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Il partito mediatico


Rosanna
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Il partito mediatico

La vera questione sulla quale ci si dovrebbe interrogare è l'inesistenza dei partiti. E' una verità difficile da accettare per chi per anni è stato abituato ad ascoltare il salmo della "partitocrazia" che come una specie di piovra dai mille tentacoli, con un sistema di controllo di tipo orwelliano, governerebbe dispoticamente la società italiana. In realtà partiti, in Italia, non ne esistono più da diversi anni. Esistono dei "brand", dei marchi elettorali che possono creare una parvenza di aggregazione attorno a qualche simbolo e slogan.
di Matteo Volpe - 1 aprile 2015

Assistiamo di continuo a questa stucchevole rappresentazione di fughe, trasferimenti di questo o quel politico, questa o quella corrente che fuoriescono da questo o quel partito per fondarne un nuovo che durerà mezzo secondo o per entrare in un altro, con tutto l’altrettanto stucchevole codazzo di insulti, ingiurie e gogne mediatiche. La categoria usata per spiegare questo fenomeno è quasi sempre quella del “tradimento”. Il colpevole avrebbe tradito il partito nel quale ha militato per qualche mazzetta o interesse di vario tipo.

Ci si rende conto che questa lettura è quanto di più semplicistico e infantile possa esserci? Ovviamente esistono casi di compravendita, ma non si può sostenere che questi esodi e queste migrazioni di massa (che tra l’altro non interessano soltanto i dirigenti, ma anche i comuni militanti e i semplici elettori) siano tutte da spiegare con qualche tangente o qualche scranno. E anche se così fosse, a preoccupare i partiti che subiscono tali emorragie dovrebbe essere un’altra questione. Come mai tra le loro fila ci sono così tanti “venduti”, “traditori”, “trasformisti”, ecc.? Perché glielo permettono? Perché non ci accorge di loro? Oppure si ricorre alla comoda e paranoica giustificazione di chi sostiene che è tutta una oscura macchinazione del “sistema” La verità è un’altra. Il problema non è in chi fugge (non più, almeno, dal momento in cui è fuggito) ma in chi resta, nei “fedeli”. La vera questione sulla quale ci si dovrebbe interrogare è l’inesistenza dei partiti. E’ una verità difficile da accettare per chi per anni è stato abituato ad ascoltare il salmo della “partitocrazia” che come una specie di piovra dai mille tentacoli, con un sistema di controllo di tipo orwelliano, governerebbe dispoticamente la società italiana. In realtà partiti, in Italia, non ne esistono più da diversi anni. Esistono dei “brand”, dei marchi elettorali che possono creare una parvenza di aggregazione attorno a qualche simbolo e slogan.

Un’altra categoria assolutamente inadeguata usata per spiegare questi fenomeni è quella del dualismo unione/divisione, molto popolare soprattutto a sinistra, ma non solo. Gli anni di più acuta “unionite” della politica italiana, quando bisognava diffondere questa retorica per creare un sistema di tipo bipolare, hanno dato origine a obbrobri di politica transgenica. Uno è il partito democratico. L’altro è la sinistra allargata. I sostenitori della sinistra allargata affermano dogmaticamente che bisogna mettere insieme tutte le sfumature del rosso, dal rosa pallido al porpora più acceso, e quando questo non avviene si struggono in mille sensi di colpa e appelli all’”unità della sinistra”. Non viene in mente a nessuno che, forse, due partiti anche se entrambi orgogliosamente dichiaratisi di sinistra potrebbero non essere compatibili. E così che si sono susseguite la Sinistra Arcobaleno, poi la la Lista Anticapitalista, poi, Rivoluzione Civile, infine la Lista Tsipras. Tutti abbozzi falliti in partenza.

Il problema non sono né i tradimenti, né le divisioni, che sono semmai effetti, non cause. La ragione di tutto questo è la mancanza di selezione. Le selezione è il procedimento che serve a creare un partito e a farlo crescere e prosperare, come a farlo restare in vita nei momenti critici. Un partito deve realizzare tre tipi di selezione: una ideologica, ovvero scegliere il sistema teorico (non delle idee a casaccio) di riferimento ed escludere quindi quelli ad esso contrapposti; una burocratica, ovvero la scelta delle persone più idonee a guidare il partito e infine una selezione teleologica, cioè la scelta degli scopi, immediati, tattici, come quelli generali e universali compatibilmente all’ideologia. Senza questi tre tipi di selezione non può esserci un partito solido, che duri nel tempo. Purtroppo, a causa di una cultura in voga, viene inibita la tendenza alla selezione. L’ideologia è stata di fatto abolita, in quanto non esiste un ceto intellettuale, cioè un gruppo di pensatori creativi. Esistono divulgatori, predicatori che ripetono ossessivamente ciò che è funzionale a un certo tipo di interessi. Non esiste più un ceto intellettuale che indirizzi l’azione politica, esso manca, in Italia e in Europa, da molti decenni. Nonostante ciò la sinistra, appoggiandosi alla propria tradizione ideologica, per quanto incapace di contestualizzarla e di attualizzarla, ha potuto esercitare un’influenza sulla società per qualche tempo.

Per quanto riguarda la burocrazia, si è affermato un modello di partito “leggero”, cioè con una debole struttura organizzativa, ovvero con scarse e inadeguate procedure di selezione della classe dirigente. Ma dove la selezione non è fatta dal partito, viene fatta dalle lobby, dai media e da chi può influenzare dall’esterno il processo decisionale, in base a scopi che sfuggono al singolo militante. A complicare tutto si è aggiunto internet. Il Movimento Cinque Stelle offre un esempio calzante; la costruzione di un partito fondato non sulle idee e sulle persone in carne ed ossa, ma sulle visualizzazioni, sugli account e sui social network (e di rimbalzo sulle apparizioni sugli altri media). Perché ci si lamenta, allora, della mancanza di democrazia interna? un partito mediatico, che non ha un rigoroso metodo di selezione, non può essere democratico. Senza selezione non c’è organizzazione e senza organizzazione non c’è nemmeno democrazia.

Di conseguenza, anche tutti quanti i fini, a breve o a lungo termine, sono lasciati in balia della corrente, pronti ad essere cambiati rapidamente a seconda dei mutamenti nei sondaggi o di eventi contingenti. C’è quindi da stupirsi, in una simile disorganizzazione, se alcuni abbandonano a un certo punto il partito? Non c’è coscienza ideologica, non c’è chiarezza nei meccanismi di scelta dei dirigenti, non ci sono scopi prestabiliti e punti di riferimento certi, quindi non può esserci fedeltà e coerenza. Cos’altro ci si aspetta? Finché il vantaggio della novità e il marketing sono a proprio favore il partito potrà anche crescere velocemente e riscuotere un consenso notevole. Ma alle prime difficoltà si smembrerà e si scioglierà con la stessa rapidità.

http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/il-partito-mediatico/


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