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Le divergenze tra il compagno Bagnai e noi


Tao
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Ci giunge notizia che Alberto Bagnai si è finalmente deciso a scendere in campo, che sta per lanciare un manifesto, allo scopo di aggregare energie nuove per, evidentemente, dare vita ad un movimento politico per l’uscita dell’Italia dall’euro. E’ un’ottima notizia. Ma dire no all’euro non è sufficiente. Dall’euro si può uscire in tanti modi e addirittura con opposte finalità. Ci sono quindi aspetti teorici e politici che la questione dell’uscita tira in ballo. Di questo vogliamo parlare.

«La teoria economica dice questo: in un’area valutaria in cui non c’è mobilità, non ci sono trasferimenti e per di più avviene uno shock, si ha un collasso. L’aspetto criminale dei fondatori dell’Euro è che tutto questo lo sapevano, e non solo non han fatto nulla, ma anzi l’hanno fatto apposta: la crisi dell’Euro di oggi era inevitabile». [1]

Questa sentenza senza appello non l’ha pronunciata Alberto Bagnai, bensì quel liberista incallito di Luigi Zingales. Seppur tradendo una certa falsa modestia Bagnai ci dice infatti:
«Non per fare il “precisino”, ma vorrei chiarire subito che quelle che in Italia sono indicate come le “mie” tesi sull’euro in realtà di mio hanno ben poco. Ci tengo sia per onestà intellettuale (non sarebbe bello attribuirsi idee altrui), sia per far capire quanto sia indietro il dibattito in Italia (dove tesi comunemente accettate all’estero ancora sembrano rivoluzionarie)». [2]

Noi non ci occuperemo tuttavia dei difetti di Bagnai ma se c’è una teoria economica che soggiace alle sue posizioni e, se c’è, di quale essa sia.

I followers di Bagnai cadranno dalle nuvole: “Di quale teoria economica state parlando? Alberto snocciola dati e fatti così come si presentano, si limita ad interpretarli, di teorie sistemiche non c’è bisogno”.

I “dati”, i “fatti”. Non dovrebbe essere necessario scomodare Kant per capire che la nostra conoscenza non viene dal mero riflettere fatti empirici nella nostra mente, che essa è invece possibile perché la nostra ragione li afferra e li ordina necessariamente in base a criteri e forme a priori. Quindi può interpretarli. Siccome stiamo parlando di fenomeni sociali, e dato che la società è composta di classi e segnata da conflitti, ogni giudizio su di essi, per quanto pretenda di essere “oggettivo”, contiene implicita una concezione “soggettiva”. Nessuna interpretazione è innocente.

Immaginiamo l’obiezione dei seguaci: “ammesso che sia così, se Bagnai ha tirato conclusioni giuste sull’euro e il suo fatale destino, la sua teoria economica è evidentemente corretta”. Prima contro-obiezione: se anche Zingales, un ultra-liberista seguace di Milton Friedman e grande estimatore del thatcherismo, quindi apparentemente molto distante dalle concezioni di Bagnai, predica l’insostenibilità di una moneta unica per più paesi che non sia affiancata da comuni politiche fiscali, di bilancio e sociali, rivela appunto che si può trarre un medesimo giudizio di fatto, pur avendo differenti giudizi di valore. Seconda contro-obiezione: il fatto che per secoli i marinai abbiano solcato i mari e tracciato con estrema precisione le loro rotte pur basandosi sull’idea che la terra fosse il centro dell’universo non rende evidentemente giusta la teoria geocentrica.

Potete scavare in lungo e in largo nella copiosa produzione di Bagnai, a cominciare da “Il tramonto dell’euro”, per quanto possa sembrarvi paradossale non troverete mai il concetto di “crisi del sistema capitalistico”. Il fatto che ciò lo accomuni allo schieramento bipolare degli economisti mainstream divisi, così si dice, tra ortodossi ed eterodossi, non rende meno grave questa spaventosa deficienza. Una prova lampante che tutti costoro, liberisti e pseudo-keynesiani, pur accapigliandosi, si basano sul medesimo paradigma, la cui genetica caratteristica è quella di dare per scontato che quello capitalistico non è un sistema storicamente determinato, con contraddizioni sue proprie, bensì destinato ad essere eterno. Tutt’al più esso conoscerebbe solo “squilibri”, quindi essi si dividono solo sulle terapie: su come detti squilibri necessariamente momentanei debbano essere superati.

Conosciamo l’antifona: “ariecco i soliti marxisti tetragoni!”. Voilà il sintomo infallibile della momentanea vittoria del cosiddetto “pensiero unico”, la medaglia di cui neoliberismo e neo-keynesismo sono le due facce. Una tombale amnesia sembra essere calata sulla teoria economica, lo stigma della pervasività delle teorie dei seguaci contemporanei dei neoclassici o marginalisti che seppellirono brutalmente come “metafisiche” non solo le riflessioni di Marx, ma pure quelle di economisti come Smith, di Ricardo, di Sismondi, di Malthus, di J.S. Mill, di Schumpeter, di Marshall, di Galbraith, che pur essendo ognuno in qualche modo liberisti, almeno indagavano le contraddizioni e si chiedevano quale fosse il destino del sistema capitalistico.

Tutti questi grandi economisti sono stati “grandi” appunto perché non si sono limitati ad osservare i fenomeni, essi hanno cercato di svelare le loro intime connessioni, di scoprire le leggi a cui una data formazione economico-sociale ubbidisce (non fermandosi alla banalità che i prezzi soggiacciono al gioco della domanda e all'offerta), senza sfuggire alla questione di quale sarebbe potuto esserne l’approdo. Pur avendo svelato cause anche molto diverse fra loro, malgrado si siano divisi sul dopo, tutti sono giunti alla medesima conclusione: il capitalismo sarebbe perito sotto il peso delle sue contraddizioni intrinseche.

Tutto questo ricchissimo patrimonio teorico e scientifico sembra andato perduto, seppellito dalla folta schiera di economisti tutti indaffarati nel tentativo disperato di dare un senso al terrificante caos in cui si dimena il capitalismo-casinò. Sono così nate le più diaboliche discipline, le più disparate metodologie, i più funambolici modelli: finanza frattale, econometria, curve di differenza, moltiplicatori monetari, funzioni translogaritmiche. Chi più ne ha più ne metta.

Anche molti presunti keynesiani fanno appunto parte di questa schiera di insabbiatori. Come se, per meritarsi la qualifica di keynesiano fosse sufficiente ripetere come un mantra che occorre stimolare la domanda aggregata durante le recessioni incrementando la spesa pubblica, porre riparo agli squilibri delle partite correnti, ergo disporre di sovranità monetaria.

Si converrà che per spacciarsi tali occorre accettare, assieme a certe premesse dottrinali di Keynes — la critica alla teoria smithiana della “mano invisibile” per cui il mercato si autoregola da solo; quindi il rifiuto della legge di Say, oro colato dei neo-classici; per cui l'offerta aggregata crea la propria domanda, la critica alla concezione marginalista del capitale — anche la sua visione generale per cui, dato che il capitalismo tende per sua natura allo squilibrio (o sovrapproduzione) la funzione della politica economica sarebbe quella di accompagnarlo verso la sua inesorabile fine a favore di un ordine sociale più razionale. [3]

Maledetta economia teorica! Il guaio è che senza una teoria generale non si va lontano, e senza questa non possiamo spiegarci la malattia congenita che affligge il sistema capitalistico, quindi non avremo alcuna terapia degna di questo nome. Per cui a noi va bene anche chiamarli tutti quanti “neo-keynesiani”, compresi i Krugman, gli Stiglitz e i Roubini, ma nel senso di “mezzi-keynesiani”. [4]

Non è per caso che costoro si guardano bene dallo spiegarci come mai il cosiddetto “periodo d’oro del capitalismo”, che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni ’70, che si è svolto appunto all’insegna del keynesismo, sia crollato e abbia lasciato il posto a quello che chiamiamo (in attesa di una definizione più stringente e adeguata) capitalismo-casinò, convenziona
lmente neoliberismo.

Bagnai per primo evita di porsi certe “scabrose” domande —salvo prendere sdegnato le distanze dalle tesi “complottiste” come quella dei seguaci della Modern Money Theory, che pur ricorrendo alla conspiracy delle sette dominanti, almeno una risposta cercano di darsela.

La tesi di Bagnai è alquanto semplice (ciò che non rende inutile leggersi il suo ponderoso Il tramonto dell’euro). Proviamo a ricapitolare la concezione generale di Bagnai: (1) la crisi non chiama in causa la struttura del sistema capitalistico, essa trae origine da alcuni “squilibri”; (2) dipende dal fatto che i debiti privati sono diventati pubblici; (3) se è anzitutto crisi dell’eurozona, ciò dipende dallo squilibrio delle partite correnti e delle bilance commerciali; (4) l’euro è causa essenziale poiché, con le parità fisse, impedisce alle leggi di mercato di farsi valere anche nella sfera valutaria.

La cura per uscire dal marasma è quindi semplice: tornare alle valute nazionali, e, grazie al gioco compensativo delle svalutazioni e rivalutazioni, i mercati capitalistici, compresi quelli finanziari torneranno a scoppiare di salute.

Questa tesi sulle cause della crisi fa acqua da diverse parti, ed è come minimo semplicistica. E per quanto attiene alla terapia, vorremmo sottolineare che dall’euro si può uscire in diversi modi, anche “da destra”, fascisticamente, o magari proprio con un governo del sempiterno Berlusconi, ovvero usando svalutazione e inflazione per affamare ulteriormente i salariati, obbligandoli a sgobbare per quattro soldi. Lo crediamo bene che così il capitale tricolore aumenterebbe la sua produttività e si risolleverebbe aggrappandosi alle esportazioni. Ciò che, malgrado tutte le improperie contro il “luogo comunismo”, finisce proprio per giustificare i sinistrati i quali ti dicono che, dati i rischi… tanto vale tenersi la moneta unica e sparire in un super-stato europeo.

Tutto ciò cela, eccome! una teoria economica. Una pietanza in cui frattaglie di keynesismo vengono condite alla rinfusa con un pizzico di mercantilismo protezionistico (quello che sta applicando la Germania), quindi forti dosi di libero-scambismo smithiano — privato però del suo discorso, pur impreciso, sulla caduta inevitabile del saggio di profitto e del suo aspetto anti-liberista [5]. Il tutto per servirci un insipido piatto neo-classico.

Già, i neo-classici, i marginalisti i quali, liquidando come metafisico ogni tentativo di dare basi oggettive alla teoria del valore, tagliarono la testa al toro affermando che questo, lungi dall’essere creato anzitutto a monte, nella sfera produttiva, si determinerebbe a valle, in quella del consumo, sarebbe quindi puramente soggettivo. Scompare del tutto l’analisi delle merce e del suo valore di scambio, che è considerata solo dal lato del suo valore d’uso, valendo quindi solo per il fatto di essere di qualche utilità al consumatore finale. Conterebbe cioè solo il prezzo, stabilito dalla “legge” della domanda e dell’offerta. Un letterale capovolgimento da cui deriva un’idea astrusa del capitale, considerato come mero sinonimo di mezzo di produzione (e non come rapporto sociale), come se un grande complesso industriale nel quale lavorano migliaia di salariati, equivalga all’arco e alle frecce del cacciatore preistorico o alla zappa del servo della gleba. Di qui l’idea che il capitale sia un sistema “naturale” in quanto tale destinato all’eternità. Si fa subito, seguendo questa pista, a considerare il profitto come legittima remunerazione del capitalista, giusta ricompensa del fatto che invece di consumare il suo reddito lo investe a rischio per creare ricchezza supplementare. Piccola domandina: da dove gli viene questo profitto? Non sarà mica che egli si appropria del plusvalore prodotto dai salariati?

Per i classici, e soprattutto per Marx, l’economia capitalistica consiste invece in produzione di valore, il quale ha come fine la propria valorizzazione. In altre parole: il capitale produce delle merci le quali hanno sì un valore d’uso che soddisfa bisogni, ma questo per il capitale è solo un mezzo, essendo il suo scopo la propria valorizzazione, il proprio illimitato accrescimento. E’ proprio la nativa insaziabile sete di profitto di innumerevoli capitali in cieca concorrenza fra loro che per Marx determina le crisi più catastrofiche, che implicano distruzione su larga scala di forze produttive (solo in Italia la produzione industriale, dal 2009, è crollata del 20%).

Ed è proprio a causa di queste crisi cicliche sempre più devastanti, alle prese con la necessità di investimenti sempre più massicci che offrono rendimenti sul lungo periodo e quel che è peggio decrescenti, che il tardo-capitalismo (capitalismo senescente) tende a preferire l’interesse al plusvalore, la rendita finanziaria insomma, il processo corto per cui il denaro deve produrre un guadagno saltando le fatiche del ciclo produttivo di merci (da cui solo nasce il plusvalore).

Detto di passata: Bagnai non vede questa metamorfosi del tardo-capitalismo — la trasformazione del grosso della borghesia in classe parassitaria, come aveva colto Shumpeter, e, prima di lui, Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo come “fase suprema” quindi terminale del capitalismo — ciò che gli impedisce di afferrare le cause del crollo del sistema finanziario americano del 2007-2008.

E’ in questa metamorfosi del sistema capitalistico, il peso preponderante della sfera finanziaria, che si spiega la fenomenologia delle crisi dal 1929 in poi, che consiste in terremoti valutari, in crack bancari, bolle borsistiche, o in default di debiti sovrani, fino all’ultimo patatrac, quello dei subprime negli Stati Uniti —che ha innescato la crisi globale nella quale il capitalismo, non solo euro-atlantico, è ancora avviluppato.

Abbiamo detto che alla domanda del perché la crisi scoppiata negli USA si sia riverberata più pesantemente in Europa Bagnai, spinge solo tre tasti del suo clavicembalo: debito privato! Bilance dei pagamenti! euro! Repetita juvant, sottolinea spesso il Nostro. Anche troppo, grazie. Lo fa squadernando una panoplia di grafici e tabelle. La sua specialità. Ovviamente ciò non spaventa nessuno, ma impressiona assai coloro che, mossi da una sincera passione civile e da un sano disprezzo per il partito unico degli euristi, si sono gettati con foga nella disputa “euro sì, euro no”. Per costoro, non certo colpevoli per essere dei principianti, le tabelle di Bagnai hanno un effetto stupefacente, nel senso letterale del termine. Creano un’illusione d’irrefutabilità.

Concludiamo:

- Per quanto occorra sbarazzarsi al più presto di quel mostro che è la moneta unica, essa è una concausa, per quanto decisiva, della crisi sistemica, ma la radice più profonda è nella crisi del processo di accumulazione e valorizzazione del capitale su scala globale.

- Finché l’economia globale funzionerà in base alle leggi capitalistiche, fino a che tutto è merce e le stesse valute sottostanno alle leggi di mercato, fino a quando si resta entro il perimetro imperialistico dei mercati finanziari, [6] non c’è sovranità monetaria che tenga e si è comunque esposti a crisi valutarie e attacchi speculativi della finanza predatoria, con l’euro o la lira.

- Anche paesi con bilance dei pagamenti in surplus possono essere colpiti da crisi gravissime. Fu il caso della Gran Bretagna, lo fece notare proprio Keynes, che nel 1929 aveva una produzione industriale superiore a qualsiasi momento precedente e un attivo netto della bilancia dei pagamenti superiore perfino a quello degli Stati Uniti.

- Nel capitalismo-casinò tra debiti privati e debiti pubblici c’è una connessione stringente, una relazione osmotica, a monte e non solo a valle. Se uno Stato, per finanziarsi, getta il suo debito sui mercati finanziari globali (come avvenne per l'Italia dopo gli anni '80), a certe cond
izioni, esso può esporsi al rischio di default, malgrado i suoi debiti privati siano sostenibili.

- A certe condizioni importare capitali, e quindi un deficit di conto corrente, può essere addirittura salutare per un paese che voglia attivare un virtuoso ciclo di accumulazione (il caso più evidente: la Cina). Ciò che chiama quindi in causa le scelte delle sue autorità e della sua classe dominante. [6]

- E' certo necessario contrastare gli euristi che terrorizzano i cittadini descrivendo scenari apocalittici con la fine dell’euro. E’ un gravissimo errore, tuttavia, sottovalutarne le conseguenze, e considerare la svalutazione della nuova lira come una panacea. Se con l’uscita non reintrodurremo l’indicizzazione dei salari, l’inevitabile inflazione sarà una macelleria sociale peggiore della deflazione montiana — non vorremmo sbagliarci ma in 413 pagine Bagnai mai ha sottolineato la necessità di reintrodurre la scala mobile.

- In Europa la finanza speculativa, i derivati, il flash trading, il mercato dei titoli OTC, le vendite allo scoperto, i sistemi di negoziazione dark pool, sono forse più diffusi che negli Usa. Anche per questo sono epicentro della crisi globale.

- La scienza statistica e l’econometria sono strumenti utili, ma non sono discipline da cui si possono tirar fuori leggi scientifiche, e che quindi ad una tabella gliene si può opporre un’altra di diverso segno. [7]

- Per cui: (1) dobbiamo solo “uscire dalla crisi” o anche da un modello sociale condannato per sua stessa natura alla crisi permanente? (2) Il nostro nemico è solo l'euro e i politicanti-oligarchi che lo difendono, o lo sono anche le classi sociali per i cui interessi è stato costruito e viene tenuto in vita?

Troppo complesso, troppo radicale, non fa trendy. Meglio piccole pillole di saggezza econometrica. Per dirla alla Grillo: “l’economia non è né di destra né di sinistra, riguarda tutti i cittadini”.

Vogliamo augurarci che col suo manifesto Bagnai non voglia suonarci questa stucchevole melodia e ci dica, oltre che bisogna uscire dall’euro, come e con chi ricostruire questo paese, quale blocco sociale dobbiamo costruire per vincere quello oggi dominante, e quale potrà essere la forza motrice dell’alternativa.

Moreno Pasquinelli
Fonte: www.campoantimperialista.it
25.05.2013

Note

[1] Luigi Zingales intervista di Umberto Mangiardi del 19 dicembre 2012
[2] Intervista a rischio calcolato del 20 febbraio 2013
[3] J.M. Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti, 1930
[4] Non si interpreti quanto scriviamo come un’apologia del pensiero di Keynes, ne siamo ben lontani, anche dal suo concetto di Pil di evidente matrice neoclassica per cui esso sarebbe la somma di consumi e investimenti, di lavoro produttivo e improduttivo. Concetto di cui i liberisti si sono infatti ben guardati dallo sbarazzarsi.
[5] «Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all'ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze, […] per superare tutti gli altri concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. […] la società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l'un l'altro». Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, 1759
[6] Bagnai ritiene impensabile la rottura o la fuoriuscita dai mercati finanziari, che sono com'è noto dominati, nel senso che detta legge la finanza predatoria globale. Non a caso il Nostro ritiene inconcepibile disdettare il debito pubblico italiano verso grandi banche e fondi speculativi: solo verso quelli esteri ammonta a qualcosa come 800 miliardi di euro. Da nessuna parte propone la nazionalizzazione delle banche italiane, che hanno la pancia piena di titoli con cui rattoppano i loro asset e coi cui guadagni ripagano le perdite accumulate coi giochi in derivati. Infine: da nessuna parte ha mai suggerito o anche solo alluso, tanto per dire, sulla scia di Keynes, ad un nuovo ordine finanziario e monetario internazionale
[7] Sbaglia dunque Bagnai a liquidare come fuffa la protesta popolare contro “la casta”. Il disprezzo trasversale verso le elite politiche italiane è sacrosanto poiché chiama in causa non solo la loro corruzione, ma il loro servilismo verso monopoli e finanza globale, il loro fallimento strategico, le loro corte vedute.
[8] Valga per tutti la recente figuraccia fatta dai due notissimi metro economisti Kenneth S. Rogoff e Carmen M. Reinhart. In un loro lavoro del 2010 i due harvardiani avevano “dimostrato” con una messe di statistiche e tabelle che sopra una certa soglia di spesa pubblica arriva la recessione. E’ bastato che uno sconosciuto studente di econometria di un altro ateneo, l'università Amherst del Massachussets, a far crollare il loro castello di carte. Incaricato di ripercorrere i calcoli dei due economisti, ha riscontrato diversi errori nelle tabelle Excel dello studio dei due, e perfino l'omissione dei dati riguardanti diversi paesi, come Spagna e Nuova Zelanda.


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mincuo
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Il fatto è che Bagnai è un economista, non un Moreno Pasquinelli.
E di Smith, Ricardo, Sismondi, Malthus, J.S. Mill, Schumpeter, Marshall, Galbraith qualcosa avrà sicuramente studiato, invece di citarli come Moreno Pasquinelli, quindi non vi avrà trovato la mitica fine prossima del capitalismo "sotto il peso delle sue contraddizioni" annunciata al popolo da 150 anni e da allora ripetuta fedelmente ogni anno da milioni di oche, e che poi non è altro che la versione "economicista" dell'Olam ha-Ba.
(N.B. Questa frase senza senso ripetuta da sempre tale e quale è una specie di parte di un inno tipo: "Siam pronti alla morte l'Italia chiamò").
Come si vergognerà ad usare troppo di frequente lo stesso termine capitalismo, che non significa molto di preciso e la cui vaghezza e indeterminatezza è appunto l'ingrediente necessario per l'allevamento di oche.
Certamente poi essendo un economista e non un Moreno Pasquinelli la teoria del "plus valore", "del saggio del valore" o della sua caduta si vergognerà abbastanza a tirarla fuori perchè è pressapoco dai tempi di Bohm Bawerk che una collezione di stronzate simili non le considera più nessuno (come peraltro neanche quelle di Smith e Ricardo) e restano solo per il beota medio in genere sotto forma della "magistrale analisi di Marx" altro ritornello del breviario ripetuto tale e quale e cioè un altro "Siam pronti alla morte l'Italia chiamò".
E d'altronde lo stesso Carletto se ne era accorto che le cose del primo libro facevano a pugni con quelle del terzo libro e veramente aveva pure detto che avrebbe scritto qualcosa per vedere di conciliare l'inconciliabile. Poi è morto quindi non se ne è fatto più nulla. Marx economista è pressapoco uno zero assoluto, pure un ignorante e un pasticcione in matematica dove mescolava perfino i nominali coi reali.


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Anonymous
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non vi avrà trovato la mitica fine prossima del capitalismo "sotto il peso delle sue contraddizioni" annunciata al popolo da 150 anni e da allora ripetuta fedelmente ogni anno da milioni di oche....Marx economista è pressapoco uno zero assoluto, pure un ignorante e un pasticcione in matematica dove mescolava perfino i nominali coi reali.

se ne sai del Marx economista quanto del Marx politico, allora mi sa che lo zero assoluto sei tu. Potresti citare dove e quando il signor Marx ha mai scritto "il capitalismo crollerà prossimamente, ovvero tra X anni, alle ore X del giorno X?"
E' una domanda retorica, eh,.


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Raziel79
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Personalmente trovo l'articolo molto interessante....
Invito tutti (soprattutto se si parla di un Marx, filosofo, politico, economista, con una produzione enciclopedica) alla calma e alla razionalità.
Per Mincuo... tanta "acredine" solitamente denuncia debolezza delle idee
invece di attaccare sul personale "Il fatto è che Bagnai è un economista, non un Moreno Pasquinelli. ". Ti invito a entrare nel merito dei ragionamenti dell'articolo.. nella tua replica non l'hai fatto...
Quanto a quello che dici su Marx, alcune osservazioni sono condivisibili, altre molto meno... ma rimangono "fuori tema" e cmq un po' di elasticità mentale non guasterebbe.

"Eugen von Bohm-Bawerk, considerato, insieme a Carl Menger, il fondatore della scuola austriaca in economia, nel suo Karl Marx e la fine del suo sistema (1896), formulò la prima rilevante critica di incoerenza rivolta a Marx.
Egli ritenne di dare una spiegazione del fatto che Marx, nel Libro I parla di valori e successivamente, nel III, di prezzi di produzione con la circostanza che il teorico del comunismo era un positivista. Marx, secondo il suo critico, dopo un primo approccio "metafisico" al problema del valore (Libro I), osservò l’economia reale e vi vide solo prezzi e non valori (Libro III). Vi vide la superficie delle cose e nient’altro. In sostanza partì dall’astratto verso il concreto, con un metodo sbagliato che produsse un risultato sbagliato.
In ambito marxista si risponde a questa critica con due osservazioni. La prima fa riferimento al metodo usato e dichiarato da Marx, secondo cui l’ordine dell’esposizione non coincide con quello dell’analisi. Quest’ultima parte dal concreto (un insieme caotico di fatti) per individuarvi alcune essenziali determinazioni astratte per poi, da quest’ultime, ricostruire il concreto, questa volta non descritto caoticamente, ma sistematizzato mediante lo sviluppo delle determinazioni più astratte. Il concreto non è nient’altro che la concentrazione e lo sviluppo di molte, diverse e contraddittorie determinazioni essenziali.
La seconda osservazione, che è una conferma empirica della prima, riguarda la cronologia del lavoro di Marx, che all’epoca dell’intervento di Böhm-Bawerk non era ancora nota. Infatti, la stesura dei manoscritti noti come terzo libro del Capitale - in realtà degli abbozzi non destinati alla pubblicazione - è antecedente alla stesura del primo libro, l’unica realmente data alle stampe da Marx stesso, prima della sua morte. Se egli fosse stato un positivista, dopo aver scoperto i prezzi di produzione, non sarebbe tornato alla categoria metafisica del valore. È più ragionevole pensare che vi sia tornato perché non ha ravvisato nei prezzi di produzione nessuna contraddizione, bensì una conferma dell’astrazione determinata del primo libro.
"
....Facile facile ... fonte Wikipedia
oltretutto quindi...
"E d'altronde lo stesso Carletto se ne era accorto che le cose del primo libro facevano a pugni con quelle del terzo libro e veramente aveva pure detto che avrebbe scritto qualcosa per vedere di conciliare l'inconciliabile. Poi è morto quindi non se ne è fatto più nulla...."
E' semplicemente falso.... Marx era già morto all'epoca della pubblicazione del terzo libro...
... ma tanto solo gli altri collezionano "stronzate simili"....
Vogliamo entrare in merito alla critica alla teoria del "plusvalore" ?


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mincuo
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non vi avrà trovato la mitica fine prossima del capitalismo "sotto il peso delle sue contraddizioni" annunciata al popolo da 150 anni e da allora ripetuta fedelmente ogni anno da milioni di oche....Marx economista è pressapoco uno zero assoluto, pure un ignorante e un pasticcione in matematica dove mescolava perfino i nominali coi reali.

se ne sai del Marx economista quanto del Marx politico, allora mi sa che lo zero assoluto sei tu. Potresti citare dove e quando il signor Marx ha mai scritto "il capitalismo crollerà prossimamente, ovvero tra X anni, alle ore X del giorno X?"
E' una domanda retorica, eh,.

E chi l'ha scritto? Sai leggere? Mi potresti citare dove l'ho scritto genio?
Io ho scritto che è da 150 anni che si predica la fine imminente del capitalismo, non che l'ha scritto Marx e men che meno l'ora X.

P.S. La pochezza in economia non è mica un'opinione mia. Puoi farti una cultura ampia anche da solo. Sempre se quando leggi capisci anche quel che c'è scritto.


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mincuo
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Da parte marxista Reziel 79 non si fa altro che dire menzogne, pardon "interpretare", da un secolo.
Fosse solo quella delle merci....
Per me ti puoi tenere tutto quel che ti pare, tu come chiunque, che mi frega, informo la gente che nessun economista decente sta in giro per il mondo da decenni con queste idiozie, nè con quelle di Adam Smith sul valore, compresi quelli cosiddetti Marxisti.
Poi a me non frega niente, che se le tengano. Si sono tenuti per 40 anni il Paradiso dei lavoratori, e ancora oggi una buona parte, hai voglia. E dire che quello si vedeva bene, figurarsi dove non capiscono nemmeno di cosa si parla.
"L'analisi economica magistrale" per me può anche durare in eterno. Come la "fine imminente" del capitalismo, che la trovi tutti i giorni oggi come 10 20 30 40 50...anni fa.


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Kevin
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Il bello di Marx è che tutti cercano di scansarlo.
Se parli con i filosofi ti dicono che Marx era un economista.
Se parli con gli economisti ti dicono che Marx era un filosofo.
Se anche Hegel avesse fatto la stessa fine probabilmente non avremmo avuto i totalitarismi del secolo scorso (anche se non solo lui, ci sarebbe da buttare alle ortiche quasi tutta la filosofia degli ultimi 250 anni)


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Raziel79
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...Mincuo mettila come ti pare... io ho il sospetto che Marx non te lo sia mai letto che, al limite, le tue sentenze sputate, pardon opinioni, si basino sulla sola lettura delle critiche..... sbaglierò....


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omicron
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"E per quanto attiene alla terapia, vorremmo sottolineare che dall’euro si può uscire in diversi modi, anche “da destra”, fascisticamente, o magari proprio con un governo del sempiterno Berlusconi, ovvero usando svalutazione e inflazione per affamare ulteriormente i salariati, obbligandoli a sgobbare per quattro soldi."

Affamare i salariati obbligandoli a sgobbare per quattro soldi è quello che già accade e accadrà se restiamo nell'euro. Poi come la "svalutazione e inflazione" arriveranno e colpiranno i salariati in seguito all'"uscita da destra", me lo deve spiegare, costui.

Sembra il classico imbecille che confonde svalutazione e inflazione.


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Jor-el
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Fino a ieri i "marxisti" tipo Pasquinelli dicevano che non bisognava uscire dall'Euro perché questo avrebbe significato un ritorno alla forma stato-nazione che l'Unione Monetaria Europea avrebbe "superato" o contribuito a superare. Oggi, finalmente, anche loro hanno capito che la questione della sovranità monetaria è di fondamentale importanza e che le elite europeiste saranno pure "progressive", però ci stanno facendo pelo e contropelo, per cui una posizione chiara sulla moneta unica bisogna prenderla.
Ma c'è un altro scoglio da superare, dicono i "marxisti": cercare di non uscire dall'Euro "da destra". Mmh. Gran brutta partenza. Peggiorata dal fatto che si richiede, per uscire dall'Euro dalla parte giusta (da sinistra), di prendere una posizione sul Capitalismo. Dunque, non vorrei fare del benaltrismo, ma un marxista dovrebbe, per prima cosa, lasciare perdere per un momentino la parola "Capitalismo" e decifrare quello che è il sistema economico politico attualmente egemone, chi lo controlla e come. Ci si potrebbe rendere conto che tal sistema di potere non è esattamente il Capitalismo come veniva descritto nel secolo scorso (il 20esimo).


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bvzm1
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Mah, mincuo i marxisti interpretano e i non marxisti non sanno che il terzo libro del capitale è precedente al primo. Vedi tu chi dice cazzate peggiori.


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Anonymous
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Come si vergognerà ad usare troppo di frequente lo stesso termine capitalismo, che non significa molto di preciso e la cui vaghezza e indeterminatezza è appunto l'ingrediente necessario per l'allevamento di oche.

Capitalismo = modo di produzione legato alla proprietà privata del mezzo di produzione e al lavoro salariato. Per estensione modello economico basato sulla creazione di profitto.

Certamente poi essendo un economista e non un Moreno Pasquinelli la teoria del "plus valore", "del saggio del valore" o della sua caduta si vergognerà abbastanza a tirarla fuori perchè è pressapoco dai tempi di Bohm Bawerk che una collezione di stronzate simili non le considera più nessuno

Allora spiegami come mai H&M produce le sue magliette in Bangladesh... o come si è passati dal capitalismo produttivo e legato al territorio al capitalismo finanziario globale... sono proprio curioso di sentirlo...
Bawerk... uno della scuola austriaca, sai che fonte attendibile...
Se poi tiri fuori il teorema di Okishio, è stato confutato decine di volte. Trovane un altra...

Marx economista è pressapoco uno zero assoluto

Era un filosofo, ma qui hanno già risposto molto meglio di quanto possa farlo io...


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