dis-: prefisso verbale e nominale presente in composti derivati dal latino o formati modernamente per indicare separazione ( disarmare-armare ), dispersione ( disperdere-perdere ), opposizione ( disonore-onore ).
Quando etichettiamo, l'attenzione deve sempre orientarsi verso la ricaduta semantica che è sempre di natura sibolico~mefatorica e non andrebbe mai sottovalutata.
La particella "dis" è un ottima traccia in proposito. Ad esempio, è l'acronimo di Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (QUI - di cui Meloni è presidente) ma anche l'indicazione di un disturbo (QUI) che corrisponde a voler identificare un soggetto per la sua difficoltà. come quelle di apprendimento, ad esempio l'essere dislessico, piuttosto che no.
Certo, se esiste difficoltàn è lecito individuarla e intervenire ma agire dove non serve in quanto l'individuo è dislessico etichettandolo in quel modo, per esempio farlo sentire un minorato quando invece ha intelligenza superiore alla media, è un altra cosa.
Con la disumanità non è differente. Se etichetti un altro individuo come disumano, rendi impossibile "l'inclusione" verso ciò che è Umano, cioè quel processo vitale che permette all'Uomo di criticare se stesso e quindi di intervenire. Per esempio nella follia questo è accaduto in passato e putroppo ancora accade. Spesso diciamo "è pazzo" per tenere lontano da noi "normali" l'idea (=timore) che potremmo essere come quell'individuo.
Però, però, esiste un eccezione alla "regola". L'unitalteralismo. Se io (direttamente o indirettamente) mi dichiaro apertamente disumano, non mi pongo "fuori" dall'essere Uomo, ma in contrasto con ciò che riconosco in me "essere sbagliato". Va benissimo, è un tuo diritto rifiutare d'essere Umano. Meno fare la guerra al resto dell'umanità in quanto tale.
Allora cosa significa che l'attuale guerra è rivolta verso tutti ? Non ha senso (apparentemente). E' rivolta verso qualcosa: il concetto di Uomo. Che non è per nulla chiaro e in specie in testa a chi gli ha dichiarato guerra, ma anche agli altri che non avvertono questa lotta interiore. Per questo è possibile mettere dentro quel serbatoio vuoto (il termine) spazzatura: l'Uomo è tutto ciò che riconosco "sbagliato". Così ci stiamo lentamente ma inesorabilmente dividendo in due: chi accetta la propia Umanità ed è chiamato sempre più ferocemente a schiararsi dal lato umano per difenderlo e chi invece ha deciso che l'Uomo è qualcosa di sbagliato e quindi è lecito muovergli guerra.
In realtà non è affatto lecito. Puoi tranquillamente portare avanti la battaglia dentro te stesso, basta che sia una battaglia che ti porta a quella conclusione e che restituisce in qualche modo e misura anche onore per il coraggio se non altro. Ad esempio se stabilisci che sei un essere ultraterreno imbrigliato in un corpo che non è il tuo, va bene. Ma se intendi che per rispamiare il prossimo da quella battaglia in quanto ritenuta "lesiva" o comunque brutta, i bambini debbano essere educati all'inclusione con la masturbazione da 0-4 anni come vuore imporre l'OMS e in essequio al transumanesimo, quindi a non mettere in discussione la tua disumanità ma l'Umanità del prossimo impersessualizzando o modellando con genetica, robotica ed elettronica con pensieri che mai nella storia umana sono stati anche solo presi in considerazione, bhe, vuol dire che (nel promuovere questa "idea") stai cercando sicurezza nella conferma degli altri, cioè li vuoi disumanti come te, come se tu fossi il modello da cui partire per rifondare l'essere vivente. Che non c'è... Non si può chiamare "patriarcato" o "problema culturale" l'evidenza che la stragrande maggioranza accetta la propria umanità senza tante pippe e la da per scontata.
Per fortuna, mi viene da aggiungere. Ma questo è il problema, perché impedisce alla radice la critica e la riflessione oltre a porre il problema come oggettivo e necessitante di quella riflessione.
La censura (oggi più opprimente che mai) fa il resto. Come sempre è ciò che manca che è fondamentale integrare.
Allora manca dalla parte schierata con l'Uomo un senso integro di Uomo e dalla parte che si oppone, l'accettazione schietta che hai libertà finché non invadi quella altrui. Ad esempio, nella capacità critica che non c'è in tenera età e se questo fa guadagnare da adulti una marcia in più, però bisogna arrivarci il più possibile incolumi. Perché non vale l'idea che puoi tornare indietro quando vuoi. Se fumi ad esempio, non vale l'idea che puoi smettere quando vuoi. Quella traccia rimane anche se smetti e se smetti il costo è tale che poi inizi a odiare il fumo. Non vai avanti e indietro da quella barriera psichica perché il semplice e banale costo in termini di sofferenza, non te lo permette.
Nel mio piccolo e modesto, ho più volte dato una definizione chiara e circoscritta di Umanità che non è di natura fisica, ma come sempre simbolico~metaforica. L'Uomo è l'idiosincrasia dell'errore, cioè la perfezione. Deve certamente essere portato alle sue massime conseguenze, perché l'espressione umana attuale è mutilata e in particolare da un educazione tremenda e millenaria. Quindi certamente l'educazione è una parte in causa, come affermano i movimenti Woke, ma nel senso Umano non disumano. Cioè quella educazione non può diventare il motivo per cui ha senso minacciare l'autonomia procreativa in un momento storico in cui quasi tutto, dall'ambiente inquinato ai perseveranti tenativi di castrazione, allo stile di vita medio, fino al cibo, non fanno che ridurre la fertilità. Prima si porta l'Uomo verso la massima fertilità e autocontrollo, poi magari si può riflettere se va o meno bene l'educazione. Ma a quel punto immagino che ogni altra discussione in merito decade da sola.
Non c'è più bisogno di muovere guerre. Oh no ?
P.S.
La parola è diventata oggi un metro di discrimine per l'intelletto, eppure in passato non è mai stata considerata fondamentale, anzi. Ad esempio, in testa a questo POST ho messo un immagine che si riferisce a idea di "educazione" che è rappresentata dal libro, quello strumento che imbriglia parole e le conserva nel tempo, permettendo ai posteri di accedervi, ma non trasmette "significati", filtra impoverendo la parola già povera di suo, perché manca di musicalità e paralinguistica. Tramite l'istruzione, lo stesso semplice accesso numerico al libro (quanti libri leggi) è considerato un discrimine per identificare il sapiente dall'ignorante. Tuttavia ho molte volte dichiarato che la parola non veicola "canoscenza", riprendendo un lemma arcaico e poetico per indicare due tipi di apprendimento, uno "scarso" e l'altro "ricco". Quello scarso abbonda di parole, ma è povero di contenuti. Quello ricco è povero di parole ma abbonda di contenuti. Il semplice dormiveglia, quando la mente si rilassa e si riconnette al "silenzio" interiore, inizia una specie di "danza" di equilibri ristoratori. La Mente vaga tra i mille pensieri frantumanti che ci riguardano come i colori ruotati in un prisma, in cerca di un Ordine. Accadimenti, affetti, situazioni piacevoli e meno piacevoli si mescolano e riassemblano in apparente autonomia caotica, come gli ingredienti di un antica formula, in essi vi è nascosto un altro Ordine. Nella misura in cui non interferisco (emotivamente) e rimango "osservatore compartecipe, attivo e distaccato" come fossi spettatore "di me stesso", accedo a un altro piano di apprendimento. Quello "silente" da alcuni definito "il database", il luogo depositario della Umana Sapienza. Certo, non è semplice accedervi. Ma ogni cammino parte sempre almeno dal primo passo e anche questo non è impossibile. Tuttavia il suggerimento è quello di smetterla di sovraccaricare di importanza la parola e in specie in campo educativo e numerico (peggio se misurando velocità). Quando torneremo a concepire (come ci viene imposto dal "liber mundi" oggi) che non c'è separazione tra umanità, spiritualità e scienza e che il segreto è nel silenzio e nella calma, allora supereremo questo impasse, dato dalla presenza anomala di un potere catto~aschenazi in via di smantellamento che ci deprime e ci costringe a versare nella melma di una miseria (interiore) più nera di sempre e di cui quando verrà l'ora di abbandonarla, certamente non sentiremo la mancanza.