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Intervista ad Arundhati Roy


marzian
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ARUNDHATI ROY: DI RITORNO DAGLI USA

AMY GOODMAN intervista ARUNDHATI ROY

"Non dimentichiamo che in India gli appelli al libero mercato come quelli oggigiorno emanati dall'amministrazione Bush sono iniziati alla fine del XIX secolo. Abbiamo visto qual è stato il retaggio del colonialismo. Continuavano a usare le parole 'libero mercato'. E sappiamo quanto sia libero il libero mercato. Oggi, l’India, dopo 15 anni di liberalizzazione economica, ha più della metà dei bambini malnutriti di tutto il mondo. Abbiamo un’economia in cui le differenze tra ricchi e poveri, che sono sempre state enormi, sono incredibilmente aumentate. Abbiamo una società feudale i cui privilegi sono stati solo rafforzati"

Nota: quella che segue è la trascrizione editata dell’intervista ad Arundhati Roy, tratta del programma radiofonico di Amy Goodman Democracy Now!, trasmesso da diverse radio e reti televisive americane.

Amy Goodman: Oggi trascorriamo quest’ora con Arundhati Roy. Il suo primo romanzo, Il Dio delle piccole cose, ha ricevuto il Booker Prize nel 1997. Da allora, si è dedicata alla scrittura e all’attivismo politici. In India, fa parte del movimento contro i progetti delle dighe idroelettriche che hanno sfollato migliaia di persone. Nel 2002, a Nuova Delhi, è stata condannata per vilipendio alla Corte suprema, che Roy aveva accusato di soffocare le proteste contro il progetto della diga sul Narmada. Ha ricevuto una condanna simbolica a un giorno di detenzione.

Arundhati Roy si è anche apertamente schierata contro il programma del governo indiano per lo sviluppo di armi nucleari, forte delle sue convinzioni sul tema. È conosciuta in tutto il mondo anche per i suoi decisi saggi politici. Nel giugno del 2005, Arundhati Roy ha presieduto la Giuria di Coscienza del Tribunale mondiale sull’Iraq, a Istanbul.

AG: Come ci si sente a essere di nuovo negli Stati Uniti? Da qui si ha una prospettiva diversa sul mondo.

Arundhati Roy: Credo di essere stata qui per l’ultima volta appena prima delle elezioni, quando speravamo che Bush non venisse rieletto. Ma il punto era che chiunque venisse eletto sembrava comunque appoggiare la guerra in Iraq; quindi, la democrazia era in crisi, proprio come in ogni altra parte del mondo. Penso che quando non si viene spesso negli Stati Uniti, ci si rende conto di come dal di fuori sia facile dimenticare; è facile dimenticare che all’interno in questo paese esistono dissidenti che si schierano contro il sistema rappresentato del governo. Per me è importante e incoraggiante ricordarmene. Fuori c’è una tale avversione verso gli Usa; naturalmente, la confusione tra popolo e governo esiste, ed è aumentata quando Bush è stato rieletto. La gente ha iniziato a dire: “Che differenza c’è?”.

AG: Naturalmente, fuori dagli Stati Uniti, l’America e gli americani sono visti attraverso la prospettiva dei media… Che canali si ricevono in India? Cosa si riesce a vedere? E cosa pensi del modo in cui i media trattano questi argomenti?

AR: Credo che in India si prendano Fox News e la CNN e, naturalmente, la BBC. Poi ci sono anche molti quotidiani indiani che pubblicano editoriali di giornalisti americani, come quello del ben noto Thomas Friedman. E di recente George Bush è venuto in India, un episodio umiliante e divertente allo stesso tempo. Mi riferisco a ciò che è successo durante il suo soggiorno e a come hanno reagito i media.

AG: Vorrei sapere cosa ne pensi di quella visita del marzo scorso, di cui ci terrei anche a farti vedere un filmato. Bush aveva promesso di implementare l’integrazione economica con gli Stati Uniti e aveva firmato un accordo per favorire la cooperazione nucleare tra i due paesi:

Presidente George W. Bush: Oggi abbiamo concluso un accordo storico sull’energia nucleare. Non è stato facile per il Primo Ministro raggiungere questo accordo. Posso capire. Non è stato facile per il Presidente americano giungervi, ma è stato necessario. Aiuterà entrambi i nostri popoli.

AR: La cosa curiosa è che prima del suo arrivo, volevano che parlasse davanti al parlamento riunito; alcuni membri del parlamento dissero che non gli avrebbero dato pace, quindi per Bush sarebbe stato imbarazzante. Allora pensarono di chiedergli di parlare a una manifestazione pubblica al Forte Rosso, nella Vecchia Delhi, dove il Primo ministro indiano tiene tradizionalmente il discorso dell’indipendenza; ma questo non era considerato un luogo sicuro, perché la Vecchia Delhi pullula di musulmani – e sai cosa pensano dei musulmani: tutti terroristi.

Quindi hanno pensato: “Va bene, glielo faremo fare al Vigyan Bhawan” – una specie di auditorium. Ma il luogo è stato considerato non sufficientemente edificante per il Presidente degli Stati Uniti. Quindi, buffo a dirsi, alla fine hanno deciso di farlo parlare al Purana Qila, il Vecchio Forte, che ospita anche lo zoo di Delhi. Ed è proprio da lì – un luogo non aperto al pubblico – che Bush si è rivolto ad animali in gabbia e a direttori generali in gabbia. Poi si è spostato a Hyderabad; credo che lì abbia incontrato un bisonte, perché è uscita una foto di Bush con il bisonte su tutti i giornali. Ma il punto è: il Presidente Usa è stato isolato dal pubblico. Ci sono state enormi manifestazioni di protesta, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. Ma ciò sembrava non importare né a Bush né al governo indiano, che imperterriti hanno continuato per la propria strada, firmando accordi che hanno mostrato una sorta di grande e significativo abbraccio tra i paesi più poveri – o in via di sviluppo – e l’America.

Abbiamo una tale sfilza di storie di nulla di fatto, quando si abbraccia il governo degli Stati Uniti. E questo è esattamente ciò che è accaduto: il governo indiano, in modo completamente servile, ha accettato questo abbraccio e si è trovato un posticino in un angolo. Ora questa specie di danza mortale continuerà.

Faccio notare che mentre Bush si trovava a Delhi, per strada – oltre alle proteste – c’erano 60 vedove venute da Kerala, nel sud dell’India, da dove anch’io provengo. Erano 60 delle decine di migliaia di vedove di contadini che si sono suicidati perché sommersi dai debiti. Questo è un fatto di cui nessuno parla, in parte perché non ci sono dati ufficiali, e in parte perché il governo indiano sta a questionare su cosa sia davvero un suicidio e cosa un contadino. Se un uomo si suicida, ma la terra è a nome di suo padre, non conta. Se è una donna, non conta comunque, perché le donne in India non possono essere contadini.

AG: Quindi conta come qualcuno che si è suicidato, ma non come un contadino che si è suicidato.

AR: Proprio così.

AG: Decine di migliaia?

AR: Decine di migliaia. Comunque, queste 60 donne erano scese in strada per chiedere al governo indiano di cancellare i debiti dei mariti. E dall’altra parte della strada, in un hotel a cinque stelle, c’erano 16 cani poliziotto di Bush; ci hanno detto che non si possono chiamare cani, perché in realtà sono ufficiali dell’esercito americano. Non so come si chiamassero. Sergeant Pepper o Caporale Vattelapesca. Quindi, non si poteva nemmeno fare satira: tutto era drammaticamente reale.

AG: Il Presidente Bush ha visitato la tomba di Gandhi, giusto?

AR: Ha visitato la tomba di Gan
dhi, prima però l’hanno visitata i suoi cani. I gandhiani poi volevano purificarla. E ho detto: “Guardate, non mi importa dei cani. Mi importa molto di più di Bush che dei cani”.

Ovviamente, le opinioni su Gandhi sono diverse – non è che al mondo tutti lo adorino. Ma la sua figura rappresenta la non violenza; in quel momento è stato come se un macellaio fosse arrivato, avesse versato un contenitore pieno di sangue su un monumento commemorativo e se ne fosse andato. Era… vedi, non c’è stato spazio, come ho già detto, per la satira o cose del genere, perché è stato così volgare, tutto così volgare. Ricordo che i principali media indiani sono stati totalmente servili. Su un quotidiano come l’Indian Express si è letto: “È qui. E ha parlato”. Wow. Sono sicura che Bush non viene venerato così tanto nemmeno da alcuni dei maggiori organi di stampa statunitensi. Una cosa inaudita.

AG: Vorrei mostrarti un altro video sul Presidente Bush. Credo che in questo parli del commercio in India:

Presidente Bush: I mercati sono aperti, e ai poveri viene data l’opportunità di sviluppare il loro talento e le loro abilità. Possono migliorare la vita delle loro famiglie. Contribuiscono all’aumento della ricchezza nel mondo e possono iniziare a permettersi beni e servizi provenienti da altre nazioni. Il commercio libero ed equo è un bene per l’India. È un bene per l’America. Ed è un bene per il mondo. Nel mio paese, alcuni si concentrano solo su certi aspetti delle relazioni commerciali che intratteniamo con l’India: l’outsourcing. È vero che alcuni americani hanno perso il lavoro quando le loro compagnie hanno spostato certe operazioni oltreoceano. È inoltre importante ricordare che quando un lavoratore perde il lavoro, lui e la sua famiglia affontano un periodo incredibilmente difficile. Alcuni credono che la risposta a questo problema sia erigere muri per isolare la nostra economia dal mondo tramite misure protezionistiche. Non sono affatto d’accordo.

AG: George Bush parla in India. Arundhati Roy come risponde?

AR: Non dimentichiamo che in India questo appello al libero mercato è iniziato alla fine del XIX secolo. Abbiamo visto qual è stato il retaggio del colonialismo. Continuavano a usare le parole “libero mercato”. E sappiamo quanto sia libero il libero mercato. Oggi, l’India, dopo 15 anni di liberalizzazione economica, ha più della metà dei bambini malnutriti di tutto il mondo. Abbiamo un’economia in cui le differenze tra ricchi e poveri, che sono sempre state enormi, sono incredibilmente aumentate. Abbiamo una società feudale i cui privilegi sono stati solo rafforzati.

Ed è sbalorditivo. Proprio sulla scia della visita di Bush, non puoi immaginare cosa stia succedendo in una città come Delhi. Non puoi immaginare le esplicite aggressioni provenienti dalle nostre istituzioni democratiche. È come se le corti, ad esempio, che sono un mio vecchio nemico, si stessero rimboccando le maniche e ci stessero inseguendo. Sono appena stata per strada per sei settimane, dove è in atto qualunque tipo di protesta, ma Delhi è appena stata… è diventata una città di bulldozer e poliziotti. Durante la notte, vengono affissi preavvisi che dicono che presto verrai sfrattato. I giudici della Corte suprema se ne sono venuti fuori con cose del tipo: “Se i poveri non possono permettersi di vivere in città, perché ci vengono?”.

E, fondamentalmente, dietro tutto questo ci sono due motivi. Uno è che nel 2008 Delhi ospiterà i Giochi del Commonwealth. Quindi, centinaia e centinaia di persone verranno cacciate dalla città. Ma la vera svolta è arrivata dopo la visita di Bush: la città viene preparata per investimenti stranieri diretti per la vendita al dettaglio, il che significa che Wal-Mart, Kmart e compagnia bella stanno per arrivare, il che significa che questa città fatta di persone che vivono per strada, di venditori ambulanti, di venditori di frutta – una città che è cresciuta nei secoli – verrà ripulita con la scusa di una immaginaria azione legale. E, al tempo stesso, gli abitanti di alcuni villaggi vengono scacciati a causa della corporatizzazione del settore agricolo, conseguenza diretta di questi grandi progetti di sviluppo.

Quindi hai un’istituzione che… insomma, che democrazia è? Certo, abbiamo un parlamento. Certo, abbiamo delle elezioni. Ma adesso abbiamo anche una Corte suprema che gestisce la nostra vita fin nei minimi dettagli. Che prende tutte le decisioni: cosa deve essere scritto nei libri di storia? Come deve essere conservato l’agnello? Questa strada deve essere allargata? Che gas dobbiamo usare? Adesso ogni singola decisione è presa dalla Corte. Non puoi criticare la Corte. Se lo fai, vai in prigione, come è successo a me. Quindi i giudici sono… bisogna leggere quelle sentenze per crederci. Le cause di interesse pubblico sono diventate un’arma che i giudici usano contro il popolo.

Quindi, ad esempio, un ex giudice capo ha emesso una sentenza che consente la costruzione della diga sul Narmada, in seguito alla quale dovevano essere sfollate 400.000 persone. Lo stesso giudice ha emesso una sentenza che dice che gli abitanti degli slum [i quartieri più poveri e degradati, NdT] rubano il suolo della città. Quindi mandi via la gente dai villaggi, loro vengono in città, e li chiami ladri. Il medesimo giudice ha emesso una sentenza che ordina di chiudere tutte le tipologie di commercio informale a Delhi. Poi ha emesso un’altra sentenza per chiedere che tutti i fiumi indiani vengano collegati – uno schema stalinista al di là di ogni immaginazione, che prevede lo sfollamento di milioni di persone. Quando è andato in pensione, questa persona è entrata a far parte della Coca Cola. È incredibile.

AG: Thomas Friedman, noto e apprezzato columnist del New York Times, parla dei call center come del simbolo ideale della globalizzazione in senso positivo.

AR: È vero, è il simbolo perfetto, in molti sensi. Vorrei che Friedman ci lavorasse per un po’. Ma credo sia una questione molto interessante, quella dei call center, perché, lasciando da parte la psicosi che troviamo all’interno di una di queste strutture, si ha a che fare delle persone che lavorano secondo un orologio biologico diverso. E poi tutto il resto – le lingue, e il fatto che ci si debba “spersonalizzare”.

AG: Tanto per chiarire, per le persone che non hanno dimestichezza con ciò di cui stiamo parlando, ricordiamo che i call center sono posti in cui possiamo chiamare per ottenere informazioni o per contattare una grande società. In realtà, stiamo chiamando in India, dove qualcuno in un call center è pronto a risponderci.

AR: Il fatto è che è un buon esempio di cosa sta succedendo. Di certo i call center stanno creando posti di lavoro per molte persone in India, ma questo è parte di un discorso più ampio. Da una parte, si dà lavoro temporaneo ai giovani che sanno l’inglese e che appartengono al ceto medio o medio-basso – lavoro che non potrà mai durare, perché è davvero duro. Dall’altra, ciò fa parte della cultura aziendale, che sta portando via terra, risorse e acqua a milioni di persone che vivono nelle zone rurali. Ma così si dà solo a quelli che si fanno sentire di più e che, in ogni caso, se la passano meglio… in India le persone che parlano almeno un po’ d’inglese sono quelle che se la passano meglio, tra milioni di persone. Quindi, per assicurare un lavoro a queste persone, si stanno portando via i mezzi di sussistenza di milioni di altre. Questo è ciò che comporta la globalizzazione.

Ovviamente tale processo gode di un gruppo di sostenitori, tra le élite dei paesi poveri, che si fa sentire e che lo appoggia. Così in India es
iste un’élite, una casta elevata, una lobby costituita del ceto ricco che è estremamente fedele al programma neoliberista. E questo è esattamente ciò che il colonialismo ha sempre fatto, ed è esattamente ciò che successe in America Latina. Adesso però si sta verificando in India, con la retorica delle democrazie in atto, perché si è imparato a svuotare la democrazia e a farle perdere ogni significato. Tutto ciò che resta sono le elezioni, ma chiunque tu decida di votare, si comporterà esattamente come tutti gli altri.

AG: Hai parlato delle dighe. Qualche settimana fa un giudice indiano ha deciso che uno dei più importanti progetti del settore può continuare. Ma in termini pratici, cosa significa? Chi sono le persone che si oppongono, e cosa fanno?

AR: In effetti è una cosa che in India ha raggiunto il parossismo nelle ultime settimane perché, vedi, il movimento contro le dighe è un dibattito politico magnifico; unifica le questioni ambientali al problema dell’acqua, a quelli delle risorse e dello sfollamento. Viene offerta una visione politica per un nuovo tipo di società. Nessuna ideologia politica, nessuna ideologia politica tradizionale si è comportata opportunamente. O si tratta solo dell’ambiente o si tratta solo delle persone. Ecco, in un certo senso, perché mi ha tanto coinvolta. Ma fondamentalmente rimane una lotta contro il progetto delle grandi dighe, ed è una lotta non violenta da 25 anni.

Ora però le dighe vengono costruite lo stesso, e il dibattito è stato ridotto alla sola questione dello sfollamento. E anche su questo, ora le corti dicono che per costruire una diga si danno i soldi alle persone e le si manda via. Ma il fatto è che si tratta di popolazioni indigene. Non gli si può dare soltanto… molti di loro sono indigeni, gli altri sono contadini… ma non si può… i livelli di sfollamento sono già talmente alti. Questa diga, la diga di Sardar Sarovar, prevede lo sfollamento di 400.000 persone, ma per la sola Valle del Narmada si parla di milioni di persone. In tutta l’India, si parla di diversi milioni di persone sfollate. Quindi cosa faranno?

Ecco, la Corte ha emesso una sentenza che ha segnato una nuova era in India. Hanno smesso di fingere di interessarsi al reinsediamento o al reinserimento, e hanno detto soltanto: “Costruite la diga”. È interessante il fatto che la gente stesse guardando questo movimento non violento manifestare per strada – mi riferisco agli attivisti che hanno scelto lo sciopero della fame a oltranza. Le persone vi hanno prestato attenzione, poi però i manifestanti sono stati presi a calci in faccia.

Nel frattempo, in tutta l’India, dal West Bengal all’Orissa, passando per il Jharkhand, il Chhattisgarh e l’Andhra Pradesh, il movimento maoista è diventato molto, molto forte. Si tratta della lotta armata. Sta conquistando distretto dopo distretto. L’amministrazione non può intromettersi. E il governo reagisce facendo ciò che è stato fatto in Perù con il Sendero luminoso; ovvero, costituisce comitati di difesa armata, dando vita così a una vero e proprio stato di guerra civile.

Sono centinaia i villaggi svuotati dal governo. Gli abitanti vengono mandati in accampamenti gestiti dalla polizia. La gente viene armata. Il governatore del Chhattisgarh ha dichiarato: “O state con i maoisti e i naxaliti o state con i Salva Judum”, ovvero con la resistenza appoggiata dal governo. Non c’è altra possibilità di scelta. Quindi, o siete con noi o siete contro di noi.

E ciò che è accaduto, che poi è ciò che ho denunciato a lungo, è che tutta questa guerra al terrorismo e la legislazione che ne è sorta intorno ha avvicinato tra loro i terroristi ai poveri. Ecco cos’è accaduto. A gennaio, in India – non so se hai letto di questa cosa – è successa una cosa orribile, in Orissa. L’Orissa è uno stato su cui tutte queste grandi società hanno puntato i loro occhi avidi, perché vi hanno appena scoperto enormi depositi di bauxite – la bauxite serve a produrre l’alluminio, serve per costruire armi e aerei.

AG: E in che zona dell'India si trova l’Orissa?

AR: L’Orissa è all’incirca a est, sud-est. Vi risiede una numerosa popolazione indigena. Ora vive come in uno stato di polizia. Le forze dell’ordine hanno circondato i villaggi. Gli abitanti non possono spostarsi da un villaggio all’altro per organizzarsi. Sono arrivati i maoisti. E qui in Orissa, in un posto chiamato Kalinganagar – dove i Tata, che erano degli industriali rispettati e che ora non definirei più tali, stanno costruendo un’acciaieria – il governo si è impossessato della terra degli indigeni. Il trucco è che hanno detto che il progetto riguarda solo il 20% della popolazione. Tutti gli altri sono solo intrusi. E anche a questo 20% la terra viene tolta a, diciamo, 35.000 rupie [una rupia vale 0.0172 euro, NdT] per acro, e assegnata ai Tata per 350.000 rupie, ovvero dieci volte tanto. E il vero prezzo di mercato è quattro volte tanto. Quindi rubi ai poveri, sovvenzioni i ricchi, e poi lo chiami “libero mercato”.

E quando hanno protestato, hanno trovato la dinamite nel terreno. Alcuni sono saltati in aria, molti sono morti. Sei, credo, sono rimasti feriti e sono stati portati in ospedale; i loro corpi sono tornati a casa con le mani, il torace e altre parti amputate. Fino ad ora, gli indigeni hanno bloccato la superstrada per sei mesi, perché è diventata una questione importante in India. Succede così ovunque, e tutti vengono chiamati terroristi. Pensa, persone con arco e frecce vengono chiamate terroristi.

Quindi, in India, i poveri sono terroristi, e anche in Stati come l’Andhra Pradesh migliaia di persone sono trattenute come prigionieri politici, chiamati maoisti, rinchiuse in luoghi sconosciuti, senza accuse (o con false accuse). Abbiamo il più alto numero di morti in stato di arresto al mondo. E abbiamo Thomas Friedman che continua a dire che questa è una società ideale… ideale, una società tollerante. Centinaia… scusate, decine di migliaia di persone morte in Kashmir. In tutto il nord-est, a seguito dell’Armed Forces Special Power Act [una legge che attribuisce poteri speciali all’esercito, NdT], un giovane sottufficiale può sparare a vista. E questa è la democrazia in cui viviamo.

AG: E riguardo ai maoisti, quali sono le loro richieste?

AR: Dunque, i maoisti lottano contro la società feudale, i proprietari terrieri feudali. Tutto il sistema delle caste che è organizzato contro gli indigeni. Lottano contro questa corporatizzazione. È gente povera, scalza, con armi vecchie e arrugginite. In Kashmir, o nel nord-est, succede esattamente ciò che gli Stati Uniti stanno causando in Iraq; si sta favorendo una sorta di guerra civile per poi dire: “Se ci ritiriamo, queste persone si massacreranno tra loro”.

Ma più tempo restano, più queste differenze tribali si rafforzano e creano una resistenza che, persone come me, da una parte appoggiano; da un altro punto di vista però, anche se appoggi la resistenza, puoi non appoggiare l’idea per cui stanno lottando. E continuo a dire che sono condannata a lottare al fianco di persone che non hanno spazio per me nel loro immaginario sociale, e probabilmente sarei la prima persona che impiccherebbero, se vincessero. Il punto è che sono loro che si stanno opponendo sul campo, e devono essere sostenuti; ciò che sta succedendo è inammissibile.

AG: A proposito di Iraq, vorrei mostrarti un video del Presidente Bush a Chicago, qualche settimana fa, mentre interviene a una riunione della National Restaurant Association [Associazione dei ristoratori americani, NdT]. Tra le altre cose, il Presidente ha parlato anche dell’Iraq, che ha appena formato un nuovo governo di unità nazionale:

Presidente Bush: Per molti iracheni un governo libero, democratico e costitu
zionale sarà un’esperienza completamente nuova. Per i popoli del Medio Oriente, un Iraq libero fungerà da ispirazione. Gli iracheni hanno fatto molto più che formare un governo, hanno dimostrato che il desiderio di libertà nel cuore del Medio Oriente è reale. Hanno dimostrato che persone diverse possono unirsi, superare le differenze e trovare una strada da seguire, e hanno dimostrato che la democrazia è la speranza del Medio Oriente e il destino di tutta l’umanità.

Il trionfo della libertà in Iraq è parte di una storia lunga e già nota. Il grande biografo della democrazia americana, Alexis de Tocqueville, scrisse: “La libertà nasce solitamente nel mezzo della tempesta. Si afferma dolorosamente tra il disaccordo civile, e solo quando è vecchia se ne possono conoscere i benefici”. Tra anni, le persone guarderanno alla formazione del governo di unità iracheno come a un momento decisivo per la storia della libertà, un momento in cui la libertà ha guadagnato un appoggio sicuro in Medio Oriente e in cui le forze del terrore hanno iniziato la loro lunga ritirata.

AG: Il Presidente Bush a Chicago. Arundhati Roy, indiana, qui a New York, come risponde?

AR: Cosa si può rispondere? Continuo a sperare che le risate che si sentono durante discorsi come questo vengano registrate. Prendi le elezioni in Palestina; c’era un governo democratico, ora la Palestina sta morendo di fame perché ha una democrazia, è assediata perché ha una democrazia. In Iraq, l’inganno è chiamato democrazia. E dimentichiamo cosa sta accadendo in Arabia Saudita.

È solo che… credo che il problema sia che persone come il Presidente Bush e i suoi consiglieri – o il governo indiano, visto ciò che sta succedendo in India – abbiano capito che possono ricorrere ai media per dire qualsiasi cosa in ogni istante. Non importa cosa stia succedendo realmente. Non importa cosa sia successo in passato. C’è un ristretto numero di persone che collega tra loro le cose e ride a crepapelle per le insensatezze che vengono dette. Ma per chiunque altro, credo anche per i media stessi, queste tecniche sono diventati un mezzo per dire le bugie più incredibili o rendersi protagonisti delle affermazioni più agghiaccianti. E tutti se le bevono. È come una droga che ti inietti direttamente in vena. Non importa. E continua così. Ma cosa si può dire? Che razza di democrazia è quella irachena?

AG: Come credi che dovrebbero andare le cose in Iraq?

AR: Per prima cosa l’esercito americano dovrebbe andarsene. Ecco come dovrebbero andare le cose. Non ho alcun dubbio in proposito. Allo stesso modo, continuo a dirlo… ormai America, Israele e India, e la Cina in Tibet, stanno diventando esperti di occupazione, e l’India è uno dei maggiori tra questi. Non è che l’America durante le sue esercitazioni stia insegnando all’esercito indiano. Anche gli indiani stanno insegnando agli americani come si occupa una zona. Come ci si comporta con i media? Come si gestiscono? L’occupazione nel Kashmir è durata per anni.

E continuo a dire che quella dell’Iraq è una guerra in cui ci sono all’incirca 125.000 soldati americani che controllano 25 milioni di iracheni. In Kashmir, ci sono 700.000 soldati indiani armati fino ai denti. Quindi, per prima cosa, l’esercito deve andarsene.

AG: Ricordo che quando sei stata da queste parti l’ultima volta, andasti per un’intervista al “Charlie Rose show” [una trasmissione molto popolare negli Usa, NdT]. Ho aspettato e aspettato per vederti sullo schermo, invano. Cos’è successo?

AR: Ah, questo è interessante. Lui… ecco, quando ha iniziato l’intervista, mi sono resa conto che il piano era quello di sottopormi ad un’intervista molto aggressiva. La prima domanda che mi ha rivolto è stata: “Mi dica, Arundhati, crede che l’India dovrebbe possedere armi nucleari?”. E io ho risposto: “Credo che l’India non dovrebbe possedere armi nucleari. Credo che gli Stati Uniti non dovrebbero possedere armi nucleari. Credo che Israele non dovrebbe possedere armi nucleari. Credo che nessuno dovrebbe possedere armi nucleari. È un argomento su cui ho scritto molto”. E lui di nuovo: “Le ho chiesto se l’India dovrebbe possedere armi nucleari”.

E così ho risposto: “Vede, credo che l’India non dovrebbe possedere armi nucleari. Credo che gli Stati Uniti non dovrebbero possedere armi nucleari. Credo che Israele non dovrebbe possedere armi nucleari”. Poi mi ha detto: “Può rispondere alla mia domanda? L’India dovrebbe possedere armi nucleari?”. E così ho risposto: “Credo che l’India non dovrebbe possedere armi nucleari. Credo che gli Stati Uniti non dovrebbero possedere armi nucleari. Credo che Israele non dovrebbe possedere armi nucleari”. Allora gli ho chiesto: “Cosa succede? Perché è così aggressivo? Ho risposto alla sua domanda, e in modo chiaro. E credo che la mia posizione sia estremamente chiara. Non penso in modo strategico. Le sto dicendo ciò in cui credo”. Dopodiché ha ripiegato su domande vaghe come la povertà nel mondo, e l’intervista non è mai stata mandata in onda. In effetti, se fossi stata in loro, non l’avrei mandata neanch’io… perché mi ha trattata come se fossi un politico o qualcuno del genere”.

AG: Ti ha invitata di nuovo, durante quest’ultimo viaggio?

AR: No, no. Non credo.

AG: Cosa pensi del fatto che per effetto della tua celebrità, delle tue opere, vieni invitata a trasmissioni in cui quando dici cosa pensi vieni messa a tacere?

AR: No. Credo che quello che succede sia… sai, non vengo spesso negli Stati Uniti e, ad esempio, questa volta sono venuta per un evento con Eduardo Galeano… A parte questa intervista, ho detto chiaramente che non volevo lavorare durante questo viaggio, perché voglio pensare ad altro. Ma credo di avere il problema opposto. Credo ci siano molti modi di mettere a tacere le persone, e uno di questi è dare sempre più importanza all’aspetto della celebrità – finché non diventi tanto celebre che tutto quello che sei è in sé una celebrità.

Ti do un fantastico esempio di come vanno queste cose in India. Qualche mese fa mi trovavo a un meeting, a Delhi, della Association of Parents for Disappeared People. Ora, alcune donne erano arrivate dal Kashmir. Ci sono all’incirca 10.000 persone scomparse in Kashmir, di cui nessuno dei maggiori media parla. Ecco che c’erano queste donne i cui fratelli, figli o mariti erano scomparsi. Tutte queste persone parlavano delle loro esperienze personali. C’erano anche altre persone, e c’ero anch’io.

Il giorno dopo, in un giornale più o meno di destra che si chiama Indian Express, era stata pubblicata una mia grande foto, ero presa così da vicino che il contesto non si vedeva. Non si riusciva a vedere chi avesse organizzato il meeting o di cosa si trattasse, niente. E sotto c’era scritto: “Arundhati Roy alla giornata internazionale delle persone scomparse”. Quindi appare la notizia, ma non ti dice niente, capisci? È questo il genere di cose che succede.

Sono una che viene invitata ai principali forum, non vengo evitata. Posso dire quello che ho da dire. Ma il punto, Amy, è che il confine che ti separa dall’essere così isolato da diventare il portavoce per tutto – quel tipo di persona che a loro fa comodo avere – è molto sottile. E io non voglio essere così lontana da tutti gli altri. Se vuoi ascoltare me, allora perché non ascolti anche questo e quell’altro? Perché non parli con questo e quell’altro? Perché non ascolti altre voci? Altrimenti sembra che tu sia l’unica persona coraggiosa e strabiliante, non ha senso.

AG: Sto guardando proprio in questo momento le notizie riportate dal KMS – il Kashmir Media Service – il 23 maggio
, subito dopo che hai parlato qui a New York. Si dice: "Arundhati Roy, attivista per i diritti umani e scrittrice indiana di spicco, ha detto che l’India non è un paese democratico". "Arundhati Roy, durante una lettura pubblica a New York, ha detto che l’India non è una società democratica". Puoi parlarci di questo?

AR: Vedi, secondo me la nostra democrazia sta davvero attraversando una fase di crisi. Il modo più semplice per spiegarlo è ricordare che nel 2004, quando in India ci furono le elezioni politiche, dopo i cinque anni di politica del partito di destra BJP [Bharatija Janata Party, letteralmente Partito del Popolo Indiano, NdT], il partito indù di destra, la società era sul punto del collasso.

AG: Faresti un parallelo con i partiti politici degli Stati Uniti?

AR: Sì, certamente. Voglio dire, era molto simile a quando c’erano i Repubblicani contro i Democratici, e infatti…

AG: In cui il Partito del Congresso sono i Democratici.

AR: In cui il Partito del Congresso sono i Democratici, e i Repubblicani il BJP, la destra indù. Ovviamente, in un paese come l’America, la loro politica, oltre a influenzare in modo decisivo i cittadini americani, influenza anche il resto del mondo. Ma in India, dal momento che l’India non è una potenza mondiale, nonostante voglia pretendere di esserlo, le loro energie vengono convogliate sulla loro stessa gente. Nel 2002, per le strade di Gujarat, ci fu un’uccisione di massa di musulmani, un bagno di sangue in cui alcune persone furono bruciate vive, delle donne vennero violentate per strada, fatte a pezzi, uccise sotto gli occhi della gente.

Dopodiché sai cosa successe? Ci furono le elezioni e l’uomo che aveva progettato tutto questo le vinse. Quindi pensi: “È meglio avere un dittatore fascista o un democratico fascista che ha l’approvazione di tutta questa gente?”. Continua a essere al potere a Gujarat. Non è successo niente. È una società di tipo nazista, in cui centinaia di migliaia di persone vengono ancora boicottate economicamente, una cosa come 100.000 persone cacciate via dalle loro case. La polizia non registra questi casi. Solo uno o due casi importanti vengono considerati dalla Corte suprema, mentre la maggior parte rimane totalmente irrisolta. Ad ogni modo, è così che si presenta la situazione, e mentre orchestri queste uccisioni collettive, svendi anche a Enron e a tutte queste società private. Così, da un lato parli dell’indianità e tutto ciò che le va dietro, e quindi del nazionalismo; dall’altro stai svendendo tutto all’ingrosso.

Durante le elezioni, tutti noi aspettavamo con ansia di vedere cosa sarebbe successo. E quando il Congresso salì al potere, appoggiato dall’esterno dai partiti di sinistra, ovviamente ci concedemmo un gran sospiro di sollievo, festeggiammo davanti alla tv. Il Congresso aveva fatto una campagna contro le politiche neoliberiste che erano state introdotte.

Ma prima ancora di sapere se Sonia Gandhi fosse diventata o meno Primo ministro, o di sapere cosa sarebbe accaduto, si verificò un crollo orchestrato sul mercato azionario. Le azioni degli stessi media iniziarono a scendere… Prima che il governo venisse formato, sia dalla sinistra che dal Congresso, alcuni portavoce dovettero uscire e dichiarare: “Non smantelleremo il regime neoliberista”. E oggi abbiamo un Primo ministro che non è stato eletto. È stato nominato un tecnocrate. Tutto questo è parte del "Washington Consensus".

AG: Nei trenta secondi che ci restano, vorrei chiederti: qual è il ruolo dell’artista in tempo di guerra?

AR: Credo che il problema sia il fatto che gli artisti non sono un gruppo di personalità omogeneo; alcuni di loro sono il più possibile dalla parte del sistema, quindi il ruolo dell’artista non è diverso dal ruolo di qualunque altro essere umano. Scegli da che parte stare e poi combatti. Ma in una paese come l’India, non vedo molti scrittori, poeti o artisti assumere posizioni radicali. È la seduzione del mercato che li ha messi a tacere, come nemmeno le vecchie decapitazioni medievali non avrebbero saputo fare.

AG: E allora cosa pensi dovrebbero fare gli artisti?

AR: Esattamente ciò che fanno tutti gli altri, ovvero: scegliere da che parte stare, prendere posizione e sostenerla.

Nata nel 1961 nella regione del Kerala, Arundhati Roy è la più famosa scrittrice indiana contemporanea. Vive a Nuova Delhi. Nel 1997 ha vinto il prestigioso Booker Prize con 'Il dio delle piccole cose'. Tra le sue opere, 'L’impero e il vuoto – Conversazioni con David Barsamian', Guanda, 2004. Arundhati Roy ha scritto la prefazione a 'Scacco al potere – Come resistere al potere e ai media che lo amano'.

Amy Goodman è ideatrice e conduttrice del programma radiofonico Usa 'Democracy Now!'.
Bill Clinton l’ha definita “ostile, battagliera, persino sgarbata”. Newt Gingrich, Repubblicano statunitense ed ex Presidente dalla Camera Usa, ha detto che era per via di “persone come lei” che aveva messo in guardia sua madre dal parlare con i giornalisti. L’esercito indonesiano l’ha bandita, definendola una “minaccia per la sicurezza nazionale”.
Michael Moore ha scritto di lei: “Si alza tutte le mattine, tutti i giorni dell’anno (molto prima di tutti noi!) per essere l’unica voce quotidiana della verità alla radio negli Stati Uniti d’America. Com’è triste anche solo scrivere queste parole! Una nazione di 300 milioni di persone, con tutte le garanzie scritte che assicurano una stampa libera, e nessuno che faccia il lavoro che Amy Goodman fa in maniera così semplice, così profonda. Questo libro mette nero su bianco tutte le bugie che ci vengono dette dalla mattina alla sera. È un tesoro nazionale, e se non riuscite a captare le sue frequenze radiofoniche, potete ora prendere questo libro, scuotere la testa increduli e disgustati mentre lo leggete, e quindi metterlo via per poter andare a scatenare un putiferio!”
Amy Goodman è autrice, con David Goodman, di 'Scacco al potere – Come resistere al potere e ai media che lo amano'.

Video-intervista ad Amy Goodman.

Versione originale

Amy Goodman intervista Arundhati Roy
Fonte: http://www.alternet.org/
Link: http://www.alternet.org/story/36643/
25.05.2006

Versione italiana

Fonte: http://www.nuovimondimedia.com/
Link: http://www.nuovimondimedia.com/sitonew/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1958

Traduzione a cura di Marika Salerno ([email protected]) per Nuovi Mondi Media


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