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Matematica e politica economica

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stefanodandrea
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istwine

aspetta. Conoscere le addizioni, le sottrazioni e venire a sapere mentre ti spiegano un grafico che un asse si chiama asse delle ascisse non presuppone la conoscenza della matematica. Credevo che qui parlavamo di altro.

I tecnici devono ubbidire. Tu gli dici. Per me la rendita fa schifo e è inammissibile che chi non rischia denaro da investire ma lo mette al sicuro presso lo stato monetariamente sovrano, anziché pagare il servizio per la custodia (assicurazione contro il furto) voglia addirittura guadagnarci almeno in termini di valore reale. E gli dici: quali istituti giuridici bisogna introdurre per raggiungere questi risultati? Qui in realtà ti rispondono i giuristi, che magari sanno la storia. Gli economisti che possono dirti? Che se adotti quegli istituti hai degli effetti di un certo tipo. Magari qualcuno osa dirti che hai "effetti negativi". E tu gli rispondi: "come si permette lei di qualificare negativo un certo effetto? Se è negativo o positivo o irrilevante lo dico io. Lei si limiti a dirmi che si verifica un certo effetto". E così via. E tu politico devi stare seduto su una sedia piu' alta di quella dell'economista, in modo che ti guardi dal basso verso l'alto. Perché tu sei espressione della sovranità popolare (o della dinastia e del sangue o della vittoria in una sanguinosa lotta rivoluzionaria) e lui lo hai chiamato ver verificare se vale qualcosa, se sa stare al suo posto, se ti può essere utile. Gli economisti, come i giuristi, vanno rimessi al loro posto.
Tuttavia può darsi che l'effetto lo vuoi evitare, anche se è difficile trovare un effetto qualsiasi che possa giustificare la tutela della rendita, per lottare contro la quale si dovrebbe essere disposti a sacrificare milioni di vite. Però se si può evitare è meglio. E allora ti informi. Ne chiami tre o quattro (scelti con cura, perché non è necessario che conosci la matematica ma ben non devi essere stupido, anzi devi essere molto intelligente) e li fai dialogare davanti a te. E vedi se sostengono che l'effetto si verifica e se si verifica sempre. Se sono d'accordo, chiami i giuristi e cominci a pensare assieme a loro se puoi ottenere il tuo risultato, senza un certo istituto. Inoltre, se l'effetto è una fuga di capitali in nero verso l'estero, allora ti chiedi: quali sanzioni posso introdurre? E in tutto ciò tieni anche conto della natura di un popolo nella situazione data, del carattere elettronico della moneta moderna, che consente in misura molto minore l'esportazione illecita di capitali.
Insomma un ministro del bilancio deve conoscere la storia, i fondamenti dell'economia, il diritto, visto che la politica coincide con la legislazione o normazione secondaria, la psicologia, deve avere stile e autorevolezza ma non è necessario che conosca la matematica.


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Iacopo67
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Secondo me certe capacità logiche e un intuito di tipo matematico sono essenziali per comprendere veramente l'economia.
Altrimenti si rischia di prendere delle cantonate, perché tanti argomenti economici non sono così semplicemente intuibili, la materia è complessa.
Come quello sulla repressione finanziaria, che Stefano la racconta in un modo, e apparentemente sembra una cosa ovvia e semplice, ma poi Mincuo (che non è proprio l'ultimo arrivato), la raccontava un po' diversamentente quella storia lì.

La discussione tra Stefano e Mincuo sulla repressione finanziaria:
Comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&thold=-1&mode=flat&order=0&sid=10986


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stefanodandrea
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Jacopo 67

ma, se vai a rileggere, le obezioni di Mincuo non implicavano la conoscenza della matematica. Erano fondate su una considerazione logica (devi vincolare la circolazione dei capitali) e infatti avevo scritto che i vincoli alla circolazione dei capitali sono un presupposto necessario alla repressione (punto che era sfuggito a Mincuo). C'è poi l'affermazione che oggi non sarebbe possibile vincolare i capitali, considerazione falsa perché molti stati (vedi la Cina) vincolano la circolazione dei capitali. Poi l'obiezione che è una tassa, obiezione fondata sull'idea che esista una economia naturale sulla quale lo stato interviene artificialmente, mentre è artificio sia la scelta di vincolare (e come vincolare), sia la scelta di liberalizzare (sebbene questa scelta separi il risparmio dal popolo e lo renda un bene sottratto al principio costituzionale dell'utilità sociale). E altre obiezioni simili.
Ci sono articoli degli anni trenta,publicati sulla rivista bancaria, compreso un discorso di Mussolini, ben piu' importanti delle note di Mincuo, in particolare uno scritto da un avvocato che poi fu senatore democristiano, che indicano tutti gli strumenti ai quali il capitale ricorre per aggirare i divieti e tutte le discipline sparse per il mondo di allora con le quali gli stati conducevano la "lotta contro il capitale" (i problemi che ha avuto l'Argentina - sovraffatturazione e altro - erano tutti già segnalati). Era pacifico che si trattasse di uno strumento "socialista" (lo riconoscevano anche i liberali) che instaurava una lotta tra stato e capitali. Anche allora veniva considerata una politica "eccezionale" destinata a non durare. L'unico, a dire il vero, che considerava duratura la disciplna di vincoli allacircolazione dei capitali era Mussolini ed ebbe ragione visto che restò formalmente fino al 1990 ma siccome i vincoli significano necessità di autorizzazioni amministrative, in realtà molto fu liberalizzato in via amministrativa dalla metà degli anni settanta. Comunque quella disciplina restò vigente e fu adottata rigidamente per 45 anni!
Ma a prescindere dal merito, qui siamo in presenza di scelte di politica economica diverse e di ideologie diverse (è una tassa ma se non la metti tassi di piu' profitti, rendite e consumi, quindi è una tassa che ne fa togliere altre). La matematica non c'entra niente.
Non credo che in Italia oggi ci sia una persona oltre me che ha riletto tutta la rivista bancaria dal 1927 al 1936, a parte qualche dottorando che forse ha studiato o sta studiando il tema. Voi credete che Mincuo ne sappia di piu' perché sa la matematica ma di questo argomento ne sa dieci volte meno di me. Tuttavia, anche lui potrebbe studiare quei volumi e la differenza starebbe sempre nella ideologia politica, lui è un liberale e io un socialista, oltre che nella vita personale e dunque nella psicologia (lui è vissuto nel mondo della finanza ed è difficile che un uomo vissuto nel mondo della finanza proponga di "estinguere" in gran parte il suo mondo; allo stesso modo io potrei svolgere un discorso rigoroso e logico sulle conseguenze della scelta di tassare o almeno di non consentire di scaricare dalle tasse -dedurre o detrarre, a seconda dei regimi - le spese pubblicitarie: questo discorso è respinto da chiunque lavori nel campo della pubblicità, anche se per altri versi è un socialista: tappano le orecchie e chiudono gli occhi, secondo la mia esperienza personale).


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istwine
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stefano, posso anche essere d'accordo sul problema, anche secondo me esiste un'eccessivo uso della matematica in economia, anche dove non è necessaria. Questo non significa che dietro i modelli che si danno per scontati non ci sia un ragionamento matematico, anzi. Keynes diceva che l'uso della matematica non era necessario laddove il discorso filasse anche senza formalizzarlo, ma non che dietro il ragionamento non ci fosse una logica matematica. Se poi si parla di tecniche econometriche, son d'accordo non sia centrale.

Il punto è che Iacopo parlava di capire l'economia, non di fare il ministro. Su questo hai fatto tutto tu.

Ad ogni modo, mi complimento per le tue letture, in futuro approfondirò, mi permetto però di dirti che non c'entrano niente con l'attuale mondo. Se questo però non lo capisci da te, io ho poco da suggerire.


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stefanodandrea
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Istwine,

indubbiamente per fare l'economista, ossia per fare ricerche, servono competenze matematiche; sono moltissimi gli economisti che dicono che se ne fa troppo uso e che interi articoli scientifici altro non sono che esercizietti di matematica semplice. Ma poca o tanta, una conoscenza matematica di base serve. Lo credo anche io.

Ciò che io volevo dire con il mio post è che non serve a me e a tanti che non fanno ricerca economica, salvo che per passione si voglia cominciare ad approfondire uno o altro profilo. A quel punto si sceglie di essere economofili e magari, se si comincia a scrivere con buoni risultati, anche modesti economisti.

Per quanto riguarda il fatto che quelle letture non c'entrano niente con l'attuale mondo, mi permetto di dissentire radicalmente.

A parte che molti stati, oltre alla Cina, che ha mantenuto la disciplina vincolistica, in particolare le altre tigri asiatiche che caddero in crisi negli anni novanta, hanno reintrodotto forme di controllo della circolazione dei capitali (sono tutte in regime di repressione finanziaria, secondo quanto riferiva tempo fa Zibordi) e a parte che, come ho accennato, i problemi che ha avuto l'Argentina erano già analizzati sugli articoli che ho segnalato (problemi che nemmeno Bagnai aveva ipotizzato, non conoscendo la materia -ma nessuno la conosce ai nostri tempi in occidente, perché sono problemi che sorgono in presenza di presupposti opposti a quelli vigenti - e che Tampa gli ha segnalato in quella bella lettera che Bagnai ha pubblicato), tra i quali si trova anche l'elenco dei principi normativi introdotti dai vari stati dopo la prima guerra mondiale fino al 1924 e poi dal 1929.

Ora mi sembra del tutto lecito voler reintrodurre il controllo della circolazione dei capitali, spiegando come esso sia il fondamento di qualunque socialismo, per quanto corporativo o democratico o moderato. Ovvio che chi non è socialista non seguirà questa strada. Ma chi è socialista DEVE percorrerla. Non solo, deve anche spiegare perché - a quali fini -è necessario introdurre il divieto di circolazione salvo autorizzazioni, generali (per tipi di atti) o speciali (vincoli alla circolazione dei capitali non significa che ci si isola dal mondo, con un divieto assoluto; in Italia il divieto assoluto, senza possibilità di autorizzazione, vigeva soltanto dal 1934 al 1947 o 1945, non ricordo, per la speculazione all'estero: potevi giocare i tuoi soldi in italia ma non all'estero).

Quindi, salvo che da adesso in poi essere socialisti voglia dire essere sciocchi e insopportabili landini-sellini-ferrerini che accolgono principi antisocialisti (o non hanno il coraggio di contestarli) e poi passano la vita a dire "lavoro, salario, giustizia, stato sociale", non ha senso dire che quelle letture non c'entrano niente con il mondo attuale.

Aggiungo che tutti gli autori riconoscevano che il controllo sulla circolazione dei capitali era sempre esistito nei secoli ma sempre usato, per periodi brevi di pochi anni, soltanto per riequilibrare la bilancia dei pagamenti dopo gravi crisi, guerre in particolare. Questa era l'idea di tutti quando venne introdotta la disciplina dopo la crisi del 1929. Poi, la disciplina è durata 60 anni e in 45 è stata applicata in maniera rigida.

Ora io mi chiedo: non è che facciamo l'errore ingenuo di credere che la storia non torni mai indietro? A parte esempi eclatanti (in Egitto c'era Cleopatra ma poi dopo 700 anni venne maometto e le cose per le donne cambiarono radicalmente), IL NEOLIBERISMO HA DIMOSTRATO CHE LA STORIA PUO' TORNARE INDIETRO: prima del 1929 avevamo un regime internazionale fondato su questi TRE PILASTRI: 1) libera circolazione dei capitali (per Lenin la fase dell'imperialismo come fase suprema del capitalismo era fondata proprio sulla prevalenza della circolazione dei capitali sulla circolazione delle merci); 2) banca universale; 3) oligopoli privati e quasi assenza di grandi imprese pubbliche. Ebbene i neoliberisti non hanno fatto altro che rimuovere i TRE PILASTRI SOCIALISTICI sui quali è stato fondato lo sviluppo pluriclasse dell'occidente, in particolare europeo, dal 1929 al 1980 circa: 1) divieto di libera circolazione dei capitali, salvo autorizzazione generale o speciale; 2) divieto della banca universale; 3) monopoli o oligopoli pubblici o di imprese controllate dal pubblico -partecipazioni statali - nei settori strategici, in particolare nelsettore bancario.
LA STORIA E' TORNATA INDIETRO. Dunque è possibile e attuale volere un NUOVO RITORNO ALL'INDIETRO, diciamo agli anni trenta o al più al 1947 (quando il regime fu attenuato, sia pire di pochissimo, non inasprito).

Certo, se tu assumi una prospettiva di puro studio dell'economia politica, finiresti per studiare ed elaborare modelli inapplicabili, perché il tuo regime politico nega i presupposti di quei modelli, o meglio è fondato su altri presupposti contrari ai primi. E' in questa prospettiva, forse, che quelle letture non sono attuali. Ma solo da un punto di vista superficiale, perché un grande economista deve sapere la storia dell'economia, come un grande giurista deve sapere la storia del diritto. Quindi diciamo che, a livello di studio dell'economia, si tratta di argomenti riservati a palati fini.
Per chi però ha una prospettiva politica socialista trentennale, quei testi costituiscono il fondamento di tutto. E sono attualissimi.

E' sempre un piacere dialogare con te


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istwine
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stefano,

Quello che intendevo dire è che il sistema finanziario (reti, strumenti, accordi, governance ecc), l'organizzazione del mercato, i trattati ecc ecc sono diversi dal periodo in questione. Non intendevo affatto dire che non sia necessario un ritorno al controllo di merci e capitali, soprattutto nei settori che non si possono permettere la competizione internazionale. Solo che vanno ripensati in altra maniera, in base al contesto, in base al sistema produttivo, in base all'articolazione del sistema finanziario italiano tradizionalmente meno sviluppato rispetto ai paesi anglosassoni e non solo, in base agli scopi di politica economica, non secondo una logica binaria o anche solo storica. La storia ci può insegnare che sono strumenti utili e fondamentali, non ci insegna a replicare pari pari ciò che è stato fatto senza contestualizzarlo, capisci che intendo?

E questo non è alla mia altezza come lavoro, e non credo nessuno sia in grado, singolarmente, di occuparsi di tutti questi aspetti. Ma questo l'ho scritto più volte, proprio in quella discussione che non ti sei premurato di leggere.

Un appunto però, prima del 1929 non funzionava come dici tu se non per limitati periodi. Di nuovo, un riferimento utile è Paul Bairoch, scaricabile qui:

http://www.scribd.com/doc/184469367/Paul-Bairoch-Economics-and-World-History-Myths-and-Paradoxes-1995

Un altro riferimento utile è il libro di Marcello De Cecco - Money and Empire: the international gold standard, 1890-1914. Questo è molto difficile da reperire, solo in biblioteca sostanzialmente, o a prezzi esorbitanti. Ma ne vale veramente la pena perché ha tanti spunti.

Non sono libri semplici, ma almeno sono reperibili delle statistiche su tariffe, dazi ecc.

Per inciso, sempre in quella discussione io ho esordito dicendo che fosse necessario studiare la storia delle politiche economiche, non tanto l'economia politica. Quindi ovvio che condivido.


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stefanodandrea
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Allora siamo completamente d'accordo.
La storia ci insegna alcuni problemi che sorgerebbero e modi con i quali sono stati risolti o si è affrontata la lotta. Quindi ci segnala alcuni problemi. Riflettendo magari si arriva a scoprire che alcuni problemi oggi sarebbero minori o inesistenti, per la larga prevalenza della moneta elettronica per esempio. Ma è ovvio che potrebbero sorgere problemi nuovi. Qui sarebbe fondamentale lo studio della Cina attuale, che magari quei problemi li sta affrontando. E tutavia è sempre bene esercitare la fantasia, chiedere a un imprenditore come cercherebbe di eludere o di evadere. E' un compito notevole che va svolto da un comitato ministeriale appositamente costituito, salvo che ci si trovi a prendere provvedimenti d'urgenza e in questi casi,come è noto, si prosegue con mosse tattiche e si è esposti ad attacchi di vario tipo.
Tuttavia, la premessa di tutto è la presa del potere da parte di gente che la pensa all'incirca come noi, cosa che avverrà, se mai avverrà, quando certe idee siano state sufficientemente diffuse.
Perciò io al primo posto metto la creazione di un'offerta politica, ossia una organizzazione con uomini di valore diffusi sul territorio nazionale. Per questo scopo ho tralasciato i miei studi, per i quali credo di essere portato, e deciso di sacrificare la carriera professionale e accademica (delle quali, invece, avendo raggiunta una discreta sistemazione, non mi importa niente). Vedremo cosa si riuscirà a costruire nei prossimi dieci anni: è comunque un'avventura.


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Stefano,
nella discussione a cui fai riferimento c’è chi chiede l’intervento di persone competenti. In particolare Mr. Jefferson.
Tu sei (lo sei ancora?) un docente universitario e quindi penso e spero che la tua preparazione ed i tuoi titoli bastino a soddisfare i suoi appetiti. Perché non provi tu a rispondere alle sue domande?

Di nuovo, un riferimento utile è Paul Bairoch, scaricabile qui:

http://www.scribd.com/doc/184469367/Paul-Bairoch-Economics-and-World-History-Myths-and-Paradoxes-1995

Istwine,
ma come fai a scaricare gratuitamente il file? (non è per me, intendiamoci. io ce l'ho )
Non mi pare che basti l’iscrizione.


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Truman
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Poi trovami un po' di economisti bravi in matematica, che gli racconto le equazioni di un'antenna ad apertura con qualche soluzione. Vediamo quanti riescono a capirle.

Io non sono un economista però se vuoi giocare io ci sto. Comincio io?

Non ho capito bene come vuoi cominciare, comunque io parlavo più o meno di cosette così:
http://tesi.cab.unipd.it/22588/1/Diffrazione.pdf


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Io invece pensavo a qualche cosa di più semplice tipo questo: http://people.math.gatech.edu/~meyer/MA6635/chap4.pdf


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istwine
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Nat,

Mi pare che su scribd debba prima caricare qualche tuo documento e poi puoi scaricare, credo sia fatto per aumentare la lista di file presenti. Ovviamente se trovano una roba che ha diritti d'autore ecc te la tolgono loro.


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