Settembre, piove, Roma va in tilt. Si è trattato di un'alluvione? No, ma i tombini sono intasati e nessuno li pulisce, così le strade si allagano. Evidentemente nessuno ha pensato sul serio a prevenire questi problemi, che si ripetono ogni anno, al cambiare delle stagioni. Lo stesso accade a Genova, dove abitiamo, e dove recentemente le alluvioni sono arrivate davvero. Ne abbiamo già parlato. Chissà cosa succederà il prossimo autunno.
È evidente che i disastri causati dalle recenti piogge non hanno nulla di naturale, ma sono dovuti a incuria e trascuratezza da parte delle classi dirigenti, a tutti i livelli.
Siamo di fronte a un ceto politico che, in maniera perfino ostentata, è solo preoccupato dei propri affari e si disinteressa totalmente della vita reale dei cittadini. Tutte le funzioni fondamentali dello Stato sono trascurate, o meglio, usate solo in funzione di gretti interessi di gruppi limitati: Scuola, Sanità, Università, ciclo dei rifiuti, manutenzione del territorio e così via. Si tratta di macchine complesse, che in questi ultimi decenni hanno continuato a funzionare perché erano state ben costruite dalle generazioni precedenti, ma che adesso, dopo decenni di incuria, si stanno lentamente inceppando, con conseguenze sempre più gravi sulla vita quotidiana.
Per avere una immagine sintetica della nostra realtà, possiamo ricorrere ai racconti dei primi esploratori europei della Polinesia. Sembra che, arrivando nelle isole dei Mari del Sud, i marinai occidentali abbiano rapidamente capito che, per ottenere le grazie delle fanciulle locali, un mezzo rapido ed efficace era quello di offrire, in cambio dei loro favori, del ferro, che era sconosciuto agli indigeni. In particolare erano apprezzati i chiodi. I marinai, come è prevedibile, si misero allora intensamente a togliere dalle navi i chiodi che tenevano assieme le assi, finendo per mettere in pericolo la tenuta delle navi e obbligando gli ufficiali a prendere provvedimenti per impedire i furti di chiodi.
La macchina statale è certo molto più complessa, e anche molto più solida e resistente, delle navi settecentesche. Ma sono ormai decine d'anni che i ceti dirigenti si comportano nella sostanza come quei marinai: rubano un pezzo qui, un pezzo là, devastano (con le "riforme") oggi questa parte domani quell'altra, in ogni caso pensando solo al proprio tornaconto. La macchina ha resistito per decenni, ma ormai sta cominciando a cadere a pezzi.
Da queste considerazioni si possono ricavare almeno due osservazioni: in primo luogo, come abbiamo detto altre volte, la corruzione delle classi dirigenti italiane non è un fatto trascurabile e secondario rispetto ai grandi temi economici e politici (o geopolitici): si tratta da una parte della forma precisa in cui si esplica in Italia il dominio delle forze dominanti a livello mondiale (e di questo abbiamo parlato in altre occasioni), e dall'altra di una realtà che tocca direttamente la vita quotidiana, attraverso il degrado di tutte le funzioni pubbliche che essa implica. La seconda osservazione è che, proprio per quanto appena detto, queste tematiche rappresenterebbero una leva potenziale di resistenza e lotta, se esistesse una vera forza politica di opposizione: proprio perché qui si tocca la vita quotidiana, proprio per questo sarebbe possibile mobilitare, in difesa di livelli minimi di servizi, tante persone che altrimenti sarebbero passive. Abbiamo discusso a più riprese del “perché la gente non si ribella”. Alcuni amici si chiedono “perché questo mortorio sociale?” Forse la risposta potrebbe consistere proprio nel partire dalla lenta agonia della vita quotidiana, la cui causa prossima (non quella ultima e determinante) è proprio la corruzione della classe dirigente. Il pericolo, altrimenti, è di lasciare che la rabbia e la paura di fronte al degrado diventino alimenti per forze reazionarie oppure, ed è forse peggio, per un lento imbarbarimento diffuso.
Marino Badiale, Fabrizio Tringali
Fonte: www.badiale-tringali.it/
Link: http://www.badiale-tringali.it/2015/09/piove.html
5.09.2015
governo ladro !!
Possiamo e dobbiamo sapere che la classe dirigente è corrotta, ma come continuare su questa china il ragionamento e poi sostenere una partecipazione politica per una base più allargata?
Come permettere a un più vasto pubblico di essere maggiormente partecipe e responsabile delle scelte sociali e politiche che li coinvolgono?
Non si può. Questa è la tragica conclusione e i motivi non sono complicati da capire, ma diversi e intrecciati tra loro. C'è il problema dei particolarismi, cioé se uno ha un problema che è di carattere pubblico, ma frega solo allo 0.1%, il rimanente 99.9% scappa. I Problemi non nostri sono presi in considerazione se e solo se c'è un margine abbondante di manovra nelle nostre vite. Se non ho un lavoro, non ho la certezza di un tetto, non ho garanzie sociali, non ho speranze di migliorare, poi arriva l'immigrato che sta peggio, non lo accolgo bene anche se sono un individuo umanissimo. Diverso se sto bene per me stesso (ho quello che credo mi serva per vivere e la forza per offrire il mio aiuto) e la vocazione per l'aiuto al prossimo.
La cattiveria e l'egoismo sono sempre innanzi a noi, ma quelli sono la costante, non aumentano, ne diminuiscono di proprio a meno che non crediamo ha invasione aliena o dall'inferno, naturalmente. Cioè non prendiamo in considerazione ragioni esotiche. L'uomo era così nel medioevo ed identico oggi a se stesso, non c'è ragione di crede che l'evolusione ci abbia reso più cattivi in un lasso di tempo così breve.
Quindi ciò che ci rende più cattivi è il mancato accesso alle risorse che rimangono strettamente in mano a una minoranza di privilegiati che non intende minimamente condividere i suoi privilegi e a ragion veduta.
Vediamo la ragione. Intanto sgomberiamo il campo: la si smetta di mettere sopra ogni altra la ragione della cattiveria umana. La cattiveria ha una sua ragione razionalissima e contestuale per sussistere, non volerla vedere equivale a desiderare la cattiveria umana. Perchè combatterla ci rende eroi e il mito dell'eroe in noi è ben più saldo del mito del saggio.
Quindi dire che l'elite è di persone cattive salda il loro ruolo sociale di catalizzatori della rabbia. Ma non ci risolve un tubazzo.
Le responsabilità dei dirigenti sono ovviamente maggiori del comune uomo di strada, ma questo non toglie che il comune uomo di strada sia alla mercee di queste macchiette da operetta. Noi siamo alla mercee degli impianti mentali, delle abitudini, dei vari e vasti condizionamenti ben prima di chicchessia.
Questo perché la condizione che viviamo ci rende disabili sociali.
Per esistere in una società è necessario avere spirito critico costruttivo e sapere portare al tavolo del confronto pubblico una voce mediatrice tra la propria ragione e la ragione pubblica. Che non è mai la stessa, non può mai coincidere. Le soluzioni per un problema sono sempre infinite, ma la monocultura della monocrazia monopolista di privilegiati, non può accettare la discussione pubblica e l'alternativa alle soluzioni che rispondono meglio alle esigenze particolari: non vedrà mai alternative e le combatterà con ogni mezzo lecito e illecito ritenendole lesive e nella misura esatta del cumulo del privilegio raggiunto e della confusione che questo produce tra interesse pubblico e privato.
Noi abbiamo superato da un pezzo il punto di non ritorno, per cui la sovraposizione tra pubblico e privato ormai è andata oltre la discussione del lecito. Adesso si parla di privattizzare la vita, l'identità, il pensiero. Non è una follia umana ma il semplice proggredire di una macchina e ci viene pure detto in modo limpido: è il progresso.
Se e dico se iniziassimo a pensare che l'intera implacatura della esistenza contemporanea, l'intera architettura delle nostre abitudini è da rivedere pensantemente in quanto marcia di fondo, anche senza modificare nulla nell'immediato rispetto alle condizioni vissute, se e dico se smettessimo di considerarla l'unica possibile o inevitabile condizione, se e dico se cominciassimo a ragionare sulla nostra posizione e in virtù di quella, a ragionare sulla possibilità di manovra e mediazione tra individuale e sociale, mettendo ognuno in pratica laboratori di sperimentazione non inscritti al progresso (che nessuno a capito che diamine sia), ma alla propria personale volontà e capacità di correggere la direzione verso un futuro desiderabile, con fatica potremmo iniziare a cambiare la mente e il resto verrebbe a seguire.
Ma nella demoniocrazia contemporanea noi viviamo di pubblicità, di propaganda che percola come un liquame mefistofelico ovunque, anche nell'intimo e questo ci condanna inesorabilmente a una fine decisamente poco desiderabile.