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Londra: rompere i ponti, alzare le vele


Eshin
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Londra: rompere i ponti, alzare le vele

Torna la vecchia patria della disciplina, della strategia, della diplomazia sofisticata, del raggiro elegante, della trama sotterranea. Insomma: il Regno Unito.

di Pierluigi Fagan.

Chi commenta fatti geopolitici è recentemente rapito dall'idea che sia tornata a farsi viva la vecchia patria della disciplina, la patria della strategia, della diplomazia sofisticata, del raggiro elegante, della trama sotterranea. Insomma: il Regno Unito.
Chi conosce il Regno Unito perché lo ha osservato negli ultimi sessanta anni ne ha un profilo, chi lo conosce avendolo studiato su i libri di Storia (un po' più in profondità) ne ha un altro profilo ed oggi vede il possibile riemergere proprio di quel vecchio profilo. È così? Non lo sappiamo, non lo so io ma credo non possa saperlo nessuno. Però è intrigante fare ipotesi.

L'ipotesi che ventilai di sfuggita in un articolo scritto a più di due settimane dal voto del referendum e che poi è stata anche sostenuta da Thierry Meyssan (e recentemente da Maurizio Blondet) supponeva che sia stato il vertice dell'élite britannica a spingere David Cameron a indire il referendum e ad averne pilotato l'esito, perché l'uscita dall'UE era una intenzione ben precisa. Intenzione che poco aveva a fare con l'UE e molto aveva invece a che fare con il ripristino della piena autonomia decisionale su una serie complessa di fatti, tra cui quelli importantissimi del posizionamento geopolitico.

La tesi (che per altro era stata esposta mesi fa in altri studi, tra cui uno della London School of Economics) era che tra partnership con la Cina e sviluppo di una nuova rete di interessi coordinati basati sull'ex Commonwealth, l'UK tornava a diventare un soggetto a sé, non più ovviamente come leader mondiale ma come polo di un sistema di molti poli, quel mondo multipolare che è il destino geopolitico certo di un mondo complesso, piaccia o meno.
Insomma per alzare le vele del vascello britannico solcante i nuovi mari multipolari, bisognava rompere i ponti, mollare gli ormeggi.
Si sa che quando si ha una tesi forte che mette ordine all'incomprensibilità dei fatti, si finisce col leggere solo le conferme di quella tesi e non le eccezioni: si chiama "bias della conferma". Ecco allora che dal 23 Giugno in poi, chi scrive ma non solo, vede solo conferme ex-post.

La "fine di mondo" finanziaria e valutaria non c'è stata, Londra FTSE100 è addirittura sopra i massimi degli ultimi sei mesi. Un po' peggio la sterlina ed il mattone ma niente Armageddon.

Cameron si dimette un minuto dopo il voto, senza margini di ripensamenti, anche se lo stesso Boris Johnson, alfiere del Brexit, lo invitava a restare. Non solo, sembra addirittura allegro e felice. Non solo, vien fuori che si è pure comprato casa a Notting Hill una settimana prima del voto che tutti si aspettavano avrebbe mantenuto UK in EU e quindi Cameron a Downing Street per altri cinque anni.

Non solo. Johnson, che per altro mai aveva manifestato l'intenzione di prendere la guida dei tories e tanto meno del Paese, conferma che lui non è in lizza per la successione. Successione molto lunga, visto che si avverte tutti e subito che avverrà non prima di due/tre mesi. come se - senza premier e senza leader - il Regno Unito non potesse (o volesse) poter prendere decisioni. Buying time? Saluta tutti con "Mission accomplished!" anche Nigel Farage.

Non è finita. Ieri, con il rapporto Chilcot, salta la testa di Tony Blair che s'era fatto sotto per insidiare l'attuale leader del Labour, Jeremy Corbin, ed era stato il più agitato alfiere del "ripensiamoci" rispetto alla messa in atto effettiva del Brexit. Sembra quasi che il sistema abbia voluto non solo pilotare la fatale decisione ma saggiamente abbia poi imposto a tutti gli attori del tragitto che ha creato il trauma di farsi da parte perché la ricostruzione post traumatica non può mai esser gestita da chi il trauma l'ha creato.
Quanto al ripensamento che qualcuno ha pur tentato a botte di petizioni, manifestazioni, voti parlamentari di non ratifica, minacce scozzesi e magari qualche concessione speciale last minute da Bruxelles, l'élite che conta ci ha tenuto prontamente a far sapere che "no!-indietro-non-si-torna-cosa-fatta-capo-ha-punto-fine-mettetevi-l'animo-in-pace". Eppure quel milione di voti di differenza su 33 milioni, volendo, il margine lo offriva.
Ma il rapporto Chilcot , di cui tutti hanno letto l'ovvio ovvero ciò che riguarda Blair ed il suo defunto destino politico, parlando di nuora dice qualcosa anche a suocera. Nei fatti, esce chiaro e di pubblico dominio l'assai poco onorevole rapporto di dominio e sudditanza a priori che regolava i rapporti tra UK e USA. Rapporti già incrinati dalla gestione Cameron, insolitamente pigro sull'Ucraina e la Siria, poco amato a Washington tanto da trovare l'unica banca di Panama in cui hanno messo i soldi tutti i cattivi del pianeta e guarda un po', anche il padre del premier britannico.
Ciò che diventa pubblico nel Rapporto Chilcot crea un precedente del tipo "guardate che da oggi, qui da noi, si fanno solo cose giuste, razionali, difendibili e proprie dei nostri specifici interessi", il popolo ci giudica e noi dobbiamo render conto a lui (quando ci conviene farlo). Se Blair è sputtanato come ne esce la vis bellica statunitense? Un avviso di separazione?

Certo al prossimo vertice NATO di Varsavia, l'UK non potrà svolgere alcun ruolo attivo perché, come detto, non ha leader, "Not in our name". Se ne riparla a settembre, due/tre mesi in cui il trono di spade a Washington sarà ancora più vuoto ed in cui, mancando il gatto, i topolini più furtivi, potranno inscenare qualche nuova danza e far trovare il fatto compiuto al nuovo gatto, pardon, gatta.

Bias della conferma? Possibile. Del resto i quadri analitici e interpretativi, metterli a verifica dopo i fatti è facile. Ma è per interpretare il mondo che sarà, che servono.

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=126181&typeb=0&londra-rompere-i-ponti-alzare-le-vele


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