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Il Nobel


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Quali cantautori italiani meriterebbero il Nobel?

L’assegnazione a Dylan apre il dibattito sulla validità letteraria dei nostri “menestrelli”. Da De Gregori a Battiato, passando per Guccini e Conte, ecco chi, chitarra in mano, ha risvegliato la lingua di Dante
Roberto Casalini
di Roberto Casalini
Giornalista

Dice: ma il Nobel lo danno agli americani perché gli americani sono abituati a prendersi sempre tutto, noi c’avevamo De André che era dieci volte più grande di Dylan, e chi se n’è mai accorto? La polemica sul Nobel a Sua Bobbità non si placa, e assieme a quelli di via l’intruso, che ci fa questo cafone nell’orticello bio della letteratura, ci sono anche quelli che insomma, a noi mai niente, e non è giusto andiamo.

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Allora, facciamo un gioco: a quale cantautore, a quale paroliere potrebbero andare il plauso e l’alloro dell’Accademia di Stoccolma? Con una doverosa premessa: il Nobel a un paroliere di vaglia l’Italia l’ha già avuto, ed era quello a Dario Fo. Autore sublime – nel teatro, Mistero buffo a parte, era a mio modesto avviso leggermente sopravvalutato – di splendidi testi per Enzo Jannacci. Roba come L’Armando, Aveva un taxi nero, l’esilarante Sopra i vetri, Prete Liprando e il giudizio di Dio, Il primo furto non si scorda mai. Autore di “canzoni della mala”, si chiamavano così, un po’ artefatte ma suggestive per Ornella Vanoni e Milly: Sentii come la vosa la sirena, Hanno ammazzato il Mario, T’ho compraa i calsett de seda.

Dice: ma i versi di una canzone non sono poesia, la vera poesia è altra cosa. Obiezione, vostro onore: per le canzoni hanno scritto grandi poeti come Bertolt Brecht, W. H. Auden (per Benjamin Britten, avete presente La verità, vi prego, sull’amore?), Jacques Prévert (Les feuilles mortes). E musicisti importanti si sono cimentati con i poeti: Brassens con Villon, Hugo, Lamartine e Paul Fort; Leo Ferré con Baudelaire, Rimbaud, Apollinaire e Verlaine; il nostro De André con Cecco Angiolieri, Edgar Lee Masters e Alvaro Mutis, Joni Mitchell e Branduardi con Yeats.

Perché Bob Dylan non doveva vincere il Nobel per la letteratura?
I poeti e i romanzieri che hanno scritto testi di canzoni, poi, c’erano anche da noi: Salvatore Di Giacomo, D’Annunzio (‘A vucchella), Italo Calvino (Dove vola l’avvoltoio, Oltre il ponte, Canzone triste), Franco Fortini (Quella cosa in Lombardia), Pasolini (Il soldato di Napoleone, Questo mio folle amore, Valzer della toppa, Teresa Macrì detta pazzia), Arbasino (Seguendo la flotta) e senz’altro ne dimentico molti, qualcosa scrisse anche Moravia, persino Aldo Busi ha scritto per i Timoria.

Oggi, se si vuole ragionare sulla “poetry for music” il punto di riferimento obbligato è un premio importante e stimato come il Librex-Montale, che viene assegnato dal 1991 e, nella sezione dei versi per le canzoni, ha premiato finora Paolo Conte, Francesco Guccini, Lucio Dalla (con lui, ricordiamolo, ha collaborato un poeta importante come Roberto Roversi), Franco Battiato, Fabrizio De André, Bob Dylan (eccoci, il precedente al Nobel c’era) e Ivano Fossati. Insomma, il Gotha è questo e da questa shortlist converrebbe pescare, scartando i defunti Dalla e De André (ci fosse un Nobel alla memoria, forse avrebbero la precedenza Proust, Joyce e Kafka e, da noi, almeno Calvino, Sciascia e Primo Levi) e aggiungendo magari Francesco De Gregori.

Paolo Conte perché? Per un sogno tutto suo di esotismo e di ‘900 immaginario, per il suo miraggio di un’età del jazz perenne e atemporale dove all’ombra verde di un bovindo si gusta un’acqua al tamarindo, di recente per la laconicità che quasi dissolve la forma-canzone. Per esempio in Amazing game, album strumentale uscito qualche giorno fa, la sua voce fa capolino soltanto in una canzone, per dire soltanto una parola: “tips”. Ma in questo caso, prima si sarebbe dovuto premiare il guatemalteco Augusto Monterroso, autore del racconto più breve di sempre: “Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì”.

Francesco Guccini, perché rinverdisce la nobile traduzione aulica (e a volte retorica) del nostro ‘800, che già ci fruttò un Nobel con Carducci. Altro che Ginsberg, altro che Dio è morto, il Guccini più prepotente è quello della Locomotiva, è quello di “Il bimbo ristette, lo sguardo era triste” (Il vecchio e il bambino). Ma come, ristette, direte voi? Eh sì, ristette. Al punto che il Guccini più esilarante, anche se apocrifo, è un Edoardo Bennato che imitandolo alla perfezione (il brano era una ghost track dell’album L’uomo occidentale) gli fa interpretare Marzo 1821 di Manzoni: l’han giurato, li ho visti in Pontida. Cercatela su YouTube, la trovate.

Franco Battiato perché? Per il misto di nostalgie siculo-infantili (Mal d’Africa), di fascinazioni d’antan (Prospettiva Nevskij), di esoterismi assortiti (Vorrei vederti danzare), di cut-and-paste spudorato e antidylaniano (“Mister Tamburino non ho voglia di scherzare/ rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare”, Bandiera bianca) che sono la sua cifra. Anche nel suo caso, il Battiato più esilarante è una parodia: Mistici digiuni di David Riondino, anche questa la trovate su YouTube.

Ivano Fossati perché? Perché è Ivano Fossati e non si discute. Ma anche qui, non fate leggere o ascoltare ai giurati di Stoccolma i suoi peccati di gioventù (“Mille volti come sabbia nel deserto/ Mille voci come onde in mare aperto/ Terza strada stan sfiorando i grattacieli/ Quinta strada sta volando verso il sole”, Jesahel). Su Francesco De Gregori, che ha scritto molte canzoni bellissime e importanti, è ormai dimenticato il vecchio anatema che negli anni ’70 gli scagliò il povero Giaime Pintor figlio di Luigi (“Non è Nobel, è Rimmel”), ma resta, ribadita dal cantautore stesso, la derivazione in parte dylaniana delle sue canzoni: e se si premia il maestro…

Molti altri ce ne sarebbero da candidare: l’audace Baglioni che fa rimare metrò con paletot in Poster, Vecchioni che ci farebbe fare bella figura citando Rimbaud e Pessoa, Rilke e Borges (ma se a Stoccolma ascoltano “oh oh cavallo, oh cavallo, oh cavallo oh oh” e gli viene da nitrire?), Venditti che ostenta la sua bella cultura da liceale ripetente (“e la Divina Commedia sempre più commedia”, “e mio padre sembra Dante e tuo padre sembra Ariosto”), il Vasco Rossi che canta a favore dell’integrazione (“Ho perso un’altra occasione buona, stasera:/ è andata a casa con il negro, la troia!”, Colpa d’Alfredo). Forse qualche paroliere laureato: il Mogol di Battisti (“Il macellaio dovrebbe arrivare/ dovrebbe portare/ bistecche e caviale/ ma un dubbio mi assale”), il Franco Migliacci di Modugno e Morandi (“Penso che un sogno così non ritorni mai più/ mi dipingevo le mani e la faccia di blu”), forse il Valerio Negrini dei Pooh (“Dio delle città/ e dell’immensità”).

Ma hanno ricevuto tutti la loro brava medaglietta al Lunezia, un premio-carrozzone per la “canzone d’arte” che dal 1996 laurea a Carrara e Aulla una vagonata di cantartisti all’anno. Così, se vedi che premiano il “valore artistico-letterario” di Nella vasca da bagno del tempo di Erica Mou; se vedi che nel 2016 un Centro Lunigianense di Studi Danteschi ha conferito il premio Stil Novo ad Arisa, Patrizia Cirulli e Sergio Muniz, Coez, Gerardo Carmine Gargiulo, Chiara Grispo, Massimilano Larocca, Morbo e Moreno e Sugar Free, be’, allora pensi che un Nobel a Bob Dylan basta e avanza.

wired.it/play/cultura/2016/10/17/quali-cantautori-italiani-meriterebbero-nobel/


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