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La forte competitività è un valore? No, &egrav


Denisio
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Competitività. Termine che oggi va molto di moda e che viene continuamente menzionato. Ci continuano a ripetere che serve maggiore competitività per poter risollevare le sorti economiche del Paese e che solo questa sia la ricetta per uscire dalla crisi. Dobbiamo essere più bravi degli altri altrimenti non ci meritiamo di esistere.

La competitività in economia è la capacità di giocare con successo nell’arena della concorrenza interna ed internazionale. Questo comporta che la competitività viene raggiunta sulle pelle di qualcuno che ne subirà gli effetti. La maggior competitività dunque si raggiunge sempre e solo nel confronto con un altro individuo che ovviamente soccombe.

Non solo la competitività ma la forte competitività è addirittura un valore sancito nell’art. 2 del TFUE che in particolare dispone che l’UE si debba basare “su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale (omissis…)”. Dunque l’UE ritiene che solo dalla competizione tra consociati, con la forte competizione, si possa ottenere piena occupazione e progresso. Peraltro nello stesso periodo si evidenzia una contraddizione clamorosa tra politica sociale e forte competitività. La prima ovviamente esclude l’altra.

Tale teoria espressa nel TFUE è delirante e contraria ad ogni principio morale e giuridico universalmente riconosciuto. La competizione non è affatto un valore ma costituisce un vero ed autentico ostacolo alla pace ed alla giustizia. La competizione, come detto, per definizione avviene nei confronti di altri soggetti che per una ragione o per l’altra (anche per loro colpa a volte) risultano più deboli. Quando l’odioso Mario Monti diceva che stavamo guadagnando posizioni di maggiore competitività attraverso la distruzione della domanda interna intendeva dire che abbattendo i prezzi il nostro export sarebbe migliorato. Ma ovviamente tali migliori posizioni si raggiungono sul piano interno, come purtroppo abbiamo visto, con la macelleria sociale dell’aumento della disoccupazione e sul piano internazionale si ottengono alle spalle di altri popoli. Ecco quanto è bella la competitività.

La nostra Costituzione, proprio per questo, ha contemplato un modello completamente opposto a quello della forte competizione tra consociati. L’art. 2 Cost. infatti prevede l’obbligo di adempiere agli inderogabili doveri di solidarietà economica oltre che politica e sociale. Inoltre il modello economico della nostra Carta è un modello sociale dove il libero mercato incontra il limite inderogabile del pubblico interesse.

Ovviamente la solidarietà economica non ha nulla a che vedere con la forte competizione che rappresenta un modello diametralmente opposto. Non si è certamente solidali con chi si cerca di superare e sconfiggere. La povertà dei concorrenti diventa inevitabilmente il proprio personale successo. La forte competizione porta ogni essere umano ad esprimere il peggio di se stesso rafforzando sentimenti di egoismo ed individualismo che sono estranei ad un Paese che possa definirsi anche solo minimamente avanzato.

Stranamente in economia il concetto ha preso piede con un connotato positivo. Pare che la gente si sia dimenticata della comune esperienza del vivere quotidiano ed abbia abboccato alla bufala che vuole nella competizione un sommo valore indispensabile per il nostro benessere. La competizione, tanto per parlarci chiaro, è quella che invece ha ispirato ogni conflitto bellico o sociale della storia. Qualcuno voleva prevaricare qualcun altro.

Riflettiamo insieme. Pensate, ad esempio, ai vostri figli. Li mettereste mai in competizione tra loro per avere il vostro affetto? Ritenete che la loro educazione e le loro qualità migliorerebbero se invece che insegnargli il rispetto e la solidarietà voi li indirizzaste verso una forte competitività per primeggiare? Vorreste davvero insegnargli che ciò che conta nella vita è essere “migliori” del prossimo partendo prima di tutto dal proprio fratello?

E rimanendo ai figli pensate che la loro vita sia il lavoro e che il loro unico scopo debba essere vincere nella professione? Guadagnare il più possibile per comprare cose pressoché inutili? Oppure ritenete che il lavoro debba solo essere il modo con cui tutti noi ci guadagnano da vivere concorrendo al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, comma secondo, Cost.) e che le ragioni dell’esistenza debbano trovarsi in ben altri valori come la felicità, l’amore, la famiglia, l’amicizia e la solidarietà?

Tornando alle nazioni è evidente come detto che la competizione tra esse non possa favorire in alcun modo la pace ma sia sic et simpliciter l’anticamera stessa della guerra. Un Trattato che fomenta la forte competitività non è un Trattato che ha come obiettivo la pace e la giustizia tra i popoli con conseguente manifesta violazione anche dell’art. 11 Cost. Solo la cooperazione tra nazioni ed uno sviluppo solidale delle stesse attraverso la condivisione delle proprie eccellenze e delle risorse naturali porta nel lungo periodo alla pace. Solo il sostegno ai più deboli crea giustizia ed armonia.

Vogliamo davvero un mondo dove per competere con i mercati emergenti nei quali vige ancora una sorta di schiavitù lavorativa il nostro modello debba divenire la cancellazione dei diritti dei lavoratori e la svalutazione salariale? È regredendo come civiltà che si ritorna “competitivi”?

La verità è che una volta il capitalismo puro aveva un freno. Il blocco comunista costituiva una minaccia costante e rappresentava una barriera contro le spinte più estreme dei falchi della finanza. Vi era l’esigenza di presentare un modello occidentale ricco e sviluppato e dunque lo stato sociale ed il welfare erano ritenuti il fiore all’occhiello della nostra Europa. Battevamo il comunismo sul sociale. Era la vittoria assoluta di un modello!

Alla caduta del blocco sovietico tali esigenze sono svanite e la vera faccia del sistema competitivo turbo capitalista si è imposta con tutta la sua scellerata forza distruttiva. Il capitalismo senza freni è semplicemente un cancro per l’intero pianeta.

Oggi l’Europa è ad un passo dal baratro, stanno per tornare i tempi oscuri della guerra. Questo perché non siamo capaci di rispettare la natura umana che non è quella di vivere come consumatori sclerotici in costante competizione con tutto e tutti. L’uomo è un’animale sociale che non può trovare la piena felicità e la piena realizzazione in una società fondata su egoismo ed individualismo in cui si vive per lavorare anziché l’esatto contrario.

L’uomo non può vivere per consumare, produrre, consumare, produrre ancora e morire. Con questo attggiamento quotidiano quando ci si gira indietro a riflettere ci si accorge immediatamente di aver semplicemente buttato letteralmente nel cesso un qualcosa di unico e straordinario come la vita. Quando ci fermiamo a guardare quello che facciamo ci rendiamo perfettamente conto che ogni minuto speso a guadagnare una sola moneta in più di quelle che sono necessarie all’esistenza è semplicemente tempo che togliamo ai nostri affetti ed alla vera vita.

La competitività invece vorrebbe che per battere la concorrenza si arrivi ad usare ogni secondo della propria esistenza per produrre il più possibile. Cosa trasmettiamo ormai ai nostri figli? Che è meglio avere un inutile oggetto in più in casa che trascorrere del tempo con loro. Che la vita è solo ciò che materialmente si possiede mentre, al contrario, servirebbe più tempo libero per tornare semplicemente esseri viventi. Servirebbe del tempo che dovrebbe anche essere privo di pensieri, essere sereno, cosa non possibile se si vive per lavorare… Ieri parlavo con un Collega che ha avuto un grave lutto, il giorno dopo era in udienza. Questa non è la società che dobbiamo desiderare, questo è un incubo da cui far uscire l’intera uman
ità.

Proviamo dunque a ripensarla questa civiltà. Un nuovo modello di vita è possibile, un modello che abbia la felicità come obiettivo unico e comune. Il modo peraltro non può sostenere materialmente un ulteriore incremento dei consumi e della produzione. Serve un modello economico solidale e cooperativo. La speculazione deve essere cancellata.

L’unico modo per arrivare a questo è riscattare le nostre sovranità e cancellare il potere del denaro ed i suoi sacerdoti per sempre…

Qualcuno deve iniziare. Non si può aspettare che il potere si smantelli da solo. Quel potere finirà per distruggere tutti noi.

Marco Mori

Fonte:
http://www.studiolegalemarcomori.it/la-forte-competitivita-e-un-valore-no-e-una-follia/


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Questa è una visione distorta e parcellizzata della competitività che solo un avvocato può "detenere" grazie alla sua distorta professionalità.
Quando è in tribunale e si confronta con la controparte e con il giudice non sta forse competendo?

competere.

[com·pè·te·re]

DEFINIZIONE

1.Lottare con altri per il conseguimento di qualcosa, gareggiare (+ per, anche + inf., o con): c. per una carica (o per ottenere una carica); non stare a c. con chi è più forte di te.

2.Stare a confronto, stare al passo (+ con).

"prodotti nazionali capaci di c. con quelli stranieri."

3.Essere di competenza, di pertinenza (+ a).

"non compete al pretore giudicare in questa materia."

4.Riguardare (+ a).

"questo non mi compete"

Forniti da Oxford Dictionaries · © Le Monnier/Mondadori Education S.p.A., under licence to Oxford University Press · Traduzione diBing Translator 😯


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Denisio
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Molti lavori sono competitivi, anzi quasi tutti, ciò non significa che nessuno debba parlarne, poi il ragionamento è articolato e riferito alle imposizioni europee rispetto ai principi costituzionali. Cara Gaia se invece di insultare gratuitamente chi l'ha scritto dimostrassi tu di averlo letto e capito faresti senz'altro un favore a te stessa.


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Molti lavori sono competitivi, anzi quasi tutti, ciò non significa che nessuno debba parlarne, poi il ragionamento è articolato e riferito alle imposizioni europee rispetto ai principi costituzionali. Cara Gaia se invece di insultare chi l'ha scritto dimostrassi tu di averlo letto e capito faresti senz'altro un favore a te stessa.

Rilascia affermazioni un tanto al kilo, Denisio?
Perché, e mi sembra un'abitudine ormai, mi mette in bocca cose che non ho detto?
Quali sarebbero gl'insulti che avrei proferito nei confronti dell'autore?
Invece di rilasciare giudizi a casaccio affermando che non ho letto l'articolo non condividendo il suo sentire, perché non dismette gli stivali, i baffetti ed il frustino?
Abbia l'onestà intellettuale di accettare il confronto, diversamente scriva sullo specchio.


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Denisio
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Dire che l'avvocato Mori scrive un articolo sulla competitività con visione distorta e parcellizzata grazie alla sua "distorta professionalità" è un insulto all'intelligenza della persona, tanto più che si parla di un professionista che si esprime nel merito legale della questione. Non hai dimostrato di averlo letto perchè non c'è una virgola del tuo intervento che fondi su un qualsivoglia argomento inerente i tuoi insulti.

Il significato di competitività è altresì usato con il rafforzativo "forte" fin nel titolo del post quindi il concetto dovrebbe essere piuttosto chiaro, non sta parlando di normale e ordinaria competitività ma di esasperazione e di super competitività imposta con regole di cui c'è il riferimento.

Bene se si vuol parlare di questo mi sembra che ci sia ampio spazio, se come spesso accade ci si vuole accanire su di me o su una determinata persona per motivi vari, penso che non continuerò con le repliche.

P.S: riguardo baffetti e frustino direi che hai un immaginario piuttosto ristretto e stereotipato


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Analfabetismo funzionale e dissociazione dalla realtà, i veri obiettivi attuali, sia pure inconsci, di tanta parte dell'umanità.

Anche e soprattutto degli elementi di essa che ritengono in qualche modo di essere al di sopra della media, vedi il fenomeno dei cosiddetti semicolti.
Categoria di cui fanno parte persone dal bagaglio di istruzione, dall'occupazione e spesso dalla retribuzione superiore alla media, proprio per questo ancora più esposti alle insidie del fenomeno.
Aspetto che già di per sé ci avvicina al concetto che stiamo per affrontare, quello della neo-lingua.

E' evidente che nell'articolo qui ripreso e commentato, competere non è inteso nel senso che le centrali di diffusione della neo-lingua, nella loro urgenza semplificativa, o addirittura in quella di portare all'obsolescenza alcuni significati, accezioni o conseguenze dei termini, vorrebbero imporre.

Concentriamoci intanto sull'elemento riguardante la neo-lingua.
Si tratta del concetto Orwelliano fondamentale, sia in merito all'impianto del suo capolavoro letterario "1984", vera e lucidissima prefigurazione di quello che sarebbe stato il futuro del mondo nel momento della sua stesura, avvenuta nel 1948, sia per avere un minimo di speranza di comprendere la realtà attuale.
Il concetto di neo-lingua riguarda allora la cancellazione di tutte le parole e i significati scomodi o potenzialmente suggerenti accezioni negative per la gestione del potere, da sostituire con altri di connotazione neutrale.
Ulteriore tendenza della neo-lingua riguarda l'agglomerazione di più vocaboli in uno, elemento che di per sé è in grado di rendere più sfuggenti i significati di origine, ma allo stesso tempo inconfondibile ciò che con lo specifico vocabolo si vuole indicare, privandolo appunto della sua connotazione reale.

Cancellazione, soprattutto, anche delle parole ritenute inutili, con il fine di restringere sempre più le possibilità del pensiero, così che sia reso impossibile cogitare o esprimere qualsiasi concetto che non sia pienamente ortodosso.
Proprio perché se sprovvista dei vocaboli necessari, la nostra mente non è nelle condizioni di raffigurare alcunché.

La seconda gamba della neo-lingua, altrettanto significativa della prima, è l'attribuzione a cose e attività di definizioni tali da confondere l'osservatore e rendergli impossibile il coglierne l'essenza, in modo da nascondere il loro vero scopo.
In ultimo, la neo-lingua ha quale scopo la definitiva eliminazione dell'attività cerebrale definita come pensiero, lasciando di esso soltanto la parte diciamo così meccanica, quella esclusivamente necessaria alle funzioni umane di base, come mangiare, bere o dormire, oltre a quelle lavorative attribuite d'ufficio a ciascun individuo e quelle inerenti la sua collocazione nella gerarchia sociale.
Tutto il resto deve essere eliminato, in modo da ridurre l'individuo in un essere senziente ma del tutto incapace di andare oltre il recinto immaginario nel quale lo si è inserito.

Nel libro, ad esempio, l'azione governativa di repressione della libertà di pensiero e del dissenso politico viene eseguita dal Ministero dell'Amore, Minamor in neo-lingua, mediante l'impiego sistematico di inganni, torture, deportazioni e vere e proprie sparizioni di chiunque fosse anche lontanamente sospettato non di avere pensieri difformi dall'ortodossia, ma solo di poter arrivare a tanto.
Il Ministero della Verità, Miniver, si occupa invece della cancellazione del passato e della sua conformazione, altrettanto sistematica, a uso e consumo delle esigenze contingenti del partito al potere. L'Ingsoc, neologismo che deriva da Socialismo Inglese, quale prefigurazione della deriva oligarchica e antipopolare che lo scrittore già vedeva distintamente nei partiti cosiddetti di sinistra.

Espressioni concrete e attuali della neo lingua sono ad esempio:
- Equitalia, che suggerirebbe un'idea di affermazione di equità a livello nazionale, mentre invece si tratta di un apparato destinato all'estorsione di denaro ai cittadini sulla base di motivazioni e secondo metodi di dubbia legalità, da ottenersi mediante l'impiego di azioni talmente coercitive da ridurre non pochi di quelli che ne vengono presi di mira al suicidio;
- La buona scuola, che riguarda lo smantellamento del sistema di istruzione pubblico e l'abolizione dei suoi criteri di universalità, per riportare l'istruzione a elemento basato esclusivamente su criteri di censo;
- jobs act, che invece di riguardare la regolamentazione e il diritto al e del lavoro oltre alla sua diffusione, ha lo scopo di produrre il demansionamento, la precarizzazione e la disoccupazione di massa.

Compresi il significato, la valenza e le conseguenze della neo-lingua, siamo in grado di apprezzarne le motivazioni della sua applicazione al concetto di competitività, ovviamente intesa non esclusivamente in termini sportivi, di leale confronto o di competenze, così come vorrebbero far credere le centrali di diffusione della neo-lingua, tanto volenterosamente abbracciate dall'analfabeta funzionale semi-colto, ma nell'accezione capitalistica del termine e all'interno del contesto che il capitalismo ha reso dominante.
Essa ovviamente è trascurata da dette centrali, proprio perché l'interesse politico è che non venga compresa da chi non deve.

Dunque, la competitività, nel sistema capitalistico, è la capacità di trarre il massimo profitto economico da un'attività, che sia di produzione, di vendita o che comunque determini un tornaconto in denaro, senza curarsi delle conseguenze che ne derivano.
Ciò significa da un lato che è più competitivo colui che riesce ad avvicinarsi il più possibile alla truffa, senza però che se ne configurino gli estremi giuridici.
All'atto pratico quanto appena detto si ottiene principalmente riducendo le spese vive e aumentando il più possibile il prezzo di vendita del bene o servizio e di conseguenza i ricavi.
Dall'altro dimostra che, proprio per questo, il capitalismo è un sistema criminogeno, in quanto tale materializzazione del male assoluto.

Dunque è evidente che più competitivo è colui che non paga i lavoratori, li obbliga a straordinari non retribuiti e a prestazioni non dovute, causa danno alla loro salute fisica e psichica, non rispetta gli accordi sindacali, fa lavorare i bambini, non rispetta la normativa in termini di igiene, causa inquinamento ambientale scaricando dove capita i residui delle lavorazioni o affidandoli alla criminalità specializzata in tale settore, non paga le forniture di materie prime o si avvale di quelle di provenienza dubbia o palesemente criminale, vende per commestibili cose che non lo sono o addirittura dannose per la salute se non velenose, non paga tasse anche quando queste siano applicate in misura corretta e utilizzate per il bene della collettività e così via.

Ecco allora che come tutti i vocaboli inseriti nel dizionario della neo-lingua, la competitività ha valenze e conseguenze del tutto negative, malgrado si faccia di tutto per imporla come un valore non solo positivo ma addirittura fondamentale e insostituibile.
Il che offre anche la più efficace delle spiegazioni riguardo al fatto che malgrado l'applicazione tanto capillare di un concetto che è quanto di più favorevole nell'accezione dominante e in quella dei volenterosissimi analfabeti funzionali, la realtà attuale è caratterizzata da un degrado generale spinto alle estreme conseguenze e semplicemente inimmaginabile quando concetti di simile positività non erano arrivati ancora all'ordine del giorno e cacciati a forza sulla bocca di tutti, che li usano quasi sempre a sproposito.


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spadaccinonero
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per calmierarere gli effetti del darwinismo capitalista occorrono due cose

- sovranità nazionale
- bassissima percentuale di stranieri presenti sul territorio

questi due concetti rappresentano una vera e propria blasfemia per i sinistri e per i partiti d'opposizione all'acqua di rose (5s in prima fila)


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Dunque, la competitività, nel sistema capitalistico, è la capacità di trarre il massimo profitto economico da un'attività, che sia di produzione, di vendita o che comunque determini un tornaconto in denaro, senza curarsi delle conseguenze che ne derivano.
Ciò significa da un lato che è più competitivo colui che riesce ad avvicinarsi il più possibile alla truffa, senza però che se ne configurino gli estremi giuridici.
All'atto pratico quanto appena detto si ottiene principalmente riducendo le spese vive e aumentando il più possibile il prezzo di vendita del bene o servizio e di conseguenza i ricavi.
Dall'altro dimostra che, proprio per questo, il capitalismo è un sistema criminogeno, in quanto tale materializzazione del male assoluto.

Dunque è evidente che più competitivo è colui che non paga i lavoratori, li obbliga a straordinari non retribuiti e a prestazioni non dovute, causa danno alla loro salute fisica e psichica, non rispetta gli accordi sindacali, fa lavorare i bambini, non rispetta la normativa in termini di igiene, causa inquinamento ambientale scaricando dove capita i residui delle lavorazioni o affidandoli alla criminalità specializzata in tale settore, non paga le forniture di materie prime o si avvale di quelle di provenienza dubbia o palesemente criminale, vende per commestibili cose che non lo sono o addirittura dannose per la salute se non velenose, non paga tasse anche quando queste siano applicate in misura corretta e utilizzate per il bene della collettività e così via.

Ecco allora che come tutti i vocaboli inseriti nel dizionario della neo-lingua, la competitività ha valenze e conseguenze del tutto negative, malgrado si faccia di tutto per imporla come un valore non solo positivo ma addirittura fondamentale e insostituibile.
Il che offre anche la più efficace delle spiegazioni riguardo al fatto che malgrado l'applicazione tanto capillare di un concetto che è quanto di più favorevole nell'accezione dominante e in quella dei volenterosissimi analfabeti funzionali, la realtà attuale è caratterizzata da un degrado generale spinto alle estreme conseguenze e semplicemente inimmaginabile quando concetti di simile positività non erano arrivati ancora all'ordine del giorno e cacciati a forza sulla bocca di tutti, che li usano quasi sempre a sproposito.

Leggendo queste riflessioni di Leo-Pistone mi sembra di assumere il ritratto professionale dell'avvocato, è logico che questo è il mio punto di vista maturato dall'esperienza sul campo dopo aver avuto a che fare con 57 figure rientranti nell'ordine.
Dopo aver letto i contro-commenti di Denisio non può essere ultroneo che quest'ultimo arrivi ad altre conclusioni che mi obblighino a pensare che non abbia mai dovuto avvalersi dell'attività dell'avvocato e relativa galassia (leggasi magistratura) tutti licenziati in giurisprudenza.
Il postatore è tranciante nelle conclusioni precludendo la possibilità di un futuro scambio, dal momento che si ritiene la reincarnazione del marchese del Grillo.
Certamente il redivivo marchese non può conoscere quali e quante siano state le mie frequentazioni dell'avvocato in questione, del suo sodale Nino Galloni. e della quaglia, nel senso del salto, del già senatore del M5*.
Ma lui ha subito emesso il suo insindacabile verdetto, accusando gli altri di non voler od essere incapaci di sostenere un confronto.
Buona vita.


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Georgejefferson
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Bellissimo articolo.


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Denisio
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Cara Gaia ho piacere che nella tua missiva tu voglia finalmente ammettere di esserti focalizzata più sul tuo pregiudizio in merito agli avvocati e in parte sull' autore che sul contenuto e mi sembra anche di aver capito che lo scritto non sia così deprecabile.
Ti garantisco che ho avuto a che fare con avvocati per un paio di cause e ne ho conosciuti anche a livello personale. Non penso che siano tanto diversi nella forma mentis da altre categorie di professionisti con i quali ho a che fare. Se in me vedi una persona arrogante è una tua scelta non certo una mia imposizione, è un tuo pregiudizio non proprio il giudizio di persone che mi conoscono dal vero. Se ora ti chiedessi di chiedere a te stessa cosa esattamente te lo fa credere temo che non risponderesti ma se lo facessi non cambierebbe nulla, non cercherei di smentirti o confermarti diversamente come non cerco di farti cambiare pregiudizio rispetto agli "avvocati". Rimango con le mie idee e tra di loro una si fa spazio e sussurra che "Le maio un sorz in boca a un gato che un cristian in man a un avocato" hahahaha!!
Nonostante questo l'articolo di Marco Mori mi piace, è molto realistico e andrebbe diffuso a reti unificate almeno una volta a settimana perchè si inquadra perfettamente nella storiella raccontata da Orwell come sottolinea Pistone. Poi si potrebbe approfondire e andare a vedere chi fu il mentore di George Orwell, vedere dove hanno studiato, icrociare due linee e tirare qualche azzardo...solite cose da complottisti insomma. 😳


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Se desidero confrontarmi con qualcuno posso partire prevenuta ed onusta di pregiudizi. Denisio?
Io credo di no! Anzi devo essere pronta ad accettare qualsiasi obbiezione ed eventualmente opinarla con argomentazioni, le sembra di aver condotto in detto modo il nostro approccio?
Sostenere un'accezione totalizzante della competitività come ha fatto Mori ritengo che sia un'azione ingiusta nei confronti delle tante persone serie che conosco.
Accezione valutata ed analizzata in controluce anche da Leo_Pistone.
Come facciamo valutare la caratteristica in oggetto sulle classi professionali di seguito elencate? Avvocati, magistrati, medici, dentisti, architetti, ingegneri, agronomi. insegnanti, notai, periti, commercialisti, idraulici, elettricisti, ufficiali militari delle varie armi, dirigenti della pubblica amministrazione, spedizionieri doganali, piloti, ecc. ecc. Con i parametri contemplati nel post da lei pubblicato? Con le aggiunte dei commenti in coda? O con cosa altro?


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Denisio
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😯

@gaia: ormai dubito, ma un disegnetto può servire.


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Anche in questo contro commento non ha mancato occasione di riconfermarsi e sono d'accordo con lei che non deve dubitare sulla sua sproporzione dell'ego, ne sarò sempre testimone.
Certo che lei ha una particolare concezione di come relazionarsi con il suo prossimo, o dice ciò che lei vuol sentire od immediatamente, ed è un'abitudine della rete, decade sull'offesa personale accusando i suoi astanti di non capire. 😈 😈


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Denisio
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Cara Gaia, se c'è qualcuno che insulta qui, fin dall'inizio sei tu.

Ammetti di avere maturato un tuo pregiudizio sugli avvocati e sull'avvocato in questione e poi sostieni di intrattenere una discussione priva di pregiudizio. Nonostante questo appare immediatamente il contrasto con il primo post che hai scritto.

L'illustrazione è una rappresentazione del Darwinismo sociale e il concetto magistralmente esposto da LeoPistone su come il significato originario delle parole sia continuamente strumentalizzato e distorto inserendosi in un contesto dove molti altri termini hanno seguito la stessa sorte è una testimonianza dell'ampia letteratura in merito.

Con i tuoi interventi hai dapprima evidenziato il significato letterario della parola competizione e quindi sostenuto che un avvocato ha una visione professionalmente distorta del termine. 😆

Questo è solo frutto del pregiudizio perchè se anche lo avesse scritto brzezinski o Soros questo articolo per me avrebbe avuto lo stesso significato.

Visto che decidi di prendere un disegnetto come un insulto il tuo scopo non sembra essere il confronto. Avresti potuto tranquillamente spiegare il tuo punto di vista in relazione all'illustrazione del Darwinismo sociale portato all'esasperazione visto che è questo il focus del topic invece hai scelto di attaccare di nuovo con accuse gratutite..


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pregiudizio

Treccani.it Vocabolario on line

pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»]. – 1. Nel diritto romano, azione giuridica precedente al giudizio, e tale da influire talvolta sulle decisioni del giudice competente. 2. a. Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore (è sinon., in questo sign., di preconcetto): avere pregiudizî nei riguardi di qualcuno, su qualcosa; essere pieno di pregiudizî; giudicare senza (o con l’animo sgombro da) pregiudizî; molti continuano ad avere dei p. sulle capacità professionali delle donne; i suoi p. erano il risultato di un’educazione all’antica; pregiudizî di casta; p. morali, razziali, religiosi, sociali, politici; uno di quei settentrionali con la testa piena di pregiudizi, che appena scendono dalla nave-traghetto cominciano a veder mafia ovunque (Sciascia). b. Convinzione, credenza superstiziosa o comunque errata, senza fondamento: combattere contro vecchi p. popolari; è un vecchio p. che rompere uno specchio porti sfortuna. 3. a. Il danno che può derivare agli interessi di una persona da un atto che pregiudichi, cioè comprometta l’esecuzione di una eventuale decisione favorevole del giudice competente; spec. in frasi del tipo: senza p. dei miei diritti; senza p. di terzi; in p. di, con riferimento ad azione giudiziaria, civile o penale, proposta a carico di qualcuno. b. Per estens., fuori del linguaggio giuridico, danno in genere: essere di p. (o di grave p.) per la salute, per la reputazione; recare p., danneggiare; bel modo quell’onesto curato ha saputo trovare per buttar via danari, con non mediocre pregiudizio d’un suo chierichetto, che deve essere un dì suo erede perché gli è nipote (Baretti). ◆ Dim. pregiudiziétto; pegg. pregiudiziàccio (l’uno e l’altro, nelle accezioni del n. 2).


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