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La FINE dell'era INDUSTRIALE


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Tematizzare concetti è assai più complesso che raccontare di patate o cavoli, anche se coltivare cavoli e patate è assai più complesso che coltivare concetti, nonostante gli uni e gli altri si perpetuino da soli.

Il centro del passaggio in questo ragionamento è "raccontare". Siamo nel pieno boom della società della parola, ma questa è una categorizzazione che ho già proposto in altre occasioni e non voglio stare qui a ripeterlo. Basti quindi al lettore che legge per la prima volta l'idea che può suscitare la definizione "società della parola".

Che siamo alla fine della società industriale è un evidenza che è difficile adesso da rifiutare, date le troppe e numerose indicazioni, la cui origine sta in numerose opere e studi. Tuttavia definire invece che cosa significa questa "fine", in tanti indicata come "fine di un era" appare molto complesso, tanto che ogni rigoroso ragionamento sfuma in una nebbia fitta di possibilità.
A mio parere se si partisse con strumenti cognitivi condivisi differenti, le cose non apparirebbero poi così nebbiose.

Primo punto da chiarire: quantità e qualità. Nella ricerca scientifica è in atto un forte dibattito sulla liceità (cioè rigorosità) di certi tipi di ricerca (conseguentemente dei risultati a cui essa giunge) ed in particolare se la ricerca qualitativa possa essere rigorosa e debba essere considerata a tutti gli effetti scienza e non pseudo-scienza. Non sto qui a citare Popper perché va già oltre la necessaria complessità per affrontare la questione che propongo, in vero apparentemente molto banale.

Iniziamo con un esercizio (ideale): se vi chiedessi di disegnare dei cerchi mettendovi in mano una penna e dandovi un foglio, immagino che la maggioranza di voi tenterebbe di fare i migliori cerchi possibile. Ma la valutazione di quei cerchi che vengono eseguiti su che base viene fatta? Bene fermiamo la domanda e lasciamola da parte un attimo, supponiamo adesso ne abbiate fatti un certo numero: possiamo dire che sono uguali? Se no, come li avete "contati", cioè su che base? Per esempio, la somiglianza migliore o peggiore a un cerchio? Il fatto che siete riusciti a chiudere la figura senza sbavature? Il fatto che tutti quelli che avete realizzato (anche non somigliando) a cerchi erano nelle intenzioni e per adempiere alla richiesta dei cerchi? In altre parole, quali sono i criteri usati per valutare i segni che avrebbero dovuto essere "i cerchi disegnati"?
Come li avete contati?

Un tempo, quanto la misura faceva nascere i ragionamenti sul numero dando i natali alla matematica (ricordate Pitagora?) per divergere dai ragionamenti della geometria basati sui rapporti, era chiaro che contare non era la stessa cosa che formare. Tant'è che alla base etimologia dei termini ci sono radici di significazioni differenti: l'una sta alla politica, all'economia, al potere e alla tecnica di convincere per tramite di rapporti verticali, l'altra sta alla educazione, alla ricerca (soprattutto filosofica), alla curiosità che sta alla base dello sviluppo di relazioni sociali e condivise su un medesimo piano orizzontale da un "gruppo umano".
Ma cosa più importante, non ci si sognava di pensare che "contare" valesse più che "formare", cioè che il ragionamento fondato sulla qualità potesse in qualche modo essere "più sicuro" di quello fondato sulla qualità. Questo diventa però non più valido nella società industriale, dove ciò che conta è la copia.

La valutazione di merito nella società industriale è una valutazione della copia in quanto il criterio usato è che dev'essere più conforme possibile a un originale, quindi si "conta" la massa producibile e il deperimento che equivale a uno scostamento dall'originale. L'ossessione per l'origine, per l'originale, è quindi un ossessione per il numero che nella dimensione virtuale moderna fa fede a un "originale virtuale" (per esempio un progetto).
Non ci si accorge però che la formula quantitativa si basa su rapporti che mettono in relazione tra loro pere con mele. Se quindi conto mele in quanto il numero ha senso se conto elementi basati sul concetto di copia, restringendo quindi i criteri con cui potrei contare (se chiedo di contare quanti "frutti" ci sono su un cesto, essendoci un grappolo d'uva una mela e una pera, difficilmente qualcuno si metterà a contare gli acini dell'uva e la risposta sarà quindi "tre") rimane che è il criterio implicito che formula la risposta, non c'è una risposta giusta a prescindere. Se dico "le mele gialle", magari ne scopro alcune rosse e il conto cambia.

Riportato alla ricerca, è evidente che se conto i bicchieri prodotti da un artigiano, alcuni potrebbero avere un aspetto che si discosta molto dall'idea di bicchiere e quindi non essere considerati "proprio" bicchieri. Se invece sono bicchieri industriali, questo problema sparisce, dato che il criterio che mi induce a chiamarli "bicchieri" riguarda esattamente il concetto virtuale (prototipo e progetto) che voglio aderisca a quell'idea precisa di bicchiere. Un idea artificiale, certo, dato che il bicchiere me lo sono inventato di sana pianta "virtualmente" e artificiosamente come uomo e per le sole mie esigenze, non c'è (tanto per dire) "un albero che fa bicchieri", ma nemmeno cestini delle merende come nel paese delle meraviglie di Alice.

L'era industriale ci ha dato la scienza moderna e il metodo scientifico. Ma che questo stia alle corde da decenni è un evidenza che non si può ignorare con leggerezza. L'era industriale ci ha dato anche il consumismo, cioè un rapporto con la quantità che non ha nessun equilibrio o stabilità, ma nemmeno la semplice sostenibilità a lungo termine. Come non è sostenibile all'infinito lo sfruttamento di risorse finite in un pianeta finito, allo stesso modo non è sostenibile all'infinito una teoria supportata dal metodo.

Dovremmo appropriarci di concetti di indagine più raffinati di quelli grezzi accettati fin'ora. In particolare nella formazione, dovremmo sapere che ripetere un metodo non da nessuna garanzia sulla bontà del risultato, dato che questo non ha validità prescindendo da un ragionamento sulla qualità. Questo ultimo aspetto è cruciale, ma siamo ancora lontani dal metterlo a fuoco.
Siamo lontani dal considerare la geometria e la formazione, come architettura obbligatoria per concepire la scienza e la ricerca, l'ingegneria e la tecnologia entro la sua propria complessità (sistemica) generale.


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PietroGE
Famed Member
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L'era industriale è fondata sulla quantità perché è nata per soddisfare i bisogni delle masse ed è limitata dalla fattibilità economica : si può costruire una fabbrica che produca milioni di automobili della stesso tipo, non si può , per motivi tecnici ed economici costruirne una che produca auto, camion, autobus, motociclette ecc.
Il metodo scientifico non è alle corde anche se ci sono voci, fortunatamente non ascoltate, che chiedono uno stravolgimento del metodo, cioè una sostituzione della verifica sperimentale con....qualcosa tipo la autoconsistenza, la mancanza di contraddizioni interne, il fatto di essere l'unica teoria in gioco ecc. ecc. Tutte condizioni che possono benissimo essere caratteristiche di una teoria FALSA cioè sperimentalmente sbagliata.


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GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Premetto caro @PetroGE che il problema è non rendere assolute delle dichiarazioni relative. "Le corde" a cui mi riferivo metaforicamente e verso cui indirizzavo l'attenzione era la pratica della ricerca quantitativa, opposta oggi alla ricerca qualitativa, non la scienza in generale come ricerca. A tale proposito si può consultare molta documentazione e molte posizioni differenti, ma quel che rimane è che la ricerca quantitativa è di fatto arrivata a toccare limiti per i quali è obbligatorio un altro approccio un altra attenzione al metodo sperimentale perché non si può pretendere di "vedere tutto riducendolo a una quantità". In questo senso collegavo la ricerca all'industria, dove il limite della sperimentazione come metodo mirato a quantificare, è chiaramente un prodotto del processo produttivo e ne alimenta costruttivamente la sua realtà pratica. Non è un caso che la tecnologia sia intesa come industriale o che l'industria guidi spesso e volentieri il senso della ricerca (oltre che la sua lettura, a volte funzionalmente alla speculazione più che alla realtà).
Non voler vedere che la crisi del modello industriale coinvolge tutti i settori dell'agire umano, in quanto costringe a una revisione cognitiva del nostro approccio al mondo, è davvero rifiutare la realtà del fallimento di un modello, quello industriale (appunto). Tuttavia la invito a non opporre una visione riduzionista: considerare voci quelle che hanno messo in crisi il metodo unico come principio inviolabile della ricerca scientifica oggi è come voler nascondere la testa sotto la sabbia. Come dire che Piaget (per esempio) sta alla rigorosità scientifica in educazione come l'esoterismo rappresenta una rigorosità scientifica per l'indagine dei fantasmi. L'oggetto della ricerca, non è secondario solo perché non si può indagare con i numeri. Questo è ciò che mette in crisi il modello del metodo unico (quantitativo). Così come per l'industria non si può dire che qualcosa non sia preciso o tecnologico solo perché non è un prodotto industriale.


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