"POTERE E SAGGEZZA"
 
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"POTERE E SAGGEZZA"


mystes
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Georges Friedmann si confronta con la civiltà tecnologica

Premessa:

anche se è per molti versi datato, questo testo contiene un forte monito agli uomini e alle istituzioni della società contemporanea. Per questa ragione ne pubblico la prima parte. Seguirà la parte finale

 

 

1 È stato forse un po' imprudentemente che ho accettato l'offerta degli organizzatori di questa giornata di rileggere e commentare La Puissance et la Sagesse, il sorprendente testamento spirituale pubblicato da Georges Friedmann più di trent'anni fa, per l'esattezza nel 1970. Naturalmente, ho cercato di respingere la sfida. Ho obiettato al mio interlocutore che ero solo uno dei membri di questa tarda generazione di eredi indiretti che non ha nemmeno avuto l'onore di avvicinare personalmente il Maestro. Gli dissi che, per di più, questo libro era così speciale che non avevo mai sentito il bisogno di usarlo direttamente nel mio lavoro di insegnamento o di ricerca. Ma il mio interlocutore fu abbastanza abile da farmi capire che tutte queste obiezioni non erano obiezioni, anzi: l'obiettivo, sentii, poteva essere proprio quello di ascoltare un ricercatore nella mia posizione, un neo-seguace di Friedmann di seconda generazione, e di apprezzare come potesse, a distanza di trent'anni, accogliere questa singolare orazione sulla società industriale.

2 Mi sono quindi lasciato condurre e non ho visto altra soluzione che procedere con estrema cautela. Ho riletto il libro penna alla mano; ho sentito il bisogno di fare una specie di riassunto, che ora mi limiterò a fare. Dopodiché cercherò di riassumere il più brevemente possibile le riflessioni spontanee che questa lettura dotta mi ha ispirato. Intendo ridurre queste riflessioni a tre punti.

3 Ma prima di tutto, ecco ciò che penso di dover conservare del libro, concepito - come tutti sapete - come una sorta di intensa meditazione retrospettiva su questa civiltà tecnocratica che ha occupato gran parte della vita di Friedmann. In questo libro, che Friedmann stesso definisce un "lungo viaggio interiore" al termine di tanti viaggi intorno al mondo, ci sono, per così dire, cinque grandi stazioni.

La civiltà tecnologica sull'orlo del caos

4 La prima tappa del viaggio è quella in cui Friedmann esprime la sua estrema preoccupazione per la civiltà tecnologica della seconda metà del secolo - una civiltà che, a suo avviso, dobbiamo avere il coraggio di dire che sta portando il mondo sull'orlo del caos. A sentire lui, la tragedia centrale è che tutte le invenzioni derivanti dal progresso scientifico e tecnico hanno iniziato a dominare gli esseri umani in modo insidioso. Friedmann cita subito il caso delle armi nucleari, ma è quasi altrettanto serio riguardo all'automobile, al Concorde supersonico o ai computer che gli esperti presentano già come la promessa di un super-cervello. Ciò che accomuna queste nuove macchine è che sono simili a poteri che nessuno controlla e che i cittadini non possono nemmeno vedere che li stanno schiavizzando.

5 Friedmann descrive le devastazioni culturali che ne conseguono. L'uso della televisione, l'abuso della pubblicità e del consumo futile, l'affermarsi di un concetto di tempo libero che evoca una dipendenza dal vuoto piuttosto che dalla libertà: tutte queste tendenze separano l'uomo dalla natura, danno origine all'individualismo e all'aggressività, tutti sintomi di carenze emotive, psicologiche e morali comuni a tutte le società sviluppate. Anche il lavoro, osserva Friedmann, è oggetto di una nuova alienazione, segnata non tanto dalla svalutazione dei compiti quanto da una sorta di docilità nei confronti di esigenze tecniche non dominate.

6 Secondo Friedmann, il vuoto di questa civiltà tecnocratica è tanto più grave in quanto sta diffondendo la sua influenza ovunque, trascurando non solo le differenze di sistema ma anche le radici culturali delle società. Né le società cosiddette socialiste né le civiltà a priori estranee al modello anglosassone (come le culture ispaniche, mediterranee e quebecchesi) sembrano in grado di resistere a questa patologia più o meno incontenibile della modernità.

7 Per completare questo quadro terribile, che non risparmia nessuno, Friedmann osserva che la situazione geopolitica, così come la vede alla fine degli anni Sessanta, preclude ogni serio motivo di speranza. Ad esempio, la conquista dello spazio potrebbe essere il catalizzatore di un risveglio planetario, ponendo l'umanità di fronte a una sorta di dovere di unità; ma che ne è? Secondo Friedmann, l'avventura spaziale non è altro che un ignobile pretesto per la rinascita della guerra dei blocchi, una guerra dei blocchi che, peraltro, non cessa di mascherare alla coscienza della gente le tragedie del Terzo Mondo e il vertiginoso divario che continua ad allargarsi tra ricchi e poveri.

L'unica via d'uscita: rendere l'uomo superiore alle sue opere

8 Siamo giunti alla seconda tappa del nostro viaggio. Georges Friedmann è ovviamente ancora un pessimista attivo, ma ha la speranza scritta in faccia. L'intero libro è quindi orientato alla ricerca della via d'uscita che rimetterà in piedi la civiltà tecnologica; la via d'uscita che permetterà all'homo technicus di ristabilire un'alleanza con quella che Friedmann chiama la buona società. Anche in questo caso, la tesi è diretta: consiste in due rifiuti e in una professione di fede. Il primo rifiuto è che sarebbe una perdita di tempo cercare di riportare indietro l'orologio e che non è il momento di piangere sul disincanto del mondo. Il secondo rifiuto, che va subito aggiunto al precedente, consiste nell'affermare che sarebbe altrettanto illusorio immaginare che la scienza e la tecnologia possano essere da sole la fonte da cui alla fine emergerà la saggezza. L'unica strada per la saggezza, - sostiene Friedmann - e questa è la sua professione di fede - è quella che verrà dall'uomo stesso e dallo sforzo spirituale che farà per riprendere il controllo delle sue opere invece di essere il loro giocattolo.

9 Il rifiuto iniziale di Friedmann di abbandonarsi alla nostalgia di una civiltà perduta è particolarmente chiaro e accattivante, perché riecheggia l'intera carriera del sociologo e l'intera sua opera: come, suggerisce, avrei potuto dedicare quarant’anni della mia vita allo studio del progresso tecnico e dei suoi effetti se non avessi sposato la sua causa, se non mi fossi identificato con l'avventura tecnologica del ventesimo secolo? È quindi inutile cercare di resuscitare il senso di società morte. L'unica cosa che conta è aiutare la nuova società a far nascere un proprio significato che le permetta di prosperare.

10 Il secondo rifiuto - quello dell'idolatria della tecnologia - è notevole perché si applica a tutti i regimi, a Est come a Ovest. “Ovunque", dice Friedmann, "i moderni si abbandonano all'illusione scientista. Da tutte le parti si dà credito all'aforisma secondo cui il progresso materiale potrebbe generare esso stesso un progresso morale e sociale". A questo proposito, Friedmann fa molte amare allusioni alle attuali teorie dell'uomo nuovo in Oriente. Ma se lo seguiamo, troviamo ogni sorta di versione dello stesso male in Occidente, tanto è diffusa la convinzione che il destino naturale del progresso scientifico e tecnico sia quello di spingere l'intelligenza umana verso l'alto: il movimento di razionalizzazione tecnocratica in Francia, la fiducia nel progresso dell'intelligenza artificiale, il pensiero meta-religioso di un Teilhard de Chardin, sospettato di convergere con le rappresentazioni fasciste del progresso umano, sono tutti severamente criticati a loro volta.

11 Quanto all'esito che Friedmann vede, è la via stretta aperta a chi vuole vivere con i tempi senza abbandonare la saggezza umana al potere della macchina - quello stato patologico del mondo che Friedmann chiama il Grande Squilibrio. Da qui il suo vibrante appello per un nuovo equilibrio, in cui la coscienza umana avrebbe l'ultima parola. “Naturalmente", protesta Friedmann, "è onore e dovere dei ricercatori affrontare di petto la complessità dell'ambiente tecnico”. Lo stesso Friedmann non ha forse fatto di tutto perché le scienze sociali sottoponessero la tecnologia a un'analisi razionale e sistematica? In questo spirito, resta fondamentale contribuire alla migliore sistemazione possibile dei sistemi tecnici e dei sistemi di lavoro. Allo stesso modo, ovviamente, dobbiamo agire per approfondire la democrazia e creare istituzioni in grado di lavorare in tal senso. Anche Friedmann ritiene che i servizi pubblici debbano essere difesi dalle forze del mercato.

12 Ma non è questo il punto. Il Grande Squilibrio non sarà superato", spiega, "se ci limitiamo agli aggiustamenti interni della civiltà tecnologica. L'azione decisiva è esterna: sarà l'uomo ad agire sull'uomo. Proprio perché si tratta di ripristinare l'ascendente dell'uomo sulle sue opere, a partire dall'ambiente tecnico stesso.

13 In questo caso, Friedmann non ha paura di propugnare una vera e propria rivoluzione morale, in termini che spesso hanno sfumature mistiche. L'espressione "l'uomo superiore alle sue opere" è presa in prestito da Emmanuel Mounier, al quale il libro rende un sentito omaggio. A proposito di questa buona società che Friedmann invoca, la tesi non è solo che richiederà più coscienza. Friedmann afferma che, di fronte alla tecnologia, la buona società dovrà ricorrere alle forze spirituali e alla conversione interiore dell'uomo.

L'incapacità delle forze morali di rispondere alle esigenze del mondo.

14 La provocazione non si ferma qui. Si trova nella terza tappa del viaggio, che devo ora brevemente menzionare. Dopo aver esposto il suo cupo bilancio e aver mostrato la stretta via della guarigione, Friedmann si interroga sulle grandi autorità morali che, nel mondo di questa seconda metà del secolo, sarebbero in grado di dare una mano all'opera di salvezza. Eppure, si sorprende di non riuscire a trovare nessuna forza significativa dalla sua parte. È a questo punto del libro che l'autore passa in rassegna lo stato delle energie morali che, volenti o nolenti, sono emerse dal pensiero di Marx e del marxismo; è anche a questo punto che esamina l'eredità di Freud e la prova di chiaroveggenza esistenziale che avrebbe provocato. È anche, naturalmente, un'occasione per mettere in discussione le grandi autorità spirituali incarnate dalle chiese cristiane, dalla tradizione ebraica e dall'induismo.

15 Cosa emerge dunque da questo inventario, che Friedmann - va sottolineato - compie solo con infinita cautela, nutrendosi di delicatezza ed empatia? Pochi motivi di speranza, per non parlare di un giudizio negativo. Pagina dopo pagina, Friedmann lamenta il fatto che nessuna delle grandi dottrine che a priori hanno il diritto di parlare in nome della coscienza umana sembra essere all'altezza della sfida a cui il dominio materialista sta esponendo il mondo. Mentre Freud rifiuta di pensare l'uomo in termini di rapporto con la storia e la società, Marx e le correnti dominanti del marxismo commettono l'errore opposto, legando la coscienza umana a determinanti collettiviste. Questo per non parlare del comunismo cinese, che ha sì lanciato un forte appello alla rivoluzione delle coscienze, ma che purtroppo è stato rapidamente spazzato via dalla tentazione del totalitarismo. Insomma, né Freud né Marx, né i loro rispettivi discendenti, hanno davvero fatto spazio all'uomo giusto, l'unico in grado di restituire la grandezza dell'essere umano di fronte al presunto potere delle cose e del mercato.

16 Per quanto riguarda le Chiese e le stesse autorità morali, il verdetto è in verità ancora più triste e netto. Che cosa possiamo aspettarci da una Chiesa cattolica che, pur proclamando che la sua missione non è riducibile alla ricerca della felicità umana, si comporta in realtà come una delle potenze più terrene che esistano, desiderosa di conservare la propria forza? Da qui la sua tendenza a temporeggiare, a proporsi come baluardo tranquillizzante contro le aggressioni della modernità, e persino a giocare alleanze mediocri con una civiltà tecnica che non chiedeva tanto (è quanto osserva Friedmann, ad esempio, a proposito dei mass media, oggetto della pia benevolenza ecclesiastica; una benevolenza che sarebbe quasi ridicola se non pensassimo allo stesso tempo al comportamento della gerarchia cattolica durante la Seconda guerra mondiale...).

17 E così via, anche per quanto riguarda la tradizione giudaica, cara al cuore di Friedmann, ma troppo ingessata dalla sua storia e dalla sua differenza per farsi carico delle questioni del tempo. Lo stesso vale per l'induismo, che è certamente portatore di una spiritualità intrisa di autentica saggezza, ma che è troppo distaccato dal destino del mondo reale perché questa saggezza possa essere utilizzata per dominare la modernità.

Il posto eminente degli uomini liberi nell'azione per la sopravvivenza dell'umanità

18 In definitiva, e di fronte a questa ammissione di fallimento, chi arruolare al servizio dell'imperativo progetto umanistico a cui Friedmann invita le nuove generazioni? Questo è il tema della quarta e penultima sequenza del viaggio. Alla fine, Friedmann salverà solo individui eccezionali e profeti isolati dal terrificante deserto di forze vitali che emerge dietro la foresta delle autorità morali del mondo. Quindi non è lontano dal concludere che, qualunque cosa si voglia, l'organizzazione della resistenza di fronte ai pericoli di un ambiente tecnologico non dominato sarà probabilmente sempre e solo opera di una piccola minoranza - per non parlare di una piccola élite spirituale - gli unici in grado di usare la loro libertà per "alzare la voce".

19 Friedmann individua alcuni di questi esseri eccezionali. In un certo senso, dedica loro il suo libro, ossessionato com'è da ciò che deve loro personalmente, e ancor più dall'intensa convinzione che lo stato di coscienza che è solo loro forse incarna la salvezza della civiltà tecnocratica. Tra questi c'è Albert Camus, che Friedmann si rammarica di non aver capito in tempo, impedito com'era dal suo tributo a vane dispute ideologiche. Anche Emmanuel Mounier occupa un posto speciale, sebbene lontano dalle sue radici culturali. Per Friedmann, Mounier, uomo di Dio, è un vero e proprio santo dei tempi moderni, perché ha capito la necessità di forza morale nel mondo delle macchine. Lo testimonia, ad esempio, la formidabile frase riprodotta a pagina 210 del suo libro: "Non è l'agio che la macchina porta agli uomini, né la felicità; è un nuovo dramma, una provocazione a svegliarsi dal loro sonno naturale e a conquistare la regalità di cui si lusingano".

20 Un'altra figura nota è quella del filosofo Karl Jaspers, che Friedmann scopre in tarda età e di cui rivisita appassionatamente l'opera, per non separarsene più nell'ultimo capitolo di Potere e saggezza. Le circostanze di questo amore a prima vista sono in gran parte dovute alla lettura da parte di Friedmann, nel 1967, dell'ultimo libro di Jaspers, La bomba atomica e il futuro dell'uomo, in un momento in cui Friedmann stesso era già impegnato nella sua meditazione sul futuro della società tecnocratica. Jaspers morì nel 1969 e Friedmann si legò ancora di più al suo messaggio, che gli ispirò, ad esempio, questa frase grave e inquietante: "Alla fine degli anni Sessanta, almeno c'era ancora un saggio ottuagenario su questo pianeta ad affermare che la sopravvivenza dell'umanità richiedeva innanzitutto una rivoluzione spirituale". Fu anche Jaspers a rafforzare la sensazione di Friedmann che, per questo tipo di rivoluzione, il primo posto non spettava alle masse o alle istituzioni, ma agli esseri pensanti, agli individui liberi capaci di elevare la coscienza di altri individui.

Un enorme sforzo educativo

21 L'ultima tappa del libro si propone di designare la leva su cui la rivoluzione spirituale dovrà fare affidamento per riuscire in questo immenso compito che Friedmann chiama sempre più spesso, verso la fine, il grande compito di umanizzare la società tecnica. Per Friedmann, questa leva è l'Educazione, con la "E" maiuscola. Poiché la posta in gioco è che l'uomo si elevi al di sopra delle sue opere (senza rinnegarle in alcun modo), e poiché ciò può avvenire solo se gli uomini diventano veramente uomini, cioè esseri liberi, allora l'azione più urgente è quella di dare a tutti le risorse della libertà.

Fine 1° parte

Denis Segrestin sociologo

https://fr.wikipedia.org/wiki/Denis_Segrestin

Traduzione dal francese a cura di mystes

 

 


Citazione
GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 2210
 

Perdonami @Mystes, attualmente non ho le energie per leggere l'intero POST, tuttavia volevo soffermarmi su una interessante:

[...] Ciò che accomuna queste nuove macchine è che sono simili a poteri che nessuno controlla e che i cittadini non possono nemmeno vedere che li stanno schiavizzando. [...]

Notavo proprio l'altro giorno come una macchina non può "schiavizzare", esattamente come non può farlo una catena o uno steccato. Deve esserci un essere vivente a pretendere e imporre quella relazione che rimane innaturale, quindi va continuamente perseguita, senza sosta. Ovvio che una macchina può farlo meglio, liberando dall'impegno, ma non è quella che può garantire qualsivoglia cosa... Tutt'altro ! Questa differenza poi è alla base di infinite interpretazioni conseguenti abbastanza surreali che sottendono "l'effetto specchio", cioè che nel momento in cui hai intenzioni "sbloccate" (cioè permesse) dalla tecnologia, la stessa tende sempre a realizzare il rovescio di quelle intenzioni, sabotandole.

Ad esempio "la promessa" di internet era che avrebbe collegato tutto il Mondo, eppure oggi è alla base di violenti processi di disgregazione (politica, globale e sociale a un tempo) che non potranno che allargarsi in futuro insieme alle evidenti criticità infrastrutturali e al divario che si va configurando tra i paesi. La guerra ai satelliti è un esempio, ma potrei farne millanta mila... L'atomica poi, arma definitiva che prometteva a certuni la scoparsa delle guerre e certi altri la vittoria sicura sul nemico, qualsiasi nemico, ha deluso gli uni e gli altri e ad oggi rimane una minaccia latente "bloccata" che non da alcuna certezza di vittoria ne disincentiva la guerra più feroce e sanguinosa. Non è diverso per gli ecomostri ambientalmente incompatibili che insieme alle tecniche mRNA, le manipolazioni genetiche e quant'altro, non fanno che portare incertezze proprio e solo per le intenzioni trasumaniste promosse, rendendo sempre più "bizzarra" (e lontana dalle aspettative) la transizione. Come se qualsiasi volontà di miglioramento non potesse che tradursi in un evindentissimo "pasticcio" che se anche migliora qualcosa da una parte, però le conseguenze in peggio sono infinitamente superiori, al punto che è impossibile nasconderle.

La mia "teoria" è che vi sia una LEGGE che riguarda l'armonia e gli equilibri. Questa dice che se tu hai un intento, qualsiasi intento, l'unico modo perché il Cosmo alla fine non ti fotta (MALE) illudendoti fino all'ultimo "che ce la potevi fare" (come se ti pigliasse per il culo) è rispettare gli equilibri dell'ifrastruttura su cui intervieni. Il corpo umano, internet, una Nazione o Gaza, poco importa.


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