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Israele e la pompa di benzina


Tao
 Tao
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Gianni Vattimo, ha appena firmato l'appello per il boicottaggio della Fiera Internazionale del Libro di Torino, e questo lo colloca in una posizione di solitudine pressoché assoluta, per coraggio ed integrità, nel novero di un intellighenzia italiana che non ha mai superato del tutto il suo rapporto con il potere politico basato sul mecenatismo. L'affollarsi di nani e ballerine con vecchie e dubbie fame di impegno cilile nell'atto di endorsement a favore di Walter Veltroni nei giorni delle primarie per il PD, porta semmai a chiedersi se gli "intellettuali organici" che il PCI ha per decenni esibito con orgoglio, non fossero in ultima analisi una riedizione moderna e "proletaria" dell'Ariosto o di Leonardo che siedono alla tavola degli Este o degli Sforza (Se potete accostare Dacia Maraini a Ludovico Ariosto o a Leonardo senza mettervi a ridere).

Nelle stesse ore Tariq Ali dichiarava che anche lui boicottava la Fiera, esprimendo l'auspicio che l'Italia non diventi come la Francia e La Germania, dove Israele non può essere criticata. E qui non posso fare a meno di pensare che Vattimo abbia bonariamente ridacchiato alla grande opinione che Tariq Ali sembra avere delle condizioni di libero dibattito nel nostro paese.

Per conto mio vorrei esprimere il mio disagio all'inadeguatezza delle spiegazioni che vengono fornite su questa posizione speciale di Israele, tutte chiuse all'interno di un insulso dibattito sull'Olocausto, l'identità ebraica e l'antisemitismo, che è una delle più riuscite operazioni di diversione intellettuale operate dal sistema di propaganda occidentale. Chi, giustamente, obietta che l'Olocausto non può fornire oggi una scusa alle continue violazioni dei diritti umani e nazionali che Israele infligge ai Palestinesi, non si accorge, purtroppo, che ha già accettato di confrontarsi su un terreno che è stato scelto da altri, e che rende le sue posizioni estremamente difficili da mantenere.

Se esistesse una sinistra, quantitativamente significativa, che non temesse di applicare la cara vecchia "lettura di classe" delle questioni internazionali, l'intero problema si comporrebbe in una limpida e schietta cornice di politiche neocoloniali ed imperiali, che non vengono denunciate come tali con la sistematicità che la questione richiederebbe.

Tipico è il successo anche a sinistra delle tesi di Walt e Mersheimer nel loro ormai celebre studio sulla lobby ebraica in Israele. Partendo da una acuta analisi dell'indebito peso che le PAC ebraiche hanno assunto sui processi decisionali della politica estera USA in Medioriente, si arriva all'assurdità di sostenere che gli USA, dando retta alle PAC, stanno sconsideratamente mettendo a repentaglio il loro "interesse nazionale" nella regione.

Non si riesce a capire che l'instabilità che Israele ha portato nella regione è proprio il fattore chiave che permette l'inteferenza della politica USA negli affari regionali. Il caso recente più clamoroso è che alcune stupide frasi dette da Amadinhejad contro Israele, hanno finito per costituire il pretesto per cui il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, bellamente sbeffeggiato da tutti gli alleati degli USA, non è più in grado neanche di fornire una copertura legale al programma di sviluppo del nucleare civile da parte di Teheran - che si trova in posizione di piena conformità agli obblighi del trattato -, dato che le sue clausole sono unilaterlamente ritenute insufficienti da parte degli USA, trattandosi dell'Iran. La sostanziale accettazione da parte dell'UE di questa impostazione ne conferma il successo.

Togliete la parola "Israele" dal dossier del nucleare iraniano e la posizione USA apparirebbe insostenibile persino al servidorame europeo. Risultato: si mantiene una pistola puntata alla tempia di un paese mediorientale che naviga sul petrolio. La faccenda guerra o non guerra scema di importanza nel momento in cui la drammatizzazione del caso permette sanzioni economiche all'Iran (già attuate) che potrebbero condizionare gli equilibri politici interni in maniera più gradita alle amministrazioni americane. E' possibile, in questa situazione, continuare a credere con Walt e Mersheimer che Israele non faccia comodo all'imperialismo americano?

Il consumo giornaliero USA di petrolio viaggia intorno ai 20 milioni di barili, la metà dei quali vengono importati dall'estero. Questi livelli rappresentano la quarta parte di una produzione mondiale, di oltre 81 milioni di barili, estratti da riserve certe che dovrebbero essere sufficienti per i prossimi quarant'anni, in base a proiezioni molto prudenti sullo sviluppo globale.

Abbastanza presto India e Cina svilupperanno un fabbisogno energetico equivalente a quello degli USA, e la necessità di garantirsi forniture, sia pure in condizione di prezzi molti elevati, spinge questi paesi a contratti molto al di sopra dei prezzi di mercato. Un caso emblematico in questo senso è la recente firma da parte del Giappone di un contratto di fornitura di gas naturale a 18 dollari per milione di BTU, mentre il prezzo di mercato oscillava tra i nove e i dieci dollari. Tutto ciò in uno scenario dell'industria energetica che non fa prevedere a breve sostanziali cambiamenti nella posizione privilegiata dei combustibili di origine fossile nel coprire questo fabbisogno. E gli entusiasti del nucleare per scopi civili, anche tacendo su tutti gli altri problemi, si guardano dal dire che il materiale fissile disponibile in natura è assai scarso.

Le grandi fonti di approvvigionamento di petrolio e gas naturale sono la Russia, l'America Latina e il Medio Oriente. La Russia è fuori portata, dato che è un paese sovrano. I paesi latinoamericani, troppo deboli per una sovranità su base nazionale, stanno dando luogo ad un'integrazione assai rapida che presto potrebbe metterli nella posizione della Russia.

Resta il Medioriente, diviso, instabile e subalterno: la condizione ideale per le avventure imperiali. E se in Iraq non si riesce ad avere una legge sugli idrocarburi da un parlamento eletto addirittura sotto occupazione militare, si aggira disinvoltamente il parlamento e si rilasciano le concessioni alle multinazionali straniere attraverso un'illegale decretazione governativa.

E' vero, non si può criticare Israele, in Italia come in Francia e in Germania. Ma se gli interessi della pompa di benzina andassero d'accordo con le aspirazioni delle masse arabe, e non con quelle della Prussia Mediorientale (Israele), credete che da noi l'Olocausto susciterebbe ancora tanta commozione? Ne susciterebbe altrettanta che nell'entourage di Amadinhejad, e probabilmente accadrebbe come negli USA dell'immediato dopoguerra, quando a parlare del genocidio degli Ebrei c'erano solo i comunisti.

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://achtungbanditen.splinder.com/
6.02.08


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