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Non smetto di pensare a Carlo


Tao
 Tao
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Ieri è morto Carlo Mazzacurati, uno dei più grandi registi italiani degli ultimi trent’anni. Questo è il ricordo di un collega, un compagno, un amico, che ringraziamo molto.

Non smetto di pensare a Carlo. Cercando sul computer una nostra foto assieme, ho invece ritrovato questo pezzo scritto nel ’95. È una parte di un articoletto pubblicato su una rivista che si chiamava “dire fare baciare”. Mi piace perché è un ritratto vero e vivente di un momento passato assieme. Avevamo stomaci coibentati e papille indifferenti alle tentazioni del gusto.

“Ero sul set di Carlo Mazzacurati, ovviamente nel delta del Po. Definire il clima di quella serata rigidissimo è solo un pallido eufemismo. Del resto il film si chiamava – non a caso – Notte Italiana. Erano le dieci di sera, ed era scoppiata una tempesta di nevischio. Le lampade esplodevano per il freddo e Marina, la moglie di Carlo, piangeva per le orribili sofferenze cui un clima, che posso definire solo “crudele”, li sottoponeva. ( Carlo, diceva, – ti prego- gira un film in estate, almeno uno!) Io, lui, lei ed Umberto ci eravamo rifugiati in una roulotte parcheggiata sul ciglio di un fosso. Dentro c’era Marco Messeri che sembrava un sacco umido, sotto shock per gli sbalzi di temperatura, e russava da alcune ore, bagnato, infangato. Pensammo tutti che fosse assiderato, ma non avemmo la forza di controllare per eventualmente rianimarlo. Fedeli al set, al al lavoro duro, nella roulotte tentavamo di ripararci: era pausa. Carlo sembrava un soldato nella campagna di Russia, coperto da strati di lane, flanelle, imbottiture semicongelate, ghiaccio sulle sopracciglia. Marina scongelava e smetteva piano piano di piangere. Perché nella roulotte c’era l’unico tepore dei paraggi: una pila di cestini che la troupe non aveva nemmeno voluto vedere. Avevano detto: “E dove li mangiamo? Sotto la neve? Seduti sull’argine scivoloso? E se moriamo congelati? Se ci viene la congestione? Se scivoliamo nel Po ed affoghiamo? Noi andiamo nella trattoria qui vicino: risotto col pesce, caminetto acceso, salsicce alla brace, tonnarelli al sugo di lepre, risotto ai ghiozzi! Altro che cestini, ci fanno cagare!” Invece a me e Carlo quei cestini sembravano ammiccare. Carlo fa: “Se c’è dentro la cotoletta di pollo impanata con prosciutto e formaggio me ne mangio almeno cinque. Allora abbiamo aperto il cestino e abbiamo visto che la cotoletta c’era. Abbiamo sorriso ed abbiamo cominciato ad inghiottire una cotoletta (per la precisione “Cordon Bleu”, aveva detto il cestinaro ottimista). E mentre il nevischio si trasformava in pioggia torrenziale, la roulotte minacciava di slittare nel fosso sottostante, e di lì nel Po, e dal Po in mare aperto – dirò di più: Adriatico – abbiamo mangiato tutte le cotolette fritte impanate di tutti i cestini, almeno dieci a testa, aprendo voracemente le scatole di alluminio ed inghiottendole in un solo boccone una dietro l’altra come se non ci fosse un domani, come se nessun altro Cordon Bleu potesse tornare a salvarci la vita nel futuro. Fu allora – accanto ai miei amici – che capii che fare cinema può rendere eroicamente felici”.

Daniele Lucchetti
Fonte: www.minimamoralia.it
23.01.2014


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radisol
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Ciao Carlo

Da ragazzo dei Settanta a uomo di Cinema

di Marco Rigamo

23 / 1 / 2014

Carlo Mazzacurati è morto ieri, mercoledì, all'età di 57 anni, dopo una lunga malattia.

Carlo era un ragazzone biondo, i capelli lunghi e un sorriso insaccato dentro l'eskimo di ordinanza. Nei primi anni Settanta era uno dei medi, quando la scuola ribolliva sul serio. Era nella piazze e nei cortei. Era uno di noi dell'autonomia veneta. Nell'epoca in cui per far sapere le cose usavi il ciclostile e i datze bao, i fascisti stavano nelle fogne e gli Stati Uniti in Vietnam. Era sempre gentile e disponibile. Presente. Quando il gioco ha iniziato a farsi duro ha cominciato a perdersi negli archivi cinematografici sterminati di Piero Tortolina e a capire cosa avrebbe voluto fare da grande. Da Padova se ne è andato a Bologna, uno dei primi studenti del Dams. E poi a Roma, perché il Cinema sta lì.

Carlo ha fatto tutta la trafila, ha risalito la corrente: scrittura, televisione, sceneggiatura. Documentari, sempre, fino all'ultimo. Ha inseguito una passione ed è riuscito ad afferrarla. E' diventato uno dei registi italiani più amati dal pubblico. Ma è rimasto pudico e schivo come agli esordi. Come è stato un po' tutto il suo cinema. Fatto di sottrazioni e lievità, di storie raccontate sottovoce. A chi lo accusava di non usare le unghie replicava che graffiare non stava nelle sue corde. Del suo primo lungometraggio distribuito, Notte italiana del 1987, conservo una battuta che per me è diventata un principio fondamentale, pronunciata dalla zingaro Bobo Citran: “meglio amico con difetti che no amico”. De Il toro del 1994 una conversazione-intervista di ore con lui e Bobo: Leone d'argento al film e Coppa Volpi a Citran. Mentre Bobo rideva di quanto fosse terrorizzato da quel grosso animale, Carlo mi raccontava come sul set “cercare di costruire ogni volta una specie di famiglia è per me indispensabile perché si crea un clima, un'atmosfera da cui scaturiscono le emozioni”. Era uno che voleva entrare in relazione con la gente attraversando, nel farlo, “un'infinita difficoltà e una grande attrazione” e questa sorta di ossimoro veniva trasferito nella sua cinematografia.

In famiglia è rimasto, apparendo poco, lavorando molto. Non sempre ripagato dallo stesso successo, ma sempre portatore di uno sguardo originale, non omologabile, negli ultimi lavori un po' più stralunato. Realismo sociale attento alle trasformazioni del costume e sempre contaminato dalla poesia. Apparire poco non gli aveva impedito di essere il primo firmatario di un appello a che il cinema Mignon di Padova potesse tornare a ospitare un pubblico e dopo alcuni documentari (dai grandi vecchi della cultura veneta all'Africa) era tornato al cinema di finzione. Ci parlava di lui quest'estate allo Sherwood Festival, con grande affetto, Valerio Mastandrea, protagonista dell'ultimo La sedia della felicità, previsto in uscita ad aprile: un'estetista e un tatuatore in cerca del colpo di fortuna. Della malattia purtroppo sapevamo e non era sfuggita la sua sofferenza all'ultimo Torino Film Festival, che gli attribuiva il Premio alla carriera. Ora tocca salutarsi. Ciao Carlo, tra i tanti premi ricevuti metti anche quello alla tua 124 familiare: Prima Macchina del Movimento.

http://www.globalproject.info/it/produzioni/ciao-carlo/16281


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