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L'immigrazione e noi, risposta a Luciano Canfora


Stodler
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L'IMMIGRAZIONE E NOI, RISPOSTA A LUCIANO CANFORA

di Piemme

Su un punto, se sulla questione dell'immigrazione si vuole un dialogo serio, dobbiamo metterci preliminarmente d’accordo.

Siamo in presenza di un flusso ordinario o dobbiamo parlare, date le sue dimensioni moltitudinarie, di “emergenza migratoria”?

Risposta: l’Italia e l’Europa sono alle prese con una pressione migratoria di massa senza precedenti, che tenderà a persistere nel prossimo periodo, e dunque di fronte una situazione d’emergenza —il che si badi, senza dover scomodare l'aggettivo pantagruelico "epocale", che contraddistinguerebbe appunto un'intera epoca storica. Un’emergenza che è al contempo sociale, politica e istituzionale.

Con chi valuta che il problema “non esiste”, che è un’invenzione mediatica, secondo me è un’imbecille, e con gli imbecilli nessun dialogo è possibile.

Bene. Se il problema esiste va da sé che occorre trovare una soluzione.

Una soluzione è appunto quella degli “integralisti dell’accoglienza” e che possiamo sintetizzare così: “non ci resta che accettarli tutti”. Una tesi che nessuno ha espresso meglio di Luciano Canfora:
«Il cosid­detto feno­meno migra­to­rio ha carat­tere strut­tu­rale ed epo­cale. Ogni tro­vata mirante a inter­rom­perlo (respin­gi­menti, inter­venti nei luo­ghi di par­tenza) è risi­bile. E’ come voler svuo­tare il mare col mestolo. L’Occidente – fab­bri­canti di armi sem­pre pronti a com­muo­versi, inter­venti impe­riali in Irak, Siria, Libia ecc. — ha creato i disa­stri, una cui con­se­guenza è tale migra­zione di popoli».
Com’è evidente, si tratta di una pseudo-soluzione, è semplicemente una capitolazione disarmante davanti ai fatti, alla cui base c’è una concezione fatalistica delle vicende storiche, come se nel campo sociale valessero le leggi bronzee e necessitate della natura, l’idea dunque che i processi sociali, una volta innescati, siano irreversibili e di fronte ai quali non resterebbe che una stoica resa, una ineluttabile presa d'atto.

Che le cose non stiamo così lo dimostra un'analisi obiettiva dei flussi migratori a scala globale, di come essi, lungi dall'essere ineluttabili e unidirezionali, possono essere, in alcuni casi arrestati, in altri deviati, in altri ancora pilotati.

Occorre quindi correggere un errore pacchiano nel ragionamento degli “integralisti dell’accoglienza”. Il primo fattore che causa l’emigrazione di massa Sud-Nord, Est-Ovest, e Sud-Sud, non consiste affatto nelle guerre imperialistiche o fratricide (come quella che coinvolge il mondo islamico), e nemmeno nel carattere tirannico di certi regimi politici.

La prima causa è la globalizzazione, il libero-scambismo dispiegato, le politiche neoliberiste adottate a scala mondiale, non solo dalle classi dominanti dei paesi "avanzati" ma pure dai regimi fantoccio dei paesi "arretrati". La globalizzazione, la supremazia della sfera finanziario-predatoria —questo si che è un fenomeno epocale— non ha prodotto profondi sconvolgimenti nelle strutture sociali dei paesi imperialistici, ha prodotto mutamenti ancor più devastanti nei paesi che venivano definiti "in via di sviluppo" o del "terzo mondo", una delle conseguenze è appunto l'emigrazione di massa.

Cosa è cambiato con la globalizzazione nei paesi del Su del mondo?
In estrema sintesi:
(1) gli stati nazionali sono stati progressivamente disarticolati, fino addirittura ad essere smembrati, ombre di ciò che essi furono. Tranne rarissime eccezioni le corrotte classi dominanti autoctone, convertitesi al neoliberismo, hanno smantellato le già deboli barriere difensive statuali, lasciando che i capitali stranieri potessero compiere le loro scorribande, ovvero la loro politica di rapina; (2) la penetrazione massiccia di capitali e investimenti stranieri ha causato la distruzione del tessuto economico e sociale tradizionale di questi paesi il quale, per quanto capitalisticamente arretrato, consentiva alle comunità, anzitutto quelle rurali, la possibilità di sopravvivere. La ricchezza prodotta era modesta, ma il grosso non veniva accaparrato da un'esigua minoranza. (3) Non occorre tuttavia pensare che la globalizzazione abbia accentuato il "sottosviluppo" capitalistico. Al contrario! la gran parte dei paesi del Sud del mondo (Africa compresa) conoscono da un quindicennio tassi di sviluppo economico, in alcuni casi notevoli se paragonati alla stagnazione dei paesi del Nord. Per cui, se con il "sottosviluppo" si mangiava poco ma si mangiava tutti, con lo "sviluppo" ci sono ceti e classi che sono alla fame, mentre altri, gli strati compradores che sono gli intermediari della rapina delle multinazionali, raggiungono livelli di vita quasi occidentali.
Non è affatto una "trovata", quindi, affermare che per bloccare l'emigrazione di massa il primo passo è porre fine alla globalizzazione. La soluzione è la de-globalizzazione, a Nord come a Sud, ad est come ad Ovest.

E' come minimo singolare che gli eredi dei movimento no-global, quelli che oggi protestano con noi contro trattati di libero scambio sciagurati come il Ttip, considerino "reazionaria" ogni difesa delle sovranità statuali e nazionali. Logica vuole che sei sei contro il libero scorrazzare dei capitali, quindi anzitutto di quelli multinazionali, il solo modo per farlo è di ripristinare delle barriere difensive, barriere che possono essere approntate solo dagli stati e dalle nazioni, isolatamente od in concerto fra loro.

E' addirittura grottesco che gli stessi che urlano contro il Ttip difendano l'Unione europea e la moneta unica. E' assurdo che gli stessi che protestavano contro la "direttiva Bolkestein" che liberalizzava il mercato del lavoro (e non solo quello) in seno alla Ue, e quindi aumentava la concorrenza tra lavoratori implicando l'abolizione di diritti acquisiti e salari al ribasso; è assurdo, dicevo, che queste stesse anime belle si rifiutino di vedere che l'immigrazione moltitudinaria dal Sud produrrà effetti devastanti sul mondo del lavoro europeo e italiano in particolare, che al confronto la direttiva Bolkestein era una mammoletta. Come si fa a non vedere che l'importazione di grandi masse di immigrati è anzitutto funzionale al grande capitalismo?

Gli “integralisti dell’accoglienza”, pur di tenere fede (ahimè in compagnia dei globalisti) al loro dogma di un "mondo senza frontiere", fingono di non sapere che la fuga di uomini e donne, in breve di forza-lavoro manuale e intellettuale, dai paesi del Sud, impoverisce questi stessi paesi. Fingono di non vedere che l'emigrazione endemica verso il Nord è un aspetto della rapina neocolonialistica di questo stesso Nord ai danni dei paesi del Sud. Un'emigrazione che contribuisce alla loro futura desertificazione —l'emigrazione Sud-Nord in Italia dovrebbe aver insegnato pur qualcosa! No, non vogliono ragionare, s'arrabbiamo anzi quando definiamo l'emigrazione "deportazione" indotta.
Gli “integralisti dell’accoglienza”dovrebbero quindi essere coerenti, dovrebbero chiedere di consegnare un premio agli scafisti perché svolgono un encomiabile funzione di supplenza —fossero coerenti dovrebbero anzi chiedere che i governi europei dovrebbero approntare centinaia di voli charter settimanali per prendere in consegna tutti coloro che vogliono venire. Non "trafficanti di morte" quindi, ma persone benemerite.

Ma gli “integralisti dell’accoglienza” obiettano: "sì, vabbè, ma in attesa della fine della globalizzazione, che facciamo? Buttiamo tutti a mare?"

Ovviamente no. Ma "accogliere tutti", a prescindere se ad essi spetti l'asilo politico o lo status di rifugiato è una soluzione impraticabile, disastrosa. Come segnalato anche
Pasquinelli "la grande immigrazione non è sostenibile". Fa specie che coloro i quali un giorno sì e l'altro pure parlano di "economia sostenibile", di "politica energetica sostenibile, di "politica ambientale sostenibile" e financo di "consumi sostenibili", rifiutino anche solo di porsi il problema se un'immigrazione moltitudinaria sia sostenibile o meno, e se sì quali siano le evidenze che la rendano tale.

E' evidente che principi morali vengono messi davanti ad ogni altra considerazione, Anzi, ogni altra considerazione viene scartata e vengano addirittura lanciati (non a caso con l'appoggio dei massimi organi di stampa globalisti e neoliberisti) gli anatemi di "razzismo, xenofobia e leghismo.

Ed a questo punto il dialogo diventa come quello con gli imbeccili, inutile ed impossibile.

http://sollevazione.blogspot.it/2015/09/limmigrazione-e-noi-risposta-luciano.html


Citazione
spadaccinonero
Illustrious Member Guest
Registrato: 2 anni fa
Post: 10314
 

il solito riccastro che ama fare il "compagno"

(e che non ha avuto il coraggio di rispondere alle mie domande quando ci siamo incontrati in libreria)


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yakoviev
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1671
 

Uno dei ragionamenti che ho sentito fare in anni recenti e che anche ora va per la maggiore è: "se ci deve essere la libera circolazione di capitali allora vogliamo anche la libera circolazione delle persone". Quindi implicitamente accetti il primo concetto...altro che "no-global"! E poi la tradizione storica del movimento operaio vorrebbe che la necessità di emigrare fosse considerata una cosa da combattere. Da adolescente e da giovane ho sempre sentito alla TV e letto sui giornali che si rivendicava lavoro e "sviluppo" per il meridione perché sennò la gente era costretta a emigrare a Nord, in Svizzera, Germania, Belgio etc. ed era (giustamente) una tragedia nazionale. Ora invece abbandonare il proprio paese è una cosa da incoraggiare, "cool", si pubblica la foto degli "sposini siriani" che fanno il viaggio di nozze affidandosi ai trafficanti per andare in Germania. E tutti gli scalzignudi ad applaudire su FB: braviiii, il vostro futurooo...Ma difendere il proprio paese no? Vedo che ci sono ragazze e ragazzi che fanno scelte coraggiose e vanno a combattere i jihadisti, vedo insegnanti giovani e anziane che il primo giorno di scuola sono lì e non mollano, gente che ricostruisce le case e riapre le botteghe etc. A queste persone va prima di tutto il mio rispetto


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spadaccinonero
Illustrious Member Guest
Registrato: 2 anni fa
Post: 10314
 

concordo con Yak


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