tensione, «vuoi per per un biberon di qualche madre, vuoi per lo spessore di certe suole nelle scarpe del passeggero, poi c'è la verifica accurata della copertura assicurativa o la compilazione di una lugubre scheda sul parente più prossimo da avvisare in caso di evento infausto...». Non è difficile immaginare come, a seguito di eventi come questi, possa determinarsi la percezione dell'Islam in una opinione pubblica tenuta ignara sulle distinzioni tra autentico Islam religioso e alcuni usi e abitudini etniche o sociali che con esso non hanno nulla a che vedere.

Ancora su la Repubblica ieri era Renzo Guolo ad ammonire e c'è un bisogno generico di interazione fra culture. Ma perché non si individuano gli strumenti per farlo concretamente? Si dovrebbe, tanto per cominciare, cominciare con l'accertare e approfondire le notizie. Non dice niente la disavventura, poi rivelatasi farlocca, dei sei algerini accusati di attentare al Papa? E così anche nel caso dell'orrore e della tragedia nella famiglia pachistana nel Modenese prima di imputare alla religione la causa scatenante andrebbero chiariti i reali contorni di cui al momento in cui scriviamo non è dato sapere. Fatto sta un un tale crimine non ha niente a che fare in quanto tale con l'Islam. E invece sollecitando la connessione tra la religione del Corano e usanze tribali di popolazioni asiatiche o africane - si pensi anche all'infibulazione - si rischia solo di presentare i musulmani tout court, come negli anni Trenta gli come un pericolo e una minaccia per le società occidentali. Eppure, tanto per dire, la condanna a morte per apostasia, blasfemia o relazioni sessuali fuori dal matrimonio non esiste in ben 57 su 59 paesi a maggioranza religiosa (e culturale) musulmana.

A contrario, la recente notizia di due video diffusi dalla Francia risulta altamente istruttiva sulla "macchina mediatica" che alimenta l'islamofobia. Nei giorni scorsi infatti il settimanale francese Le Point ospitava un servizio su temi scottanti dell'attualità d'Oltralpe, pubblicando un lungo dossier dedicato a "Immigrazione, alloggi, famiglie: tutto ciò che non si osa dire". E nel dossier figurava la testimonianza choc di una tale Bintou, 32 anni, moglie di un poligamo da cui avrebbe avuto otto figli. Il sito "Arret sur images" (testualmente: "ferma immagine") ha però rivelato, venerdi 1° ottobre, appena il settimanale è uscito in edicola, che l'articolo in realtà conteneva dei falsi grossolani. Il giornalista era infatti caduto in una trappola ordita da Abdel, un residente di Clichy sou Bois, centro nella periferia parigina. Abdel aveva infatti annullato all'ultimo momento l'appuntamento per l'intervista che lui aveva mediato e chiedeva di realizzarla per telefono. E a farla, abbiamo appreso, era stato lui stesso: con una voce in falsetto, camuffata da una pesante dizione africana e parlando male il francese, Abdel aveva risposto alle domande del giornalista e poi si è anche filmato mentre svolgeva l'intervista falsa. Ha poi spiegato detto di aver voluto dare una buona lezione ai media sulla cattiva copertura della situazione delle banlieue: «Nel nostro ambiente siamo in parecchi a essere indignati per il modo con cui si parla di Clichy sou Bois o di altre zone, non si fa che associarci alla violenza, ci hanno appiccicato una etichetta non corrispondente alla realtà». La replica di Le Point, sempre su "Arret sur images", è stato di dire che era la prima volta e che se ne dispiacevano. E il giornalista si è dovuto scusare pubblicamente per non aver incontrato nessuna famiglia poligama. Il risultato è stato un duro colpo la credibilità del settimanale (il video può essere visionato su "Le Point en flagrant délit de bidonnage")

L'altro video-rivelazione si trova invece sul sito francese di informazione "rue89.com": due ragazze passeggiano per il VII arrondissement di Parigi, dove si trovano anche le sedi di ministeri e di partiti politici. La particolarità sta nel fatto che le due giovani donne indossano un niqab (il velo che lascia scoperti gli occhi) che però è molto, molto corto. La mise delle due (non si sa se musulmane o meno) è dunque una minigonna dal nome di niqabitch. «Ci siamo domandate, come avrebbero reagito le autorità davanti a due ragazze che allo stesso tempo indossassero niqab e minigonna? Cosa avrebbero notato di più? Non c'interessava tanto attaccare l'immagine dei fondamentalisti, ma piuttosto fare riflettere i parlamentari che sono arrivati a votare questa legge che ci pare largamente anticostituzionale e inutile». Passanti e turisti sembrano divertiti e pronti a scattare le foto col telefonino: «Abbiamo dimostrato che della liberazione dal burqa non importa a nessuno se si conferma che la donna resta un oggetto».

Omar Camiletti
Fonte: http://www.secoloditalia.it/publisher/In%20Edicola/section/
5.10.2010


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