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Ostaggi della Germania: la nostra crisi è il loro business


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Un governo inerte che vive solo di rinvii, soprattutto in materia di economia e tassazione: persino il Fmi ammette che la politica di rigore è suicida, ma nessuno osa contrastare il diktat della Germania. Che, per fare profitto, ha bisogno esattamente di questo: indebolire di proposito il Sud Europa, per imporre il suo export demolendo la concorrenza industriale stritolata dalla crisi e “rubando” manodopera specializzata. Queste, spiega Guglielmo Forges Davanzati su “Micromega”, sono le ragioni per le quali «il governo tedesco ha interesse a mantenere (e perpetuare) un’Europa a doppia velocità». L’economia tedesca costituisce oggi il 23% del Pil dell’Eurozona. La crescita economica tedesca è essenzialmente trainata dalle esportazioni: e circa il 60% dell’export tedesco è rivolto ai paesi dell’Eurozona. «A fronte di ciò, il resto dell’Eurozona (i paesi mediterranei, innanzitutto) fa registrare tassi di crescita negativi, consistenti aumenti della disoccupazione – e in particolare della disoccupazione giovanile – riduzione dei consumi e degli investimenti». E nessuno ferma la Germania, perché temono che salterebbe in aria l’euro.

Se la crescita economica tedesca è trainata dalle esportazioni, e se le imprese tedesche esportano prevalentemente nell’Eurozona, «ci si Letta e Merkeldovrebbe attendere che sia nell’interesse del capitale tedesco consentire agli altri paesi membri dell’Unione Monetaria Europea di mettere in atto politiche che accrescano la loro domanda». Invece, avviene esattamente il contrario: evidentemente, la perseveranza tedesca nell’imporre politiche di rigore «porta a considerare due fattori che rendono conveniente, al capitale tedesco, l’impoverimento del resto del continente: lo sfascio delle industrie del Sud Europa favorisce comunque la penetrazione della concorrenza tedesca, sia in termini di vendita del “made in Germany” che in termini di acquisizione a basso costo di personale specializzato, ormai a disposizione dell’industria di Berlino.

Primo aspetto, la concorrenza: al ridursi della domanda estera, infatti, le imprese tedesche accrescono le loro esportazioni. «Per quanto questo effetto possa apparire paradossale, lo si può spiegare in questo modo: l’aumento della pressione fiscale e la riduzione della spesa pubblica nei paesi periferici, generando compressione dei mercati di sbocco interni per le imprese che lì operano (e dunque riducendone i profitti e accrescendone la probabilità di fallimento), consente alle imprese tedesche di acquisire, in quelle aree, quote di mercato crescenti». E’ l’Istat a rivelare che proprio la Germania è il primo paese da cui importiamo beni, per un valore circa pari a 62,4 miliardi di euro. Lo conferma l’incidenza dell’export sul Pil tedesco, Bmw, Mercedes e Audiletteralmente schizzato alle stelle nel giro di appena dieci anni, passando dal 33,4% del 2000 al 50,1% del 2011.

Secondo fronte, il lavoro: «In considerazione dell’aumento della disoccupazione soprattutto giovanile e intellettuale nei paesi periferici, le imprese tedesche hanno un’ulteriore ragione di convenienza nell’imporre in quei paesi politiche recessive: l’attrazione di manodopera altamente qualificata, infatti, consente al capitale tedesco di accrescere la sua competitività su scala internazionale, mediante gli incrementi di produttività derivanti dall’occupazione di forza-lavoro dotata di elevato capitale umano». Vantaggio competitivo sui prodotti e sulla forza lavoro: «Queste due considerazioni – aggiunge Davanzati – portano a ritenere che è solo producendo recessione nel resto d’Europa che il capitale tedesco può fare profitti». In questo scenario, «è del tutto evidente che il nostro governo può far poco o nulla». Nella migliore delle ipotesi, «può contrattare vincoli meno stringenti in ordine ai limiti oltre i quali non sono consentiti aumenti della spesa pubblica in rapporto al Pil». Ma, come mostrato dai recenti tentativi di Letta, «si tratta di importi assolutamente insufficienti per mettere in atto politiche fiscali espansive anticicliche, di entità tali da prospettare il recupero di un percorso di crescita in Italia».

Lo strapotere concesso alla Germania, continua Davanzati, nasce dalla paura di veder crollare l’Eurozona, nel caso in cui Berlino non la trovasse più così conveniente e decidesse di abbandonarla: «L’elevato potere contrattuale tedesco – che si sostanzia nell’imporre politiche che accentuano l’intensità della recessione nei paesi periferici dell’Eurozona – deriva essenzialmente dal fatto che questi paesi temono la deflagrazione dell’Unione Monetaria Europea». E la temono con motivazioni da prendere seriamente in considerazione: «Gli attacchi speculativi sui titoli del debito pubblico dei cosiddetti Piigs si sono fermati essenzialmente a seguito degli interventi della Bce di acquisito di titoli emessi da questi Stati, e dell’annuncio del governatore della Bce di procedere all’emissione di moneta “in misura illimitata” per frenare la speculazione». Aggiunge Davanzati: è opinione diffusa che, qualora un paese decidesse di tornare alla propria valuta, Draghiabbandonando l’euro, subirebbe nuovamente attacchi speculativi sui titoli che emette.

In più, si teme che un’eventuale fuoriuscita dell’Italia dall’Eurozona possa sì portare vantaggi immediati in termini di svalutazione competitiva a favore dell’export, con l’incognita però dell’inflazione, cioè lo spauracchio con cui l’élite neoliberista di Bruxelles ha terrorizzato gli Stati, amputandoli della facoltà di emissione di moneta. Chi teme l’uscita dall’euro paventa il rischio che la svalutazione della lira possa provocare un ulteriore calo dei salari reali, data anche la nostra non autosufficienza per l’approvvigionamento di materie prime. Per contro, invece, «il capitale tedesco ha ben poco da perdere dal ritorno al marco», anche se gli altri paesi europei «dovessero mettere in atto misure protezionistiche», vista la versatilità dell’export tedesco, sempre più rivolto verso est, fino alla Cina. In altre parole, l’attuale governo italiano può solo sperare che sia la Germania – e non l’Italia – a trovare conveniente, domani, l’abbandono dell’euro. A meno che, ovviamente, la crisi non costringa l’Europa (e la Germania) a una resa dei conti politica, a partire dalle elezioni europee del 2014.

Fonte: www.libreidee.org
16.07.2013


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braveheart
Prominent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 804
 

Mi sa che sfugge qualcosa.
Lo spread elevato e' il risultato proprio della possibilità di deflagrazione dell'euro.
A fronte cioè di una eventuale uscita dell'Italia dall'euro, con svalutazione, anche del debito quindi, i sottoscrittori vogliono essere pagati di più per questo rischio.
E la Germania, al contrario di quanto sostiene l'articolo, teme il suo ritorno al Marco, in quanto di colpo rivaluterebbe lo stesso, al reale valore della sua economia, perdendo di colpo il vantaggio sui prezzi e vedendo rivalutato anche il suo debito.
Infine, il terrorismo sulle materie prime, continua a non tener conto che esse rappresentano l'8% del ns PIL , e che quindi la % di svalutazione impatterebbe solo su quella parte.
A fronte però di una nuova competitività di prezzo su una componente manifatturiera votata all'export, con percentuali a due cifre.
Come dire, in caso di svalutazione del 30%, avrò un aumento di prezzi sulle materie prime del 30% sull'8% del PIL, mentre si verificherebbe un aumento del 30% delle esportazioni su una percentuale del 30% del PIL.
Non è tutto così automatico, ma tanto per capire l'ordine di grandezza.
Infine, una svalutazione che rende più costoso importare materie prime, rende anche più costoso acquistare prodotti finiti dall'estero, promuovendo quindi la produzione interna, che ripartirebbe, con benefici occupazionali.


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Georgejefferson
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 4401
 

Stavo dicendo le stesse cose,mi hai anticipato.L'import sarebbe minore,e ce lo pagheremmo come abbiano sempre fatto con l'export da paese trasformatore,che,nonostante mille difetti,era arrivato in alto al punto di mobilitare la Germania e Francia a bloccarci.Di contro,restano il solito terrorismo:"Gli Usa,la Cina,le bombe,ci massacrerebbero,l'inflazione che "schizza" sicuro,la mafia,Italia brutta e cattiva"


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