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Libertà


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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La libertà non è facile da definire, perché a differenza della categoria “cane” o “pesce”, non rimanda a qualcosa di concreto e pur tuttavia non è qualcosa di astratto, non è un concetto e nemmeno un generalismo: è un esperienza in briciole e fa parte di una nota (ai ricercatori) categoria di conoscenze umane che non hanno significazioni descrivibili ma sono fenomeni che sono rivelati solo con l'esperienza, sono conoscenze integralmente pratiche.

La qualità delle conoscenze pratiche è che non sono comunicabili finché i soggetti che comunicano non hanno l'esperienza comune e possono quindi riconoscerla reciprocamente. In verità la maggioranza delle nostre esperienze rimandano a qualcosa di concreto. In campo educativo qualche decennio fa si discuteva di come i bambini avessero perso il significato di “pollo”, dato che non vi associavano un volatile vivo e sgambettante che mangia semi, ma quella massa di pelle, carne e ossa giallognola che appare nelle macellerie o persino quella già fatta arrosto.
Presentando loro un pollo vivo, non sapevano riconoscerlo.

Tuttavia vi sono esperienze più complesse di quelle dei sensi che ci permettono di esplorare il mondo. Ad esempio “dolore” non è detto che faccia riferimento a qualche evento esterno al mio corpo, anzi spesso non è così. Anche “fatica” è difficile da definire per tramite dei sensi esterni e si differenzia molto da “pollo”, anche se la vista mi permette di riconoscere se qualcuno sta facendo fatica: è l'insieme di sensazioni interne al mio corpo associata a ciò che osservo che mi permette di dire se una persona sta facendo fatica o è affaticata, mentre “pollo” è una cosa che sta lì da osservare, non attiene necessariamente categorie di significato che includono “sensazioni interne”.

Andando avanti troviamo “batticuore” che può indicare l'esperienza di aver corso per un certo tratto o aver visto qualcuno verso cui ci sentiamo attratti e in entrambi i casi il respiro cambia ritmo insieme al cuore per cui abbiamo “sintomi” simili per eventi tra loro molto differenti. Cosa cambia? Cambiano le sensazioni interne, nel primo caso posso sentirmi a disagio o stanco, nel secondo potrei sentirmi euforico o timoroso ma è evidente che rimane difficile il contrario.

Ora, cosa accade se dovessi avere un esperienza emotiva di intensità inusuale, per esempio una NDE (Near Death Experience)? Come la descrivo ad altri, come la comunico a quanti non hanno quella esperienza? Qualsiasi esempio cercassi, dovrebbe stare tra le esperienze già presenti nelle vite del mio prossimo e quindi rischia di rimanere una semplificazione impossibile, cioè di rimanere confinata in un generalissimo o in una astrazione.

Siccome l'impulso umano (da quando si nasce fino a quando si muore) è quello di cercare le cause dei fenomeni, se incontro qualcuno che mi racconta di una NDE non potrò esimermi da cercarne le cause. Noi cerchiamo le cause di ogni esperienza che facciamo (persino quelle affettive, pur riconoscendo la loro caratteristica “casuale”) e quindi non c'è niente da fare. Ma questo non è il lato buio, in Ombra. Il lato in Ombra è che per noi la causa non può essere molteplice, altrimenti non è la “causa sorgente” del fenomeno. La ricerca della causa “una” di spinoziana memoria è già presente nei bambini molto piccoli, ed è alla base della fede, qualunque fede. Quindi che lo vogliamo o meno non possiamo evitare di avere una fede, possiamo solo “dimenticarcela” a un certo punto della nostra vita, cioè sprofondarla in quel lato “nascosto” della mente dove non rivolgiamo più la nostra attenzione alle cose di cui abbiamo fede (cioè le significazioni uniche delle cause del nostro comportamento). Anche se tale fede non solo continuerà a operare come qualsiasi altra “conoscenza riconosciuta” ci appartenga, ma rivestirà le stesse di un significato profondo che dominerà la nostra intera sfera emotiva. Privandoci della possibilità di sperimentare in modo profondo e complesso la libertà.

Ci riamane quindi una “libertà in briciole” da sperimentare a spizzichi e bocconi, quella di cui accennavo all'inizio. Qui sta il primo gravissimo problema: con altri potrò comunicare la libertà solo sulla base delle briciole condivise e tali briciole si riducono consistentemente più salgo la piramide del potere socialmente definito. Pensare quindi che la libertà sia raggiunta quando raggiungo la vetta della piramide sociale è un po' come pensare di poter scalare l'Everest nudo (a partire da un qualsivoglia punto più in basso almeno di qualche chilometro) e arrivare in cima senza trovarmi intrappolato dopo un eone in una parete di ghiaccio spessa quanto il permafrost artico e senza più poter sapere a che altezza mi trovo (per altro). Cioè non è una follia, è proprio “fuori discussione” (per usare una falsa metafora). Uscendo in parte della metafora e con parole diverse, pensare di “essere libero” una volta raggiunto il massimo grado sociale, partendo ad esempio già da una posizione molto elevata alla nascita, ha l'esatto significato di accettare il ruolo di satana, quello dantesco dell'ultimo girone infernale, cioè di esporsi all'esperienza continua della frustrazione e dell'impotenza totale (con tutte le conseguenze emotive del caso in primis il desiderio concente del suo opposto, la potenza totale). Nient'altro.

La verità e che noi nasciamo intrinsecamente schiavi, ma di una forma di schiavitù che non riguarda l'esterno, ma la mente. Per ciò non siamo schiavi con la necessità di un padrone, siamo schiavi e basta e questa è la nostra condanna. Non ha importanza qual'è “la soluzione” o “la causa”, dato che è una condizione intrinseca è anche imprescindibile all'Uomo: essere civili non significa essere bestie o divinità, ma stare in balia della libertà negata. L'uomo quindi sogna la condizione selvatica delle bestie o quella selvatica divina, perché sperimenta la libertà solo in briciole.

Questa condanna ci pone anche nelle condizioni di vivere una particolare ferocia latente contro noi stessi (nel caso delle tendenze depressive e suicide) e contro il mondo (nel caso delle tendenze aggressive e omicide) di cui molti altri hanno già detto anche troppo, per ciò non mi soffermerò sulla questione. Ma vista da questa prospettiva è anche impossibile non viverla con compassione a meno che non ci siamo perduti del tutto tra le Ombre.

Un modo per vedere bene il nostro rapporto con la schiavitù è quello verso gli animali: non riusciamo ad avere rapporti con loro senza rinchiuderli, addomesticarli, mettere loro il guinzaglio o farli entrare a vario titolo e grado nel mondo civile che ci siamo costruiti. In uno zoo come in un appartamento, ci risulta più facile amare le bestie che più di altre si adattano al nostro “vivere civilmente” o comunque che stanno nei recinti (mentali) per noi adeguati ad avere con loro una qualche esperienza piacevole e su questo c'è poco altro da dire. Di contro l'animale selvatico, desta impressione, evoca profonde paure a meno che non stia a debita distanza, per esempio dentro la TV o al cinema, dove è certo che la bestia (reale o fantastica che sia) può tranquillamente rimanere selvatica senza "pericolo". Ad esempio con un bel documentario sugli oranghi nel loro habitat. Diverso (ovviamente) sarebbe avere un orango in libertà nei giardinetti sotto casa dove ci portiamo i nostri bambini. Tutto questo pare logico, scontato, non ci viene in mente che l'alternativa delle cause, non è che noi dovremmo essere bestie come l'orango per vivere serenamente accanto a lui, oppure che è un po' colpa dell'Orango in quanto specie che non si sa adattare alla nostra vita civile, contrariamente ad altre “addomesticate”, ma che sarebbe logico e scontato per noi avere le strategie per vivere nell'ambiente dell'Orango e in tutti gli altri “selvatici” che dovrebbero essere gli unici e condivisi. Ma non è così. N
oi abbiamo cioè profondamente alterato tutti gli equilibri ambientali e tutti gli ecosistemi perché ci restituissero “piacere di viverli”, come se rispetto a tutti i viventi di questo pianeta, noi fossimo così “alieni” che nessuno degli ambienti preesistenti concepiti da milioni di anni di evoluzione, ci andassero bene così com'erano. Com'è possibile?

Non ho la risposta, se non di fede, per ciò vale quel che vale. Io credo che la nostra condizione di schiavitù sia garantita da “guardiani” che ci impediscono di esistere entro guide di senso che siano compatibili con l'ambiente in cui viviamo, fosse anche solo la relazione reciproca umana e quindi la nostra “naturale” tendenza ad essere animali sociali. Non sono necessariamente corporei, mi basta saperli manifesti nella mente come pensieri dato che la mente per l'Uomo rimane è il “campo di battaglia” per antonomasia, dove sono forgiate e poi vincolate le catene di questa nostra schiavitù.

Verso di noi i guardiani, questi “carcerieri”, sono esclusivamente (per le condizioni a cui ci riducono) vampiri (cioè sono quel che sono esclusivamente finché ci tengono vincolati ai nostri pensieri distruttivi) ma a me piace vederli in genere come Ombre, perché la loro manifestazione permane indiretta e per tramite o per mezzo del pensiero, per ciò dire che sono “pensieri cattivi” o entità che ci conducono alla perdizione, alla follia o disgrazia è identico. Non ci cambia l'equazione. Però cambia notevolmente il nostro giudizio verso l'Uomo. E' molto diverso credere che un pensiero appartenga o sia tutt'uno con la persona che lo possiede o che invece sia il suggerimento di un entità esterna, l'aggiunta di un parassita al complesso di pensieri positivi che ci appartengono nativamente e che ha come esito finale quello di nutrire il parassita e null'altro, e che la sua azione anche quando appare buona (per esempio tiene rinchiusa la nostra "indole selvatica") finisce per corrompere qualcosa (anche piccolo) della nostra esistenza che ci apparteneva di diritto, senza che ci si accorga di alcunché.

Certo, l'alternativa a questa retorica ci pare anche sia quella delle bestie selvatiche e non ci piace (tipo "non vorrai tornare alle caverne?") in quanto è perennemente associata alla ferocia in tutte le sedi possibili e immaginabili. Quando però vedo un Leone con i suoi cuccioli, gli squali che nuotano quando non sono a caccia, il ruminare lento e guardingo di un cervo, insomma quando osservo la totalità dei comportamenti selvatici nei loro ambienti originali e direttamente (non per tramite della TV ad esempio) devo avere molta pazienza per andare a trovare un qualunque comportamento feroce. Lo sa bene chi fa documentari che per acchiappare quegli istanti fugaci che condizionano totalmente le nostre fantasie malate circa la mitica “ferocia selvatica”, spesso devono fare mesi di appostamenti infruttuosi. In compenso un qualunque consesso umano “civile” (dalla famiglia al lavoro, dalla scuola alla piazza) è così carico di sfida e di ferocia latente che si può respirare e si respira continuamente persino in luoghi di festa o di svago. Andate in un parco e contate le volte che si litiga per il nulla cosmico totale, ad esempio un posto a sedere o un gelato. Ci piace crogiolarci al pensiero che il rispetto delle regole e del convivere civile sia il raggiungimento di una superiore evoluzione rispetto la bestia selvatica feroce, ma poi all'atto pratico disimpariamo cos'è l'armonia e la riduzione della ferocia alla sua giusta sede evolutiva, quella dell'ambiente originario che l'ha concepita.

Dal mio punto di vista quindi il Mercato e il Capitalismo Liberista è solo un costrutto esteriorizzato di un vissuto interiore umano di disarmonia, una summa massima di quelle frustrazioni che a ogni passo e poi ogni giro infernale della nostra mente, ci conduce verso il centro dell'oscurità dove dimorano le Ombre e poi ancora dove il gelo eterno dell'impotenza ci attende. Chi si arrende alle Ombre, conosce il mondo come di loro dominio e quindi agisce da dominatore o dominato (a seconda dei momenti) e coltiva l'unico desiderio di “scalare la piramide di potere” in quanto “più potere corrisponde a più dominati e meno dominanti”. Chi invece sospetta delle Ombre e della loro influenza, guarda con disperazione il dilagare incontrollato del liquame marcio spacciato per civiltà, che mai, mai un solo giorno da quando le Ombre hanno invaso il nostro mondo creando la distinzione tra noi e la selva, ha spinto l'Uomo verso l'origine, l'armonia e l'equilibrio con il suo ambiente.


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