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Meglio Privato o Pubblico?


GioCo
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Nella dicotomia della vulgata, tra pubblico e privato, c'è un grande dibattito che riassunto (nei rispettivi difetti indicati) può essere ridotto per semplicità in questo modo:
1) il pubblico è inefficiente, la burocrazia e il malaffare (soprattutto la corruzione) prosperano perchè se il bene è comune non è di nessuno, il servizio sarà per ciò scadente perché il lavoratore pubblico è pagato comunque e quindi tende a profittare scansando il lavoro e le responsabilità.
2) il privato è pericoloso, perchè difenderà sempre interessi di parte (quella della proprietà) a scapito del lavoratore e del cliente, imponendo sempre la relazione schiavo-padrone a proprio favore con le buone o con le cattive come modello sociale e per mezzo del convincimento (propaganda)

Le prospettive positive ci dicono d'altronde:
1) il pubblico ammortizza gli eccessi di potere che le concentrazioni della proprietà (cioè del privilegio) riunisce nelle mani di pochi a scapito dei molti, restituendo un poco di quel potere nelle mani dei molti (democrazia)
2) il privato difende l'economia (impostazione postfordista) da cui tutti dipendiamo e garantisce l'efficienza della gestione economica, per tutti

Ora, giriamo intorno alla questione. Se uno lavora per il pubblico è un fannullone, se lo stesso lavora nel privato è un buon lavoratore.
Se uno fa grossi sacrifici (vive in condizioni prossime all'indigenza) al fine unico di risparmiare per sé e la sua famiglia, è un pericoloso disgraziato e rischia di vedersi sottratti i figli nel caso una famiglia già ce l'ha, se invece fa debiti per sé e la famiglia è una brava persona e un esempio per la comunità.

Ma le cose non sono sempre granitiche e tutto si confonde dal momento che l'identità inizia a radicarsi nel contesto. Allora se costui è un extracomunitario ed è impiegato nel pubblico allora è un parassita, se invece è nel privato ci sta rubando il lavoro. Se è un risparmiatore è di sicuro sbarcato ieri con il gommone e se fa debiti è un ladro.

Non occorre un genio per capire che queste valutazioni sono il frutto di ingegneria sociale e che il risultato di vantaggi indiscutibili immediati per chi li mette in pratica è accompagnato dall'inevitabile demolizione della speranza di chi li subisce, nel medio e lungo periodo. La mancanza di speranza (ce lo dice Dante, nel cartello appeso all'ingresso dell'Inferno) è un limpido segno che ci indica la destinazione.

Non occorre un genio per capire che la soluzione non può essere dentro la dicotomia pubblico-privato perché una vive dell'altra, una sostiene l'altra, una puntella l'altra e le due insieme fanno il sistema mentale che misura sciocchezze: il mercato. Per ciò non serve che tu sostenga un lato della bilancia con il tuo peso intelligente, dato che nel momento in cui scegli e ti siedi sopra, questo scende verso il basso misurando solo la tua imbecillità. Perchè a quello serve. Come le patate al mercato. Fine.

Piuttosto che pubblico e privato dovremmo capire cosa ci lega tra di noi, cosa rende conveniente i rapporti di forza inversi: perché dovrei fare qualcosa per un altro e contro i miei interessi? La risposta è dublice: perché sei una macchina (un automa) o perché hai fede (affetto o amore).
Se sei una automa il tuo problema (come nel rapporto militare) è solo determinare chi è autorizzato a darti ordini e chi no ed eseguirli al meglio una volta che li hai acquisiti.
Se invece la tua è una relazione di fede, per te è fondamentale sapere perché stai facendo l'interesse di un altro e questo determina insieme l'identità verso cui stai dirigendo l'emozione e la qualità del tuo dono.

D'altronde se sei un automa, nessuno dovrebbe mai sentire obbligo di ringraziarti: esegui ordini e basta. Il ringraziamento non è solo superfluo è satanico, perchè rende accettabile ciò che non ha niente di umano. Lo umanizza nell'idea mentale, lasciandolo però intatto nell'efficacia gelida e spietata dell'agire.
La mistica della macchina cerca sempre di umanizzarla (come in terminator, o in robocop) mescolando le carte affinché l'idea di macchina sia umanizzata e accettata come desiderabile. Poi però tanto non è il cuore e l'amore che la gestirà, ma la spietata ferocia di un ordine dato dal gelido "chiunque" quando più gli pare e piace. Il cuore non serve più a niente, conta così solo il cervello.

Se invece sei una persona legata a un affetto, tutti dovrebbero sempre sentirsi in obbligo di ringraziarti. Il ringranziamento non è solo una formalità, una superficie, ma un insieme di attenzioni pratiche, volte a dare continua conferma che il dono è bene accetto. Attenzioni che costano, almeno quanto il dono ricevuto e quindi creano una dinamica attiva di scambio emotivo: se posso donare ciò che un altro non ha facoltà di donare, farò la mia parte e l'altro comunque farà la sua. Non esiste la possibilità di scansare la fatica senza danneggiare il rapporto d'affetto.
Gli affetti quindi non hanno nulla di estetico e nulla di dichiarato che sia in qualche modo utile o necessario, se non a creare l'idea dell'intenzione. Se però all'intenzione non seguono le azioni che sottolineano i perché critici, i motivi che danno forza al legame, l'amore vale come le scorregge e se ne va via come quelle nel vento. Viceversa, l'attenzione continua ai perché, sia concordata, limpidamente ammessa e accettata che portata nella pratica e così confermata nelle azioni, rafforza il legame e lo cementifica.

Poi, che sia questa una società unipolare, multipolare, religiosa, atea, economica, sociale, o di qualunque altro tipo la fantasia ci proponga, chissenefrega. Tutto diventa secondario, tutto si smorza dentro il centro della scelta tra l'ineffabile automa e l'umano affetto.

[/i]


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AlbertoConti
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Francamente non mi sembra centrato questo punto di vista.
Pubblico e privato sono piuttosto due facce della personalità umana, quella sociale e quella individuale. Se compio al meglio un'azione utile alla collettività non sto donando un bel niente, faccio semplicemente i miei interessi. Concetto semplice quanto incomprensibile dalla maggioranza degli italiani, non per "indole", ma per cattiva educazione. Secoli di dominazione straniera, mafia, malgoverno, corruzione e da ultimo marketing commerciale ci hanno ridotto così, dei dementi che sanno guardare solo al proprio ombelico.

In economia poi non c'è storia: la prevalenza del pubblico fa il bene di tutti, ma se e solo se la società è matura, vede cioè entrambe le facce della personalità umana. Il M5S ideologicamente rappresenta un "prelavaggio" in tal senso. Concluso questo primo ciclo andrà sostituito da un lavaggio vero e proprio, che riporti alla luce tutti i colori naturali del vivere civile.

L'economia pubblica è la componente principale quando lo Stato è amico del cittadino, cioè lo rappresenta. Un miraggio al momento.


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spadaccinonero
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sarò il più breve possibile...

lo Stato rappresenta ogni tutela del singolo cittadino, con la nascita della tecnocrazia si inizia a diffondere globalmente il morbo del meno stato più mercato.

il privato porta inevitabilmente al darwinismo sociale, siccome l'uomo ha dei limiti, la concorrenza porta all'eliminazione FISICA di chi non riesce a stare al passo, ma con il passare del tempo sempre più persone verranno buttate fuori.

della serie, oggi gli immigrati vengono a milioni perché la parola d'ordine è abbassare il costo del lavoro domani gli stessi verranno sostituiti dai macchinari che non hanno bisogno di nulla a parte l'energia che alimenta il loro motore.

Occorrerebbe quindi ripartire da una base sociale che rimetta l'uomo al centro, la prima cosa da fare sarebbe quella di statalizzare tutto ciò che è fondamentale alla Nazione, l'iniziativa privata deve essere limitata, ma tutto ciò è IMPOSSIBILE all'interno di un contesto mondialista capitanato dai più potenti cartelli bancari, industriali/bellici, mediatici...


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GioCo
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Francamente non mi sembra centrato questo punto di vista [...]

Lo so perfettamente @AlbertoConti, infatti ho detto "nella vulgata" cioè nel ciarlare di strada e nel bar. Ok, non è un punto di partenza "dottrinale" e nemmeno condiviso da tutti, ho un sacco di amici che non sosterrebbero una parola di quello che ho scritto. Però non ci vuole molto a fare un giro per il web o per le strade, a incrociare conoscienti e parenti, per cadere inevitabilmente in questo quadro valutativo. Per quanto lo si voglia respingere è "il nero" che permane nel cielo della comunità. Ma questo non lo rende meno importante di un punto di partenzà "più ragionato", o anche "più accademico". Perchè quando poi iniziano i guai, raramente sono i discorsi ragionati che dominano.


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GioCo
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sarò il più breve possibile...
[...]
Occorrerebbe quindi ripartire da una base sociale che rimetta l'uomo al centro, la prima cosa da fare sarebbe quella di statalizzare tutto ciò che è fondamentale alla Nazione, l'iniziativa privata deve essere limitata, ma tutto ciò è IMPOSSIBILE all'interno di un contesto mondialista capitanato dai più potenti cartelli bancari, industriali/bellici, mediatici...

Sono sommariamente d'accordo, ma una strategia @spadaccinonero è buona se funziona, se già nel ragionamento includi che non può funzionare, allora non serve. No? A meno che non sei un fan della rissa di mischia a tutti i costi, ovviamente.
Che ci troviamo invischiati nell'effetto Lucifero descritto dall'esperimento di Zimbardo a Sanford è indubbio. La relativa distanza (sociale) cosiddetta "di classe" percepita tra i privilegiati e il resto degli umani è esattamente nella configurazione di "guardie e ladri" dell'esperimento, dove la divisione è unicamente soggettiva, non oggettiva, ma non meno rigida per questo: i privilegiati cercheranno di accumulare privilegio nella prospettiva che è l'unica cosa che ha senso fare per salvaguardare tutto ciò che ha senso salvaguardare, gli altri potranno scegliere tra odio e invidia, ma il loro destino è di subire comunque la depressione o la repressione, senza alternativa. Per ciò è un "lose to lose" che ha solo un epilogo possibile. Il bello è che la spirale è sistemica quindi nessuna delle due parti può nulla per invertire il processo.

Per invertire il processo è necessario invertire le polarità che lo stanno alimentando. Ma a meno di non ficcare la testa nella sabbia, bisogna ammettere che le polarità indicate nella vulgata non sono quelle corrette perchè ci hanno già dimostrato storicamente che non sono corrette. Sbagliare è umano insistere già indica che c'è altro sotto che non è umano ...
La mia "teoria" è che il meccanismo si è inceppato quando il rapporto tra l'Uomo e il suo ambiente è stato alterato abbastanza da rendere l'Uomo inadatto al suo ambiente. L'inadattamento è sopraggiunto quando è iniziata la relazione di schiavitù interna alla specie umana, cioè quando l'uomo ha sentito per qualche motivo l'esigenza di dire che c'erano "uomini più" e "uomini meno" e che i primi erano con ciò autorizzati a trattare i secondi ne più e ne meno delle bestie, ma no le bestie selvatiche, quelle domestiche!!!. Questo è il punto che si salta sempre, non è la stessa cosa. L'uomo non è stato "inadattato" da solo, ma a lui si sono accompagnate bestie e vegetali che dovevano supportarlo in funzione dello sfruttamento e del mantenimento della condizione di schiavitù. Per ciò l'Uomo non ha rapporto con l'ente selvatico, ce l'ha solo con quello domestico che è inadatto all'ambiente, come lui. Per ciò l'uomo deve intervenire sull'ambiente per alienarlo a forza e permettere che le sue proprie condizioni di disadattamento siano imposte.

Tutto ciò non sarebbe "grave" in assoluto, nel senso che è un processo che in natura è di solito un segno di vitalità evolutiva: quando il pianeta entra in uno dei suoi cicli di rinnovamento genetico, l'estinzione delle specie porta poi nuove specie a occupare le nicchie ecologiche delle vecchie. Noi non saremmo mai nati senza quel processo di rinnovamento. Sfortunatamente quel processo tiene conto di fattori elementari, di cui il più importante a mio avviso non è la competizione tra le specie ma il rapporto di forza inverso, cioè il motivo di fondo che permette a una specie di essere utile alle altre, anche a scapito della esistenza delle singole unità viventi. Perché le piante ci danno i frutti? A loro non conviene spendere tanta energia, lo fanno per stabilire un alleanza strategica che sottende una fiducia: ti do il frutto affiché tu possa spargere per me il seme.
Noi abbiamo impostato tutta la nostra esistenza solo sulla prima parte, cioè sulla competizione distruttiva: il leone che mangia la gazzella, la gazzella che mangia l'erba, etc. etc. dimenticando quella costrutiva e inversa.

Per ciò il nosro modello è disabile grave, manca del pilastro su cui può reggere e non c'è nessun modo se non prendere in cosiderazione il tassello, per correggere. Noi non siamo obbligati a preservare le specie viventi, siamo obbligati a stabilire con loro rapporti estesi di forza inversi. Non serve a un tubo fare parchi e difendere l'amazzonia se poi il modello permane "pesce grande mangia pesce piccolo". Lo stesso vale tra di noi, perché non sto parlando d'altro che di una variabile di un equazione elementare caotica, quindi frattalica. Una variabile che manca.


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Privato e Pubblico non esistono. Esistono solo delle cosche che si fanno la guerra e una di queste ha l'esclusiva della violenza su un determinato territorio. Per il resto delle sue attribuzioni resta comunque una compagnia od organizzazione privata il cui scopo e' la propria sopravvivenza ed il profitto dei dirigenti a spese di tutti quelli che devono pagare il pizzo.

Naturalmente c'e' una dinamica interna ed a seconda di come si voglia impostare la politica su di un determinato territorio si contano dei racconti fantastici di propaganda, quale i miti del privato efficente e del pubblico sicuro o roba simile.

Inoltre, all'interno di alcuni territori, come l'Italia, il mafioso piu' grande e' solo un concessionario di un'altra cosca che l'ha vinta in guerra e che dirige l'Impero. La situazione e' parecchio fluida, ma in realta' la propaganda riesce a farla restare abbastanza stabile, nel senso che gli addomesticati continuano a vivere delle vite completamente in funzione dei loro padroni senza capire neanche di essere solo bestiame umano.

E, nel frattempo, si raccontano le favole del privato e del pubblico...


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AlbertoConti
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Francamente non mi sembra centrato questo punto di vista [...]

Lo so perfettamente @AlbertoConti, infatti ho detto "nella vulgata" cioè nel ciarlare di strada e nel bar.

Veramente mi riferivo alla parte finale:

"Non occorre un genio per capire che la soluzione non può essere dentro la dicotomia pubblico-privato perché una vive dell'altra, una sostiene l'altra, una puntella l'altra e le due insieme fanno il sistema mentale che misura sciocchezze: il mercato. Per ciò non serve che tu sostenga un lato della bilancia con il tuo peso intelligente, dato che nel momento in cui scegli e ti siedi sopra, questo scende verso il basso misurando solo la tua imbecillità. Perchè a quello serve. Come le patate al mercato. Fine.

Piuttosto che pubblico e privato dovremmo capire cosa ci lega tra di noi, cosa rende conveniente i rapporti di forza inversi: perché dovrei fare qualcosa per un altro e contro i miei interessi? La risposta è dublice: perché sei una macchina (un automa) o perché hai fede (affetto o amore).
Se sei una automa il tuo problema (come nel rapporto militare) è solo determinare chi è autorizzato a darti ordini e chi no ed eseguirli al meglio una volta che li hai acquisiti.
Se invece la tua è una relazione di fede, per te è fondamentale sapere perché stai facendo l'interesse di un altro e questo determina insieme l'identità verso cui stai dirigendo l'emozione e la qualità del tuo dono.

D'altronde se sei un automa, nessuno dovrebbe mai sentire obbligo di ringraziarti: esegui ordini e basta. Il ringraziamento non è solo superfluo è satanico, perchè rende accettabile ciò che non ha niente di umano. Lo umanizza nell'idea mentale, lasciandolo però intatto nell'efficacia gelida e spietata dell'agire.
La mistica della macchina cerca sempre di umanizzarla (come in terminator, o in robocop) mescolando le carte affinché l'idea di macchina sia umanizzata e accettata come desiderabile. Poi però tanto non è il cuore e l'amore che la gestirà, ma la spietata ferocia di un ordine dato dal gelido "chiunque" quando più gli pare e piace. Il cuore non serve più a niente, conta così solo il cervello.

Se invece sei una persona legata a un affetto, tutti dovrebbero sempre sentirsi in obbligo di ringraziarti. Il ringranziamento non è solo una formalità, una superficie, ma un insieme di attenzioni pratiche, volte a dare continua conferma che il dono è bene accetto. Attenzioni che costano, almeno quanto il dono ricevuto e quindi creano una dinamica attiva di scambio emotivo: se posso donare ciò che un altro non ha facoltà di donare, farò la mia parte e l'altro comunque farà la sua. Non esiste la possibilità di scansare la fatica senza danneggiare il rapporto d'affetto.
Gli affetti quindi non hanno nulla di estetico e nulla di dichiarato che sia in qualche modo utile o necessario, se non a creare l'idea dell'intenzione. Se però all'intenzione non seguono le azioni che sottolineano i perché critici, i motivi che danno forza al legame, l'amore vale come le scorregge e se ne va via come quelle nel vento. Viceversa, l'attenzione continua ai perché, sia concordata, limpidamente ammessa e accettata che portata nella pratica e così confermata nelle azioni, rafforza il legame e lo cementifica.

Poi, che sia questa una società unipolare, multipolare, religiosa, atea, economica, sociale, o di qualunque altro tipo la fantasia ci proponga, chissenefrega. Tutto diventa secondario, tutto si smorza dentro il centro della scelta tra l'ineffabile automa e l'umano affetto. "


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GioCo
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Francamente non mi sembra centrato questo punto di vista [...]

Lo so perfettamente @AlbertoConti, infatti ho detto "nella vulgata" cioè nel ciarlare di strada e nel bar.

Veramente mi riferivo alla parte finale ...

Più che la parte finale mi sembra i due terzi finali di quelllo che ho detto. Ma forse @AlbertoConti meritavi una risposta meno lapidaria. Ci sono troppi passaggi che mi viene da dare per scontati e che invece potrebbero benissimo non sembrarlo ad altri. Vediamo quindi di scendere nel dettaglio della tua e speriamo di fare meglio.

Scrivi:
Francamente non mi sembra centrato questo punto di vista.
Pubblico e privato sono piuttosto due facce della personalità umana, quella sociale e quella individuale. Se compio al meglio un'azione utile alla collettività non sto donando un bel niente, faccio semplicemente i miei interessi. Concetto semplice quanto incomprensibile dalla maggioranza degli italiani, non per "indole", ma per cattiva educazione. Secoli di dominazione straniera, mafia, malgoverno, corruzione e da ultimo marketing commerciale ci hanno ridotto così, dei dementi che sanno guardare solo al proprio ombelico.

Credo di capire quel che vuoi dire, rifacendoti a una prospettiva "privata". Se io come privato cittadino osservo il pubblico, posso mettermi nei panni di chi lavora in ambito pubblico e questo è un esempio di come faccio anche i miei interessi. Oppure, posso semplicemente pensare che difendere il pubblico è anche un mio interesse perché sono parte di quel "pubblico", per ciò avere qualcuno che lavora nel pubblico mi da garanzie che altrimenti non posso avere. Se è così è un analisi sociale e politica del tutto corretta. Ma il quadro che stavo usando era un altro ed era emotivo. Sono partito da un idea di pubblico e privato "sociale" (la più diffusa) e "meccanicistica" (passami il termine, non ne ho altri più adatti) grossolana per arrivare a dimostrare che quell'idea dipende integralmente dalle emozioni se (e sempre se) il quadro teorico che legge le emozioni come risultato di valutazioni (detta "teoria cognitivo comportamentale") è corretta. Quindi la dicotomia era un pretesto per indicare qualcosa da cui dipende la valutazione, anche nel giudizio delle differenze tra pubblico e privato. Per ciò se non si supera prima quello scoglio, poi si rimane in secca nei dibattiti infiniti su ciò che va meglio.

Scrivi:
In economia poi non c'è storia: la prevalenza del pubblico fa il bene di tutti, ma se e solo se la società è matura, vede cioè entrambe le facce della personalità umana. Il M5S ideologicamente rappresenta un "prelavaggio" in tal senso. Concluso questo primo ciclo andrà sostituito da un lavaggio vero e proprio, che riporti alla luce tutti i colori naturali del vivere civile.

Non vorrei apparire pessimista. Non perché sono ottimista (tutt'altro) ma perché non ho intenzioni pessimiste nell'analisi dell'oggetto. L'economia tra pubblico e privato sussiste solo se esiste un concetto di proprietà sciolto da quello di usufrutto, così come oggi regolato dal codice civile. Ma l'usufrutto è sciolto dalla proprietà solo nel caso in cui la relazione non è tra pari, ma tra schiavo e padrone. Persino Marx l'aveva capito, ma non ha mai reso pubblici i suoi pensieri dato che persino lui ne temeva la conseguenza sull'impianto socio-politico industriale, ci ha dovuto pensare l'amico Engels dopo la sua dipartita a pubblicarli e non a caso non sono mai diventati scritti famosi, perchè aggrediscono integralmente l'impalcatura ideologica industriale, non solo la parte "dei padroni". Poi però che ci mettiamo al suo posto? Ecco, il grande Marx una risposta non ce l'aveva e lo ammette candidamente, per ciò preferisce la rivoluzione molto meno rivoluzionaria e più abbordabile dei proletari. Io lo capisco, al suo posto avrei fatto lo stesso. Ma adesso ci troviamo nella situaizone in cui gli ex proletari hanno fatto carriera e sono divetati in massa padroni di qualcuno e quindi? Fai pulizia, d'accordo, ma per sotituire un padrone con un altro? Allora ti piace fare lo schiavo e stai solo difendendo il tuo ruolo, solo che non lo sai (è una deduzione logica, neh, @AlbertoConti, non la prendere sul personale! - per favore-).

Scrivi:
L'economia pubblica è la componente principale quando lo Stato è amico del cittadino, cioè lo rappresenta. Un miraggio al momento.

Non so da dove partire perché ho troppi dubbi. Tanto per cominciare chi sarebbe questo "Stato" che diventa all'occorrenza un mostro da abbattere? La risposta più lapidaria è "lo Stato siamo noi", ma è evidente oggi che non è così: non eleggiamo molti dei nostri rappresentanti chiave che fanno interessi privati di oligarchie che garantiscono la loro posizione politica e di potere, ma dobbiamo sostenerli con tasse che sono imposte con la forza delle leggi. Ma le oligarchie non nascono su Venere, sono il prodotto delle nostre attività quotidiane: acquisti e guadagni. Non andiamo con l'automobile in giro a caso, non usiamo il cellulare a caso, non guardiamo la TV a caso, non siamo obbligati a caso a rifornici dei beni di prima e ultima necessità nei megastore. Ogni tassello del puzzle è una componente che autosostiene l'altra e se ne tocchi uno crolla il resto. Se invece come Marx fai finta di toccarlo, cioè attacchi una parte confondendola con il tutto, ottieni nel caso migliore una pausa momentanea che poi leggi come conferma delle tue migliori speranze. Quando tutto torna la merda di prima, magari anche peggio (perché c'è sempre spazio per peggiorare) puoi sempre dare la colpa a una mancanza generica di responsabilità, di adultità, di serietà e via così ... mai che ti venga in mente che forse forse è l'impianto di base a far funzionare male le cose; la mancanza di alternativa impone le soluzioni vecchie rinnovate anche quando si sono dimostrate inutili e solo perchè gli si da una verniciata in superficie. In altre parole all'entusiasmo della speranza segue l'indefessa disperazione della perdita di quella speranza. Che è ciclica, dato che si costruisce dentro realtà implicitamente inadatte alle nostre esigenze umane.

Non credo che sia un problema di "crescita" di consapevolezza umana o cazzate del genere. Questo è ciò che mi rende pessimista. Non credo che ci siano persone "più" e persone "meno". Se leggi e scrivi hai gli strumenti minimi per capire tutto ciò che occorre e nonostante ciò la maggior parte degli analfabeti che ho conosciuto erano di gran lunga più avanti dei più istruiti che ho conosciuto. Le differenze non sono "di poco", ma stridenti tanto da stordire: si parla come di salti evolutivi di qualche miliardo di generazioni; un altro pensiero, totalmente differente ma ricco di profonda saggezza. Perché? Non è che quegli analfabeti mostrassero niente di speciale, erano persone comuni, nate nella massa con vissuti piuttosto scialbi, del tutto simili a quelli di infiniti altri miserabili. L'unica vera caratteristica distintiva per loro è che se aprivano la bocca rompevano i coglioni a prescindere. Cioè ti facevano sentire una merda anche se non ti criticavano mai. Perchè per loro era chiaro che non funzionava la struttura sociale nella sua base concettuale, solo che sapevano come Marx che era inutile dirlo bisognava solo saperlo, cioè vederlo chiaro come il sole confermato in tutto e accettarlo come un dato di fatto. Non perché non ci sono soluzioni, ma perché banalmente finché non vedi per te quel che non vedi non esiste. Non è nemmeno importante "capire", sono cose così banali che non c'è niente da "capire". Se hai una dotazione cognitiva sufficiente a leggere e scrivere, hai materia grigià già in abbondanza per "capire". Ma "capire" viene dopo che vedere. Cioè rendersi conto.

Faccio un esempio banale (ma anche non troppo). Se nasci da una famiglia in cui tuo padre è un vero pezzo di merda, puoi vivere tutta la vita tranquillamente senza vedere che è un pezzo di merda, anche se è evi
dente al punto che chiunque non può che definirlo così ... anzi, potresti giustificare il suo comportamento, perché ha successo, come invidia degli altri e finire per imitarlo, senza nemmeno rendertene conto. Il problema però come dicevo, è emotivo e può essere affrontato cognitivamente solo se la teoria cognitivo comportamentale è corretta.

Spero di essere stato più chiaro.


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AlbertoConti
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Spero di essere stato più chiaro.

Grazie dell'attenzione, ma non ci ho capito una mazza.

Intendevo ragionare molto più raso-terra, come ad es. la differenza tra un giardino pubblico e un giardino privato. Nel primo mi ci riconosco, il secondo mi fa solo incazzare, perchè qualcuno me ne ha tolto il possibile godimento, a me come a chiunque altro, per sempre. Non provo alcun affetto per il "proprietario privato", come per qualsiasi altro privilegio giustificato da diritti molto discutibili.

L'economia pubblica e quella privata devono convivere, ma in quali proporzioni e per quali finalità? Questa è la domanda primaria cui non si risponde quasi mai. Stiamo parlando di numeri soverchianti rispetto alla portata fisiologica degli affetti individuali, cioè uno dei tanti punti che ci divide dal resto del regno animale.


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