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Operazione “Angelo misericordioso”: ancora i ratti...


yahuwah
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La crisi finanziaria e politica in Europa è il risultato dell’operazione “Angelo misericordioso”

Konstantin Kacialin, Redazione Online

8.05.2013, 18:55


Foto di Zoran Mladenovič

Recentemente ho riletto attentamente i miei diari con materiali sulla guerra condotta contro la Jugoslavia nel 1999. In quel periodo lavoravo a Belgrado ed ho vissuto insieme con i serbi tutti gli orrori ed incubi dei bombardamenti notturni di una delle più belle città europee.

Rimango tuttora sorpreso dal coraggio e dalla resistenza manifestati dagli abitanti di Belgrado e voglio riportare ancora una volta le parole di alcuni autorevoli esponenti jugoslavi che hanno vissuto quei giorni insieme con il loro paese:

Borka Vučič, capo della Banca Centrale della Jugoslavia e ministro delle Finanze del paese, la quale nel 2009 morì tragicamente in un incidente stradale, ha raccontato di quegli avvenimenti:

L’aggressione della NATO nel 1999 ha finito il nostro paese. La guerra finanziaria è stata altrettanto crudele come le ostilità nei Balcani. Il popolo se n’è andato per le proprie case ed ha smesso di lavorare in modo normale. Molti serbi hanno perso la loro terra in Bosnia, Croazia e Kosovo e si sono trasformati in miseri profughi. Eravamo d’impedimento agli USA in senso sia diretto che traslato, in quanto solo Belgrado non voleva sottomettersi a Washington. Allora hanno deciso di piegare la nostra volontà e di meterci in ginocchio. È più facile, infatti, governare i paesi piccoli e dare loro consigli preziosi su come e a che fine vivere in questo mondo. Dopo l’“Angelo misericordioso” gli USA e il Pentagono ci hanno tolto il Kosovo ed hanno trasformato questo territorio in una potentissima base militare. Adesso tutti i nostri vicini – Bugaria, Romania, Ungheria – si trovano sotto il rigoroso controllo e sono comandati da specialisti d’oltreoceano.

Zoran Anželkovič è un noto politico. In diversi periodi ha occupato la carica di vicespeaker dell’Assemblea Nazionale della Serbia ed è stato Segretario generale del Partito socialista serbo. Durante la nostra conversazione Zoran Anželkovič ha parlato senza mezzi termini delle azioni degli USA e della NATO:

Nella primavera del 1999 siamo stati rigettati di 10 anni indietro. Molti hanno perso parenti e vicini. Sono stati distrutti nostri impianti infrastrutturali importanti: ponti, strade, imprese, fabbriche. L’aggressione della NATO è una piaga molto grave e dolente. Si farà sentire ancora a lungo. Gli americani stessi capiscono adesso di aver commesso nel 1999 un grande errore attaccando la Serbia. Putroppo, questo riconoscimento è arrivato troppo tardi. Non si può ormai far ritornare la gente morta colpevole solo del fatto di essere nata in Serbia. A mio parere, gli americani sono tuttora convinti che dalle grandi crisi bisogni uscire mediante grandi guerre. L’importante è ripulire i magazzini di vecchie armi e avviare la produzione di quelle nuove. I budget militari ammontano a trilioni di dollari. L'industria della guerra non è solo armamenti ma anche nuove tecnologie. Negli anni ‘90 negli USA è sorta appunto una tale situazione ed hanno deciso di iniziare la guerra nei Balcani. Washington ha preso allora tale decisione ed ha quindi congelato lo sviluppo dell’Europa, lo sviluppo dell’Unione Europa, ed ha coinvolto gli europei nella guerra contro la piccola Serbia. Sono convinto che l’attuale crisi finanziaria e politica in Europa sia il risultato dell’operazione "Angelo misericordioso". Sono i cittadini semplici dell’UE a pagare per i crimini commessi contro la Serbia e i suoi popoli.

Ci siamo stato bombardati 24 ore su 24. Ricorderemo per sempre questi orrori e Dio salvi da ciò altri paesi. Ogni volta che ci nascondevamo in rifugi antiaerei, aspettavamo quale altra casa sarebbe stata attaccata. Ho parlato molto con persone che avevano vissuto la Seconda guerra mondiale. Dicevano che era una guerra in cui l’esercito di un paese si contrapponeva a quello di un altro. Nel 1999 non abbiamo combattuto contro nessuno, ci uccidevano semplicemente dall’aria.

Emir Kusturica è stato il più franco di tutti. Come un vero artista che ha dedicato tutta la sua vita alla Jugoslavia e alla Serbia capisce benissimo il significato della primavera del 1999:

Adesso si usa dire: se non sei non noi, sei contro di noi. La Jugoslavia veniva bombardata e distrutta solo a causa del Kosovo. Poi il Kosovo ci è stato tolto. Gli americani hanno trasformato i serbi, piccolo popolo, in emarginati e li hanno cominciato ad annientare dall’aria. A Bruxelles e a Washington questi bombardamenti vengono definiti un’azione umanitaria per la salvezza degli albanesi del Kosovo.

Kosovo 1998: la guerra di propaganda in onda

Konstantin Kacialin, Redazione Online

7.06.2013, 17:28

Nell'ottobre del 1998, quando mi recai nuovamente a Belgrado, gli USA stavano perseverando con il loro «piano Kosovo» senza lesinare sui mezzi. Come prima cosa si diedero al «lavaggio del cervello» di Serbia e Montenegro.

La stazione radiofonica «Svoboda» (Radio Liberty) e «Svobodnaja Evropa» (Radio Free Europe) annunciarono l'espansione dei programmi da loro gestiti in Jugoslavia e, in particolare, il lancio del programma serale «Jugoslavia dall'interno», che avrebbe occupato non più mezz'ora, ma un'ora della programmazione e la trasmissione «In linea con gli eventi», modificata in modo tale da essere in linea solo con gli eventi in Kosovo. Anche Internet è stato utilizzato ampiamente per il fatto che Belgrado poteva proibire di rimandare in onda trasmissioni fatte in Occidente.

I programmi erano frutto di grande professionalità e conoscenza dei problemi dall'interno. Questo l'ho capito dopo aver ascoltato a Belgrado alcune trasmissioni informative e analitiche di Radio Liberty e Radio Free Europe. Gli americani avevano chiaramente definito l'obiettivo: convincere gli ascoltatori che bisognava sostituire Milošević con un altro leader e passare il potere a Rugova e Thaci in Kosovo. Oltre alla radio, sono stati sfruttati anche mezzi televisivi. Per gli USA era molto importante convincere i propri cittadini che il Kosovo aveva bisogno di un supporto particolare da parte della Casa Bianca. Questo metodo era già stato provato in Bosnia ed Erzegovina e lo avevano semplicemente trasposto e applicato allo «scenario del Kosovo».

I servizi segreti americani hanno più volte trasmesso informazioni false sulla situazione nella regione. A metà agosto 1998, iniziata l'isteria anti-jugoslava in tutto il mondo, in Kosovo erano giunti molti giornalisti stranieri che avevo incontrato in Bosnia nell'estate del 1995. Si trattava di professionisti di troupe televisive ben pagate, con jeep prenotate, diversi cameraman e grosse indennità di missione, provenienti da USA (CNN e ABC), Gran Bretagna (Sky News e BBC), Germania (Bundes Radio Deutschland) e altri grandi canali televisivi. Gli albanesi del Kosovo ammettevano solo i colleghi occidentali alla preparazione di «reportage speciali» sul luogo degli avvenimenti.

In estate e autunno 1998 il mondo intero vide reportage fasulli sulle atrocità dei serbi, sull'uccisione di bambini e anziani, su donne violentate e cadaveri mutilati. Lo stesso avvenne con la questione dei rifugiati. Per incrementare la propria credibilità, gli americani diffusero la disinformazione anche tra i colleghi americani, compresi gli italiani. A quel tempo, la principale fonte delle informazioni false era il «Comitato albanese per la libertà e per i diritti dell'uomo».

Come affermato da questa «organizzazione umanitaria», vittime dei serbi erano stati allora donne, bam
bini e anziani. I giornalisti allora convinsero immediatamente americani ed europei che decine di migliaia di albanesi erano rimasti senza un tetto sulla testa. L'organizzazione umanitaria degli albanesi del Kosovo «Madre Teresa» raccontava al mondo intero che in Kosovo c'erano 327 626 senza tetto e che gli aiuti umanitari potevano servire appena un terzo di essi. Secondo «Madre Teresa», metà dei bambini della regione erano malati e, in assenza di soccorso, molti sarebbero morti di fame.

Molti servizi speciali americani ed europei specularono sulla questione dei rifugiati. Secondo un'informazione ricevuta da me personalmente allora in Kosovo e a Belgrado, la cifra di trecento mila rifugiati, divulgata dal rappresentante dell'ONU nei Balcani Kris Janowski, un polacco che parla perfettamente russo e che da lungo tempo lavorava in Croazia e Bosnia, era sicuramente gonfiata. Durante le azioni militari in Kosovo, la gente abbandonava la propria casa e correva sulle montagne, ma al massimo i rifugiati potevano essere non più di 50-70 mila. Dove prendere gli altri 250-230 mila? Erano per lo più albanesi dall'Albania che si spostavano da un paese all'altro, ma in generale in Kosovo con le cifre c'è una confusione totale: l'ultimo censimento della popolazione nella regione è stato fatto nel 1981.

Le prestigiose voci false diffuse nell'estate 1998 da tutte le agenzie mondiali fecero il loro effetto: gli americani sono padroni del loro mestiere, sanno come suscitare le lacrime. L'importante è assicurarsi il supporto della comunità, delle organizzazioni caritatevoli e i soldi del Congresso, fare qualche reportage «angosciante» e poi «minacciare» la Jugoslavia con bombardamenti aerei per il «genocidio» degli albanesi.

Kosovo 1998: quanto sono costate agli USA le armi fornite a UCK

Konstantin Kacialin, Redazione Online

9.06.2013, 13:32

Il presidente degli USA Bill Clinton non è stato amato nel Congresso USA perché per la disgregazione della Jugoslavia sono state spese ingenti somme di denaro che sarebbero potute essere investite in altri programmi.

Secondo e stime più modeste, la crisi nei Balcani è costata ai contribuenti statunitensi e occidentali 250 miliardi di dollari. Per questi soldi si sarebbe potuto costruire alcune nuove Jugoslavie e creare nei Balcani il paradiso eterno sulla terra. Invece tutti gli ultimi inquilini della Casa Bianca con un’invidiabile ostinazione hanno cercato di creare nella regione “area d’instabilità permanente”. Sono in molti ad aiutarli, ma soprattutto gli albanesi americani, che da tempo sono considerati molto influenti.

Oggi negli USA vivono tra 300 e 500 mila albanesi. Mentre in precedenza tutti loro sostenevano Ibrahim Rugova, all’inizio del 1998 la maggioranza è passata al “gruppo di sostegno” di Hashim Thaci. Sui suoi conti sono stati trasferiti legalmente da oltreoceano quasi 2 miliardi di dollari. Certamente una parte di queste somme è stata spesa per le armi e per la creazione di UCK. Tuttavia una parte – per sostenere l’immagine di Thaci e della sua squadra. I tecnologi politici hanno velocemente trasformato gli ex comandanti in campo in autorevoli e rispettabili leader politici. In primavera del 1998 gli americani, inaspettatamente per il mondo intero, hanno rinunciato alle operazioni per la ricerca di depositi d’armi segreti dei guerriglieri albanesi e al perseguimento dei più “attivi” estremisti.

Guadagnare nel Kosovo, facendosi schermo dei “diritti dell’uomo” (per qualche motivo, soltanto di etnia albanese), era possibile. Se i ricchi “padroni” ordinano questo o quello “scenario balcanico”, allora perché non attuarli? Gli attori erano numerosi, e la stragrande maggioranza di loro ha già imparato da tempo a sparare e a uccidere la popolazione serba. Washington ha semplicemente giocato le “partite combine” con Hashim Thaci e la sua gente che sono riusciti molto presto a ringraziare i loro protettori americani. Gli USA hanno occupato il posto di Tito e, tramite “troiani kosovari” hanno definitivamente messo i Balcani sotto il proprio controllo vigilante – militare, ideologico ed economico.

Certamente non solo gli americani, ma anche i vicini di Tirana, hanno aiutato Thaci. Già dopo la crisi albanese del 1997, quando la popolazione ha distrutto tutti i depositi d’armi appartenenti all’Esercito popolare albanese, era diventato chiaro che in breve tempo tutti i “Kalashnikov” sarebbero andati a finire nelle mani di UCK.

Il business delle armi è stato avviato velocemente e attraverso il confine aperto sono stati inviati regolarmente carichi d’armi per Thaci e uomini al suo comando. Inoltre nel Kosovo si sono precipitati rappresentanti della diaspora albanese da tutto il mondo. Sono confluiti nelle file dei combattenti di UCK. Grazie al commercio delle armi i secessionisti hanno avuto la possibilità di armarsi. Attraverso il confine con la Repubblica Federale di Jugoslavia sono stati forniti non solo i “Kalashnikov”, ma anche armamenti pesanti, proiettili anticarro.
Nel corso di qualche anno il Nord dell’Albania era rimasto fuori controllo da parte del governo centrale. Era il territorio dove le bande rivali si contendevano il mercato, ingaggiando le sparatorie e terrorizzando la popolazione. Tutti si sono lanciati nella speculazione delle armi, offrendo a prezzi stracciati i mitra, le bombe a mano, i mortai, le munizioni provenienti dalle caserme depredate in Albania. La domanda era alta: chiunque poteva in un attimo fare una fortuna, rendendosi perfettamente conto che i kosovari pagavamo generosamente per le armi. Gli speculatori sono riusciti a inondare Kosovo con una tale quantità di mezzi militari che sarebbero bastati per armare alcuni eserciti. A volte le forniture d’armi erano in mano alle bande criminali. Nessuno però temeva che al business poteva essere posta la fine. Sono diventati “alleati” degli americani e non si combattono gli “alleati” ma si fa l’amicizia con loro e gli si aiuta. L’importante – è di fare tutto negli interessi di UCK e contro gli interessi della Repubblica Federale di Jugoslavia. Allora l’impunità è assicurata.

Kosovo 1998: Richard Holbrook e Slobodan Milošević

14.06.2013, 16:53

Nell'ottobre 1998 a Belgrado stava per arrivare Richard Holbrook, inviato speciale di Bill Clinton per i Balcani. Lo definivano il "padre" dell'Accordo di Dayton che nel 1995 pose fine alla guerra in Bosnia ed Erzegovina.

Holbrook conosceva bene Milošević e ricordava perfettamente che bisognava operare esclusivamente assumendo posizioni di forza. Dichiarò apertamente che se Milošević non sarebbe stato d'accordo con le condizioni di Washington, la NATO avrebbe iniziato a bombardare il paese. Clinton doveva supportare ad ogni costo Hashim Thaçi e la sua squadra prima dell'arrivo dell'inverno.

In quel periodo l'esercito jugoslavo stava riprendendo il controllo di gran parte del Kosovo e gli Stati Uniti ricorsero apertamente al ricatto: non ci sarà la pace con i kosovari, preparatevi al peggio. Slobodan Milošević fu obbligato a cedere. In quei giorni mi trovavo a Belgrado e discutevo molto con i colleghi giornalisti. Tutti affermavano che Milošević comprendeva perfettamente che dall'oggi al domani sarebbe iniziata una guerra contro la Serbia. La NATO si stava preparando per questo da oltre sei mesi ma ancora non aveva infervorato l'opinione comune di Europa e Stati Uniti, cosa per cui serviva tempo e soldi. Un mio conoscente di Belgrado affermò con ancor più franchezza: "Gli americani non amano far la guerra d'inverno, fa freddo e c'è poca visibilità per l'aviazione. Non è il caso di rischiare in questi casi".

Immediatamente dopo, il 13 ottobre 1998, Milošević accettò le condizioni di Holbrook e Clinton ed ebbe inizio una campagna anti-Jugoslavia. I primi ad intervenire furono Ibrahim Rugova
e Hashim Thaçi, i quali affermarono di non essere soddisfatti degli accordi di pace raggiunti a Belgrado relativi al Kosovo e che non avrebbero mai creduto nella buona volontà di chi governava la Jugoslavia. Quindi esortarono nuovamente gli americani ad attaccare l'esercito serbo.

Il 15 ottobre 1998 anche Badil Mahmuti, rappresentante politico in Svizzera dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, intervenne presso la comunità europea con posizioni militari simili. Nella conferenza stampa espressamente indetta a Ginevra nel Palazzo delle Nazioni Unite, questi definì "assurda" la decisione di dislocare in Kosovo 2000 osservatori dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, spiegando che le autorità della Repubblica Federale di Jugoslavia avevano l'intenzione di sequestrare gli osservatori nel caso la NATO compisse attacchi aerei. Mahmuti chiese che l'Esercito di Liberazione del Kosovo prendesse parte alle trattative per il Kosovo, mettendo in dubbio l'accordo di Richard Holbrook con il presidente della Jugoslavia Slobodan Milošević. "Nessuno ha il diritto di concludere un accordo sullo status del Kosovo senza che a questo prenda parte l'Esercito di Liberazione del Kosovo, che non vede altra soluzione all'infuori dell'indipendenza" constatò il rappresentante di Thaçi. "Abbiamo grandi possibilità e abbiamo i mezzi per rispondere", sottolineo Mahmuti, facendo intendere che la minaccia poteva esser messa in pratica se il governo jugoslavo non avesse adempito ai propri obblighi.

Mahmuti affermò inoltre che, per quanto riguardava le armi, l'Esercito di Liberazione del Kosovo "non aveva nessun problema, nei Balcani ce n'erano molte", ed aggiunse "Siamo pronti a continuare la lotta armata fino alla liberazione". Quel giorno a Ginevra il rappresentante dell'Esercito di Liberazione intervenne con dichiarazioni contraddittorie a proposito dei diritti dei cittadini serbi nel futuro "stato indipendente". Inizialmente assicurò che "nel nostro stato indipendente" la popolazione serba e le altre minoranze avrebbero goduto dei medesimi diritti della popolazione albanese, e che "non si sarebbero vendicati" della minoranza serba. Dopo pochi minuti però iniziò ad insistere sul fatto che serbi ed albanesi avevano una storia ed una cultura differenti e che non potevano vivere assieme.

Dal discorso di Mahmuti si poteva comprendere che Thaçi e Rogova seguivano con attenzione la situazione della popolazione albanese negli stati confinanti. In particolare dalle critiche contro la Macedonia per "la costante discriminazione nei confronti degli albanesi", nelle quali esortò la comunità internazionale, in nome del mantenimento della "stabilità", a fare "pressione" sul governo di questo stato. D'altro canto, però, mise in allerta sul fatto che in Macedonia "ci saranno gli stessi problemi". Ne conseguì che Thaçi e la sua squadra iniziarono a dettare le loro condizioni anche in Macedonia immediatamente dopo la ratifica dell'accordo fra Milošević e Holbrook. In quel periodo a governare la Macedonia c'era Kiro Gligorov, un esperto politico, il quale comprese che i kosovari sarebbero potuti passare dalle parole ai fatti in qualunque momento, e che sarebbe potuta cominciare una nuova guerra nei Balcani.

http://italian.ruvr.ru

Tanto per cambiare, son sempre loro, i RATTI NATO-SIONISTI 🙂


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