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La vicenda Scattone e il populismo penale


Tao
 Tao
Illustrious Member
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La rinuncia all’incarico di insegnante nelle scuole da parte di Giovanni Scattone è un fatto di una gravità fuori dall’ordinario.

Senza entrare nel merito della colpevolezza o meno di Scattone, anche se da piu’ parti e da anni siano stati avanzati molti dubbi sull’intera vicenda processuale del caso Marta Russo, per restare ai fatti e avere una prospettiva più razionale è sufficiente ricordare che Scattone è stato giudicato colpevole di omicidio colposo aggravato, che Scattone ha scontato la sua pena e che a carico di Scattone non esiste alcuna restrizione giuridica specifica che limiti la sua libertà di lavorare e di insegnare. Pertanto il suo iter giudiziario deve essere considerato ottimale e nel pieno rispetto del principio di certezza della pena e di quello del recupero sociale del reo.

Come è stato opportunamente già notato, in un paese normale ogni volta che un reo si reintegra nella società si dovrebbe festeggiare una vittoria dello Stato e, senza alcun eccesso retorico, anche della civiltà. Pertanto, se c’è un’anomalia nel recente caso Scattone, essa è rappresentata dalla reazione di molti alla sua nomina, suscitata ad arte da alcuni titoli di giornale in chiave polemico-politica, e che ha portato l’interessato alla decisione, personale e libera, e comprensibilmente sofferta, di rinunciare. E qui il problema prima che giuridico è di tipo sociale e politico.

Di recente con Stefano Anastasia e Daniela Falcinelli, due colleghi giuristi dell’Università di Perugia, abbiamo provato a introdurre anche in Italia la categoría del populismo penale, pubblicando un libro con questo titolo (S. Anastasia, M. Anselmi, D. Falcinelli,Populismo penale. Una prospettiva italiana. Edizioni Cedam). Si tratta di un tema che da anni in altri paesi del mondo, a cominciare da quelli anglosassoni, costituisce una prospettiva di analisi scientifica delle alterate, complesse, e spesso pericolose, dinamiche che si producono tra il sistema della giustizia, la sfera della politica e l’opinione pubblica. Già solo il ritardo italiano a considerare scientificamente questo genere di questioni, è una dimostrazione ulteriore delle numerose difficoltà del nostro panorama intellettuale.

Nella numerosa famiglia dei populismi, quello penale si caratterizza per la non necessaria riconducibilità a un leader carismatico che stabilisce con il popolo una dinamica di consenso alla luce di una crisi istituzionale, come invece avviene nei più conosciuti populismi politici. Il populismo penale è quindi un fenomeno acefalo e per questo meno visibile, che consiste nell’uso distorto di informazioni, in prassi sociali che investono vari settori della società, in comportamenti collettivi e rappresentazioni sociali diffusi che contribuiscono all’alterazione di contenuti relativi alla giustizia con una finalità politica. Sotto questa larga etichetta possiamo far rientrare la manipolazione dei dati sulla criminalità nelle campagne elettorali ( basti pensare alle più recenti elezioni amministrative a Roma), le campagne di “tolleranza zero” ( a cominciare di quella di Rudolph Giuliani), alla resistenza tutta italiana a introdurre il reato di tortura, alla criminalizzazione dello straniero, ma anche alla glamourizzazione dei magistrati e quello che in Italia siamo soliti chiamare in modo vago e troppo spesso assolutorio “giustizialismo”. Il populismo penale esercita una costante azione di delegittimazione sociale delle istituzioni in materia di giustizia, indebolendo di fatto ciò che definiamo lo stato di diritto. Tutto ciò è favorito dalla complicità di molte redazioni che per non perdere il consenso dei lettori/spettatori lo cavalcano senza alcune remora deontologica. Al rispetto dei fatti giuridici (ebbene si esistono anche i fatti giuridici) si è ormai sostituita uno stile giornalistico basato sul kitsch-emozionale, dove prioritario è l’effetto di senso sentimentale sul lettore/spettatore. Un effetto di senso che lusinga il destinatario secondo un accorta retorica, i cui stilemi sono l’indignazione costante, il compiacimento dell’impotenza politica, la sfiducia per le istituzioni e il risentimento permanente per una dimensione privilegiata e ingiusta che lo esclude. E il fatto di cronaca resta solo un pretesto per ribadire tutto questo periodicamente, quasi fosse un rituale.

Che cosa si può fare per rimediare a questa deriva? Oltre alla critica intellettuale che ciascuno di noi può esercitare scrivendo, si impone un ripensamento dell’educazione del cittadino per il nostro contesto contemporaneo mediatico e disincantato. Non può bastare l’elogio paternalistico della Costituzione, piuttosto servono nuove strategie d’azione intellettuali ed educative. Perché, come ha giustamente notato Christian Raimo su Internazionale, alla base di questi comportamenti c’è “una diseducazione giuridica di massa”. Ognuno di noi può infatti ricordare come dagli anni Settanta in poi l’educazione civica, per quanto prevista nei programmi ministeriali, sia stata sistematicamente ignorata da insegnanti e dirigenti scolastici. La mentalità diffusa che è alla base del populismo penale è anche il risultato di queste lacune di Stato.

E quindi se per il caso Scattone dobbiamo proprio tirare in ballo la scuola lo dobbiamo fare per chiedere (al ministro dell’Istruzione?) che vengano prese misure sostanziali per far fronte all’analfabetismo giuridico dilagante, così come si fa del resto per il bullismo o per l’alcolismo. Altrimenti come possiamo pensare di stare nel gioco della società senza conoscerne le regole?

Manuel Anselmi
Fonte: www.minimaetmoralia.it
Link: http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-vicenda-scattone-e-il-populismo-penale/
12.09.2015


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