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Pellizzetti e la liretta che non compra materie prime


Stodler
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Quando ho letto l'articolo di Pellizzetti sul Fatto Quotidiano sono saltato sulla sedia, leggete soprattutto le parti più grandi e capirete fino a che punto arriva la menzogna eurista.

Probabilmente fino all'avvento dell'euro il signor Pellizzetti era aduso a fare legna per l'inverno visto che non poteva permettersi il riscaldamento a gas o gasolio in quanto all'epoca in Italia c'erano le lirette.

Leggete bene quanto scritto in questo articolo e leggete cosa scrive uno degli autori citati da Pellizzetti.

A scanso di equivoci l'articolo tradotto da vocidall'estero è tratto dal giornale inglese Guardian e l'autore di questo editoriale è proprio Wolfgang Streeck citato da Pelllizzetti nel suo articolo.

Qui i riferimeti: Wolfgang Streeck is a German economic sociologist and emeritus director of the Max Planck Institute for the Study of Societies in Cologne
http://www.theguardian.com/profile/wolfgang-streeck

E capirete che se questa sarebbe l'intellighenzia italiana siamo veramente apposto.

Il cielo sopra Roma e Berlino: gonfio di balle

Dopo che per decenni nuvole di parole illusionistiche hanno trasformato la scena politica nel set di un reality-show, parrebbe che le dure repliche della realtà stiano smascherando quelle pervicaci macchinazioni per truffare la pubblica opinione.

In Italia, come in Europa e nel mondo.

Forse perché a capo di una Confindustria che ormai non conta più niente, Giorgio Squinzi (nella veste a sonagli del “fou du roi”?) si prende la briga di smentire le balle del premier Renzi, intonando un controcanto impensabile nel recente passato: gli infinitesimali segni di ripresa, che il fanfarone di Rignano sull’Arno accrediterebbe alle sue strampalate riforme puramente labiali (Job Acts), dipendono soltanto dal crollo dei prezzi delle materie prime e dall’andamento delle valute (dollaro su, euro giù). Il solito “miracolo italiano” da peracottari; questa volta – e finalmente – chiamato con il suo vero nome e cognome. E non saranno le paginate sul Corriere della Sera, comperate dai rampanti di una finanza per lo più con le pezze al sedere allo scopo di acquisire benemerenze agli occhi del Matteo Superbone a modificare un dato di fatto: come si può pensare di essere realmente usciti dalla crisi in assenza di modificazioni strutturali del sistema nazionale d’impresa; al palo da decenni per insipienze imprenditoriali e serrate degli investimenti? Altro che articolo 18!

Ma le repliche della realtà non si fermano all’intronato teatrino italiano.

In questi giorni sto scrivendo un saggio sull’Unione europea (“qual è l’epicentro della crisi Ue: i Piigs o Berlino?”) e per questo ho dovuto chiedere lumi ad amici tedeschi, ricavandone un quadro tendente al depressivo. Tanto che il vecchio francofortese Claus Offe ora dichiara che “la Germania è nell’impasse più completa, non può fare un passo indietro, non può fare un passo avanti, non può stare ferma”.

Ma l’operazione verità non si ferma qui. Per anni (e per la delizia dei liberisti nostrani) c’è stato spiegato che il miracolo economico tedesco dipendeva dalle riforme del governo a guida del blairiano Gerhard Schröder, all’insegna della precarizzazione del lavoro. Ora arriva Wolfgang Streeck, direttore del Max-Planck-Institut di Colonia, a fornirci tutt’altra versione: le liberalizzazioni promosse dal governo “sinistra al cachemire” si limitarono a intaccare il regime dei sussidi alla disoccupazione e favorire l’espansione del lavoro a basso costo fuori dai settori chiave tradizionalmente tutelati (in particolare la meccanica di precisione). Mentre il vero fattore di successo fu la cogestione con le rappresentanze sindacali della congiuntura favorevole all’offerta di prodotti manifatturieri d’alta qualità sul mercato globale. E così parte un’ulteriore puntura di spillo ai palloncini gonfi di bugie che per anni riempirono il cielo sopra l’Italia. Perché quanto viene detto dagli osservatori esteri si parla di un “ricco party” per le economie manifatturiere, durato grosso modo un decennio – dal 1995 al 2005. Qualcuno dalle nostre parti se n’era accorto?

Con buona pace delle pelose/consolatorie ricostruzioni del recente passato proposteci dall’ineffabile Renzi in chiave ecumenica (per cui avremmo perso tempo in sterili polemiche tra berlusconismo e anti-berlusconismo), in effetti il tempo perduto sarebbe stato quello assorbito dai personali guai giudiziari del pregiudicato di Arcore. Mentre il Paese mancava il treno della ripresa economica.

Un’opera disinformativa a livello di massa che – stando a quanto scrive l’ex ministro degli esteri Joschka Fischer – si ripeterebbe anche sulla demonizzazione dell’euro. I cui effetti devastanti non sono economici ma politici: la ri-nazionalizazione dell’Europa. Nel caso tedesco, in quanto Angela Merkel e Wolfgang Schäuble sarebbero all’inseguimento del voto impaurito dei propri risparmiatori. Con esiti suicidi, per l’Europa ma anche per la Germania. Quello stesso voto impaurito che da noi insegue la Lega di Matteo Salvini, incurante della nuova bolla mistificatoria che sta facendo gonfiare e non spiegando come la nostra industria di trasformazione potrebbe competere comprando materie prime in svalutate lirette. Nell’illusione senza fondamento di ricreare opportunità esportative per i settori dei beni per la casa e per la persona, base del nostro mix competitivo, quando in questi decenni tali prodotti sono ormai appannaggio dei Paesi di nuova industrializzazione, a prezzi per noi inavvicinabili.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/04/il-cielo-sopra-roma-e-berlino-gonfio-di-balle/2008012/

Ecco cosa scrive il signor Wolfgang Streek

BRUTALE, ODIOSO – E NEMMENO BREVE: IL MINACCIOSO FUTURO DELL’EUROZONA

Un articolo del Guardian guarda al futuro dell’eurozona dopo la conclusione della vicenda greca. Gli attori europei hanno solo dimostrato un’altra volta di non essere in grado di risolvere le contraddizioni di un’unione monetaria priva di unione politica. I problemi rimandati non potranno che ripresentarsi in futuro ulteriormente aggravati. Purtroppo le possibili soluzioni (una rottura dell’eurozona o un’unione politica – ammesso che essa sia mai stata possibile o auspicabile) diventano col passare del tempo sempre più difficili da attuare, condannando i cittadini dell’eurozona a un lungo periodo brutale e odioso.

Di Wolfgang Streeck, 17 agosto 2015

Ora che un po’ di polvere si è posata sopra le rovine dell’economia greca, val la pena di chiedersi se ci sia stato un breve istante in cui gli attori in gioco avessero trovato un sistema per tagliare il nodo Gordiano della crisi dell’eurozona. A un certo punto di luglio il ministro delle finanze tedesche, Wolfgang Schäuble, sembrava aver concluso che il suo sogno di un “nucleo europeo” con un’avanguardia franco-tedesca sarebbe svanita nell’aria se alla Grecia fosse stato permesso di rimanere all’interno dell’unione economica e monetaria. Riscrivere le regole dell’unione per mantenere la Grecia, aveva realizzato Schäuble, avrebbe messo l’euro nella direzione sbagliata, e la Francia, l’Italia e la Spagna con esso – distruggendo per sempre il nucleo europeo.

Il suo equivalente greco Yanis Varoufakis, per parte sua, avrebbe appreso da suoi incontri del terzo tipo con l’Eurogruppo che l’unico ruolo per la Grecia nell’Europa dell’Unione monetaria fosse quello di un percettore di sussidi scarsamente alimentato e sottoposto a una montagna di regole. Ciò non solo era incompatibile con l’orgoglio nazionale greco; ma ancora più importante, quello che i governatori dell’Europa erano disp
osti a offrire i Greci a titolo di “Solidarietà europea” sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, non sufficiente a sopravvivere.

L’offerta che Schäuble offrì all’ultima ora della euro-battaglia di luglio avrebbe meritato di essere esaminata in dettaglio: un’uscita volontaria (non essendo possibile sotto i trattati attuali una involontaria) che avrebbe dato alla Grecia la libertà di svalutare la sua moneta e tornare a una politica monetaria e fiscale indipendente, più l’assistenza d’emergenza e una parziale ristrutturazione del debito nazionale, al di fuori dell’Unione monetaria per evitare il rilassamento delle sue regole, creando un precedente. Anche una generosa stretta di mano sarebbe stata una buona idea, per proteggere la Germania dall’accusa di aver precipitato i greci nella miseria o di averli spinti tra le braccia di Vladimir Putin.

La politica può unire strani compagni di letto, ma a volte solo per una notte sola. Alla fine Varoufakis è stato prevaricato da Alexis Tsipras e Schäuble da Angela Merkel. Tsipras, mostrando un’abilità politica davvero straordinaria, è riuscito in un giorno o due a manipolare il clamoroso no del popolo greco alle richieste dei loro creditori in un sì all’”idea europea”, intesa come la valuta comune – permettendogli di firmare a condizioni ancora più crudeli di quelle respinte nel referendum (indetto, a quanto pare, su suggerimento di Varoufakis, che fu allontanato la sera stessa dei risultati). Spaventato dell’inimmaginabile disastro economico pubblicamente inculcato dai terroristi sostenitori dell’euro, e forse incoraggiato dalle promesse informali dei funzionari di Bruxelles di future iniezioni di denaro di altri popoli, Tsipras era pronto a dividere il suo partito e a governare con colore che, per decenni, avevano lasciato marcire la Grecia nel clientelismo e nella corruzione, offrendo ai partiti di Samaras e Papandreou un’occasione per riconquistare legittimità come europeisti sostenitori della “riforma”.

La Merkel, per parte sua, ha usato il piano di uscita di Schäuble come strumento di contrattazione, certa che Tsipras alla fine avrebbe ceduto e si sarebbe sbarazzato di Varoufakis. Il nuovo programma triennale di salvataggio la porterà oltre le prossime elezioni tedesche; inoltre evita, o almeno pospone, il conflitto con la Francia, che vuole la Grecia nell’euro per gli stessi motivi per cui Schäuble la vorrebbe fuori (la Merkel si aspetta meno dalla Francia rispetto a Schäuble, il che le rende più facile convivere con François Hollande). Inoltre le risparmia anche di doversi rimangiare il suo famoso motto del 2011: “Se l’euro fallisce, fallisce l’Europa” – come pure, per il momento, di dover lasciare che gli elettori tedeschi capiscano un fatto, banale per gli esperti ma ancora pietosamente nascosto al pubblico, che i soldi del salvataggio greco non saranno mai rimborsati. Inoltre, dopo che nei precedenti salvataggi Schäuble aveva convinto gli altri paesi EMU a condividere il debito pubblico greco, la Merkel poteva contare sul loro supporto per un rifiuto al considerare la ristrutturazione del debito.

Cosa più importante, con la Grecia all’interno della valuta comune, lei può ora rassicurare il suo bacino elettorale, ossia il settore delle esportazioni tedesche, che nessuno dei membri prigionieri dell’eurozona sarà mai liberato, nemmeno in libertà vigilata – una cosa molto apprezzata anche dai sindacati tedeschi, dai socialdemocratici e dai suoi amici americani di mentalità geostrategica.

Naturalmente niente di tutto questo significa che l’euro-casino non continuerà. Al contrario, dopo che una finestra storica per un ripensamento fondamentale del sistema dell’euro è stata perduta, aspettiamoci gli stessi casini, e il prossimo atto del dramma sta già cominciando. Il problema con l’euro non è una mancanza di “Spirito europeo” da parte dei greci, o l’incapacità dei tedeschi di apprezzare le collaudate ricette di macroeconomia USA. È che l’Unione monetaria è un’istituzione fondamentalmente mal progettata, che nega ai paesi più deboli la possibilità di svalutare la loro moneta per sostenere l’aggiustamento economico mentre preserva altrimenti la sovranità degli Stati membri. In questo modo, tutto quello che può fare il nuovo accordo è guadagnare altro tempo, anche se non molto. Le “riforme” greche dovranno essere attuate, e la loro attuazione controllata; l’inevitabile ritardo di attuazione provocherà ritardate erogazioni dei fondi, mentre la ristrutturazione del debito tornerà all’ordine del giorno. Conflitti costanti, con al centro la Germania, sono già nelle carte.

Ancora più importante, come premio per aver dimostrato di essere buoni europei sbarazzandosi della versione originale di Syriza, i greci sperano in una crescita economica superiore alla media, chiaramente non come quella anemica spagnola che al momento è additata come la prova dei miracoli che può fare l’austerità. Dopo un decennio di miseria, la crescita dovrà innanzitutto rimettere il paese nella posizione che occupava prima del crollo e poi metterla sulla strada di qualcosa che somigli a una convergenza europea. Solo gli economisti neoliberali possono trovare realistico questo scenario e solo a condizione che tutte le loro ricette siano seguite alla lettera. Cioè, in pratica, mai.

Intanto, in un ambiente globale di bassa crescita che l’ex capo del tesoro americano Larry Summers chiama ristagno secolare, la solidarietà europea sarà chiamata a risarcire i greci. I termini tecnici con cui verranno effettuati i trasferimenti sarà una questione di pubbliche relazioni politiche: piano Marshall, piano Merkel, fondo di investimento Juncker, fondi strutturali, regionali o sociali – fate voi. Pochissime persone, o forse nessuna, credono che programmi di questo tipo possano rilanciare un’economia come quella della Grecia. Agli occhi degli elettori del Nord, in ogni caso, essi sembreranno quello che sembravano in passato: sovvenzioni politiche per mantenere al potere governi europeisti – come Syriza seconda versione? – permettendo loro di mantenere, a loro volta, le loro rispettive clientele “europeiste”.

Non che i limiti dell’assistenza allo sviluppo per le regioni arretrate di un’Unione monetaria con grandi differenze regionali fossero sconosciuti. La Germania e l’Italia hanno qui un’esperienza che è tutt’altro che incoraggiante: l’Italia nelle regioni del Mezzogiorno (Sud), la Germania nei suoi Nuovi Länder dell’ex Germania Est – con quest’ultima che è un altro caso di un’Unione monetaria mal costruita con disastrosi effetti economici. Entrambi i paesi oggi stanno trasferendo circa il 4% del loro PIL annuale alle loro regioni più povere solo per evitare che la differenza di reddito pro-capite divenga sempre più grande. I contribuenti tedeschi a malincuore continuano a pagare un “supplemento di solidarietà” oltre alla loro imposta sul reddito per gli aiuti alla Germania dell’est: una zona, per inciso, la cui intera élite economica e politica è stata sostituita dopo il 1990 con personale della Germania Ovest, portando con sé l’intero codazzo delle istituzioni dell’Ovest. Ma ancora, la differenza di reddito pro-capite tra Germania Ovest ed Est è stabile da anni intorno al 20%.

Niente di anche lontanamente paragonabile alle riforme istituzionali e personali applicate alla Germania dell’est succederà nell’Europa meridionale – come non è mai accaduto nel Mezzogiorno. La politica interna dell’eurozona, condotta attraverso relazioni internazionali, rimarrà bloccata e ostile. Dopo la parentesi Schäuble-Varoufakis non esiste alcuna prospettiva nel futuro prossimo di una ri-nazionalizzazione della sovranità monetaria. E nemmeno esiste alcun movimento verso una de-nazionalizzazione della sovranità politica e fiscale, con l’unione politica ad integrare quella monetaria.

Al contrario, ogni Stato membro custodisce oggi più che mai gelosamente le sue capacità nazionali per difendere i propri interessi contro gli altri. Inclusa la Germania e la sua mentalità di integrazione, che ora deve aver paura della ” unione sempre più stretta dei popoli europei” dei trattati che la mettono in una minoranza strutturale, e certamente incluse Francia e Grecia. La politica dell’integrazione europea consisterà in un braccio di ferro permanente riguardo agli obblighi conseguenti la moneta comune – di “riforma” da un lato, di “solidarietà” dall’altro – e il giusto rapporto tra sostegno finanziario e controllo politico.

I paesi del sud troveranno la compensazione economica per la loro adesione all’idea europea troppo esigua e la vigilanza collegata a essa troppo invadente; i paesi del nord troveranno le esigenze finanziarie dei loro partner del sud eccessive e il controllo offerto loro in cambio, inefficace. La vita europea nell’ambito dell’Unione monetaria sarà brutale e odiosa, e purtroppo nemmeno breve.

http://vocidallestero.it/2015/09/01/brutale-odioso-e-nemmeno-breve-il-minaccioso-futuro-delleurozona/


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