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Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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In questa Milano tropicale bevo una birra ghiacciata con M., amico di sempre che vive ancora a Quarto Oggiaro. Ci vediamo poco, abbiamo vite diverse: io con moglie e figlie la sera resto a casa, lui di notte inizia a vivere. Mi sono preso la sera libera, insomma; giro con lui in macchina per una città che non conosco e che non mi appartiene, incrociando di continuo i luoghi topici della movida, della vida loca, dello sballo. Ma non c’è voyerismo, da parte nostra, né pelosa indignazione. Semplicemente si va per percorsi sempre uguali a se stessi, abitudinari.

Quello che è successo all’Hollywood, mi dice, non è nuovo per nessuno. Milano naviga nella cocaina da decenni, da quando il prezzo si è abbattuto ed è diventata appannaggio dell’intera popolazione metropolitana: “tutti pippano a Milano. Dipende come e perché lo fa”. Io, a dir la verità, non l’ho mai fatto, gli dico quasi vergognandomene. “Si vede che non ne hai bisogno. Ma ci sono camionisti o chirurghi che lo fanno per mantenere alte le performance professionali. La coca non è solo sballo.” Sai che soddisfazione! A questo punto lo pungolo un po’. M. è stato per un certo periodo pierre (curiosa professione che non ha uno statuto a me comprensibile) proprio dell’Hollywood. “Ero solo l’ultima ruota del carro”, mi dice. E mi spiega che nel mondo dei pierre c’è una sorta di gerarchia, dal capoccia all’ultimo della filiera che viene arruolato per portare gente nelle discoteche. Più “bella gente” si porta dentro e più è facile ottenere un compenso, che spesso arriva anche a metà del biglietto d’ingresso per ogni potenziale cliente. Ma dov’è il guadagno, chiedo ingenuamente. “Il costo del biglietto non fa testo. Quello che conta è far entrare il pollo da spennare. Più è gonfio il portafogli e più e facile che spenda.” Da qui la selezione all’ingresso. Code infinite di gente che viene dal bresciano, dalla bergamasca, manzi al macello brianzoli o del centro città. Aspettano anche per ore davanti ai club. Che club non sono affatto, sono luoghi pubblici, la selezione in sé è un abuso. Solo che la logica dell’esclusività nobilita il fighettismo snob di chi viene ammesso alla corte dei miracoli. Dentro, poi, sei uno dei tanti, escluso dall’ennesimo cerchio esoterico dei privé, lì dove tutti agognano di andare, dove tutto è permesso.

“Quello che ho visto dentro tu non lo puoi neppure immaginare” prosegue. “Sono i più giovani che mi spaventano. Sono i più fragili e i più facili da irretire. Si calano di tutto: coca, droghe, anfetamine, alcool. Tutto ciò fa crollare le inibizioni, una volta ho visto una ragazza completamente sfatta che ha fatto sesso orale col fratello, più allucinato di lei.” Ma com’è possibile, chiedo, nessuno dice nulla? “In quella bolgia ci sono regole non scritte. E modi di appartarsi. Poi ognuno per sé. È un circolo vizioso, il livello di ipereccitazione è altissimo. Allora spesso i ragazzi si prendono dei calmanti, del valium. Cadono in un down deprimente, per giorni; la situazione si fa insostenibile e allora ricominciano daccapo. Tutto questo forse aumenta la loro fragile autostima ma distrugge il fisico.” Mi racconta queste cose in questo tour notturno, passando per il Magnolia, il Toqueville, l’Alcatraz, il Gattopardo. Dall’Idroscalo ai Navigli, passando per Brera, per San Lorenzo, per Corso Sempione. “Se avessero il coraggio dovrebbero andare avanti. Tutta Milano è da decontaminare.” Forse stai un po’ esagerando, gli dico. “Guarda l’Isola”, mi dice. “Hanno pastorizzato il quartiere, eliminato i centri sociali come fossero la feccia. In realtà erano portatori di diversità. Cosa hanno lasciato? Il mito della trasgressione a tutti i costi. Un ghetto frequentato di notte da ragazzi di buona famiglia ormai al limite, violenti, pronti a pestarsi per uno sguardo in tralice o per un apprezzamento fuori luogo.” Quarto Oggiaro è molto più tranquilla e sicura, gli dico, sfottendo. Sorride e annuisce. Fa un ultimo sorso.

“Sai perché ho mollato? In fondo non avevo fatto nulla di illegale, invitavo i ragazzi a divertirsi. Ma a vent’anni il limite non lo conosci. Di notte è pieno di quarantenni che pippano, ma ci stanno all’occhio, hanno capito come prendere le misure.” Si rabbuia, capisco che la cosa che mi sta raccontando non gli piace. “Poi è successo che uno di questi ragazzi in fila supera la selezione e passa un’intera nottata sballandosi, nel frastuono della musica assordante, calandosi di tutto. Era entrato in ipertermia, il suo corpo bolliva. Ha fatto in tempo ad uscire, nella notte gelida, per una sigaretta. E il suo cuore si è spaccato in due. Un infarto. Morto, solo come un cane.” Ora è lui che si accende una sigaretta, come sugello. “L’avevo fatto entrare io” mi dice. Non ha colpa, lo so. Eppure com’è che mi sento inquieto lo stesso?

Gianni Biondillo
Fonte: www.nazioneindiana.com
Link: http://www.nazioneindiana.com/2010/07/31/pista/#more-36314
31.07.2010

[pubblicato ieri, 30 luglio 2010, su Il Corriere della Sera in una versione leggermente più breve]


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