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(Non) con i nostri soldi


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime nel 2007 e i conseguenti disastri, ogni vertice internazionale, dal G20 in giù, si è chiuso con roboanti dichiarazioni sulla necessità di introdurre nuove regole per chiudere una volta per tutte il casinò finanziario. A dispetto di tali dichiarazioni, poco o nulla è stato fatto fino a oggi. Il problema non è tanto di natura tecnica. Dalla seperazione tra banche commerciali e banche di investimento alla trasparenza sui mercati, dal proibire alcune operazioni al tassare le transazioni finanziarie ad altre misure ancora, sappiamo cosa andrebbe fatto e come procedere. È una questione di volontà politica. Fare sentire la voce del “99%”, riprendendo l’espressione di Occupy Wall Street, per riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia, e non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile.

L’introduzione di regole “dall’alto”, però, non è che un lato della medaglia. È altrettanto importante agire “dal basso”, partendo dai nostri risparmi. Chi di noi presterebbe i propri soldi a chi intendesse giocarseli al casinò? Eppure quanti di noi domandano alla banca o al gestore l’uso che ne viene fatto? I nostri risparmi, incanalati sui mercati finanziari, possono avere un enorme impatto, tanto in positivo quanto in negativo. Possono essere impiegati per l’economia locale o finire in qualche paradiso fiscale, sostenere la creazione di posti di lavoro o le delocalizzazioni. In altre parole, quanto oltre che vittime siamo complici involontari di questo sistema? Anche se sembra che i nostri risparmi siano del tutto trascurabili rispetto alle somme in gioco, sommando le poche migliaia di euro di milioni di persone otteniamo una buona parte del carburante che alimenta la speculazione. I maggiori attori finanziari sono banche, fondi pensione e di investimento, assicurazioni. Soggetti che si alimentano dei capitali di moltissimi piccoli risparmiatori e clienti, i quali di norma hanno pochissime informazioni e nessuna possibilità di intervento.1 Tramite la leva finanziaria inoltre, anche risparmi limitati possono portare a grandi importi investiti nel casinò finanziario.

Abbiamo il diritto, e per molti versi il dovere, di esigere una piena trasparenza sull’utilizzo che viene fatto dei nostri soldi. Su questi principi e sull’idea di mutualità e partecipazione sono nate in Italia sul finire degli anni ’70 le Mutue di Auto Gestione o MAG, delle cooperative finanziarie che raccolgono risparmio ed erogano prestiti ai loro soci. Nascono con l’obiettivo di rispondere alla difficoltà di accesso al credito e alla mancanza di trasparenza del sistema bancario.

Tali cooperative riprendono le esperienze delle società di mutuo soccorso nate in Italia nel XIX secolo. I lavoratori costituirono delle casse comuni nelle quali ognuno versava una piccola cifra. Se qualcuno perdeva il posto o si ammalava poteva attingere alle risorse della cassa comune e superare in tale modo i propri problemi, il che gli permetteva di rientrare nel mondo del lavoro e di restituire il prestito contratto. L’aspetto rivoluzionario è che il denaro, da sempre una delle maggiori fonti di esclusione nei sistemi capitalisti, diventa al contrario un mezzo per rafforzare legami sociali e di solidarietà.

Dall’esperienza di alcune MAG e di altre organizzazioni, sul finire degli anni ’90 nasce in Italia la prima banca etica. Un istituto che offre tutti i servizi bancari, ma con principi che la rendono nettamente differente, a partire dalla completa trasparenza: è l’unica in Italia a pubblicare sul proprio sito tutti i finanziamenti concessi alle persone giuridiche, con l’importo e altri dettagli. Una dimostrazione che il segreto bancario non è legato a un obbligo legislativo o a una generica riservatezza: se non c’è nulla da nascondere, non è necessario nascondere nulla. Oltre a rifiutare speculazione, paradisi fiscali e operazioni di “ingegneria finanziaria”, una particolare attenzione è dedicata all’accesso al credito. I finanziamenti vanno unicamente ad alcuni settori: cooperazione sociale, cooperazione internazionale, mondo dell’associazionismo, le energie rinnovabili o l’agricoltura biologica. Forme di “altra economia” che non solo hanno ricadute positive sul territorio e l’ambiente, ma si stanno dimostrando molto più resilienti nell’attuale crisi.

Come per tutte le banche, ogni richiesta di prestito viene vagliata tramite un’istruttoria economico-finanziaria, svolta dai dipendenti. A questa analisi economica Banca Etica affianca una seconda valutazione, svolta direttamente dai soci sul territorio, degli impatti di natura sociale e ambientale dell’ente richiedente. Questo permette di creare e rafforzare reti sul territorio e meccanismi di fiducia e di conoscenza reciproca, con ricadute positive anche sul piano operativo. Il sistema bancario italiano ha un tasso di sofferenza intorno al 7%. Per Banca Etica, che finanzia soggetti considerati rischiosi quali piccole cooperative sociali, potrebbe sembrare già un risultato notevole rimanere nella media del sistema bancario. Il tasso di sofferenza di Banca Etica a fine 2012 era pari al 1,4%, circa cinque volte più basso.

Un dato che mostra come la finanza etica non sia una piccola nicchia per persone sensibili e magari un po eccentriche, ma un’alternativa concreta, che funziona altrettanto bene, e spesso molto meglio della finanza tradizionale. “Un vero e proprio approccio alternativo all’idea di finanza, senza ripudiarne i meccanismi di base (come l’intermediazione, la raccolta, il prestito), ma riformulandone i valori di riferimento (la persona e non il capitale, l’idea e non il patrimonio, l’equa remunerazione dell’investimento e non la speculazione)”.2 Paradossalmente, la caratteristica premiante e quasi di rottura è quella di fare prima di tutto ciò che la finanza dovrebbe fare: un luogo di incontro tra risparmiatori e chi ha bisogno di soldi. E’ la gran parte del sistema finanziario ad avere completamente perso di vista questo ruolo.

L’attenzione alle ricadute non economiche non ha unicamente delle conseguenze pratiche. Uno dei pilastri del neoliberismo è il prezzo come punto di incontro tra domanda e offerta e come riflesso di tutte le informazioni su un dato bene o servizio. Una visione meccanicistica e riduttiva alla base della mercificazione di qualsivoglia attività. Un dogma che esclude l’esistenza di esseri umani, o meglio li intende unicamente come homo oeconomicus, un essere astratto perfettamente razionale ed egoista, che pensa unicamente alla massimizzazione del proprio risultato economico.

La finanza etica smonta tale visione e supera nei fatti l’impianto neoliberista. Il valore torna a essere inteso nel suo senso più ampio, non come prezzo ma come insieme delle ricadute sociali e ambientali, dei benefici e degli impatti per l’insieme della società. Il valore economico è uno tra i molti parametri da prendere in considerazione. Nell’attuale fase di dominio della finanza intesa come un fine in sé stesso, viene restituita dignità alle attività economiche e il denaro diventa un mezzo per il raggiungimento di obiettivi di benessere delle comunità.

Con uno slogan, l’interesse più alto è quello di tutti. Tutti noi possiamo sottrarre risorse alla speculazione finanziaria e indirizzarle verso l’economia sociale il bene comune, la creazione di posti di lavoro, la realizzazione di progetti di tutela ambientale. Per creare e rafforzare circuiti virtuosi, reti di economia solidale, un vero e proprio sistema economico e sociale differente.

Andrea Baranes
Fonte: www.miminamoralia.it
10.05.2014

Estratto da Dobbiamo restituire fiducia ai mercati – Falso! di Andrea Baranes (Laterza)


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