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Romano, conservatore “anti-americano” for president


Tao
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Nella sua quotidiana rubrica di risposte ai lettori quest’oggi Sergio Romano, penna di gran pregio del Corriere della Sera dai natali vicentini, con il consueto stile pacato ma deciso ha ricostruito da par suo la vexata quaestio delle basi statunintensi in Italia. Il succo del discorso è che «la Nato è ormai il principale tassello di una politica militare globale su cui i Paesi dell’Ue, anche quando il sistema coinvolge il loro territorio, non hanno la benché minima influenza».

Un desolante risultato per i paesi europei, fra cui il nostro, che deriva dall’evoluzione dell’Alleanza Atlantica, che gli Usa hanno voluto mantenere trasformando la “solidarietà” degli alleati in caso di guerra con la loro “disponibilità volontaria” (coalition of the willings, come in Afghanistan) a condividere gli obbiettivi militari di Washington, cioè le guerre scatenate dal Pentagono sulla base di interessi geopolitici statunitensi. «In altre parole», sostiene l’ex ambasciatore Romano, «divenne possibile chiamarsi fuori, nel caso di un’azione non condivisa, senza uscire dall’Alleanza». Cosa che nel teatro afgano ha fatto financo la Polonia senza subire contraccolpi di credibilità o amicizia presso il paese-guida Stati Uniti, ma non ha fatto l’Italia soggiogata e servile.

Continua Romano: «Ma questa “concessione” non impedì che l’intero sistema delle basi restasse nelle mani degli Stati Uniti e fosse utilizzato anche per operazioni militari non approvate dal Paese ospitante. Washington, intanto, non smetteva di rafforzare il sistema sia ampliando le basi esistenti (come nel caso di Dal Molin a Vicenza), sia creando nuove basi come quelle antimissilistiche costituite negli ultimi tempi in alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale».

La posizione del liberale conservatore Romano sulla base Usa di Vicenza è nota: «Oggi, dopo il crollo dell’Urss e dell’impero sovietico in Europa centro- orientale, le basi sono al servizio di una strategia politico- militare che l’Italia potrebbe non condividere. So che rappresentano per la gente del posto una fonte di reddito. Assumono personale civile, acquistano beni e servizi, appaltano lavori di costruzione e manutenzione, contribuiscono alla prosperità della regione. Ma non credo che uno Stato sovrano abbia interesse a cedere una parte del proprio territorio per attività su cui, in ultima analisi, non può esercitare alcun controllo. E credo che vi siano beni, nella vita di un Paese, che non possono essere misurati con il metro del denaro» (Corriere della Sera, 16 ottobre 2006). E ancora: «La base di Ederle fu creata all’epoca della guerra fredda, quando Italia e Stati Uniti avevano un potenziale nemico (…). Qual è il nemico comune oggi? Se è il terrorismo islamico, siamo certi che… avremo voce in capitolo nell’ uso della base o saremo semplicemente costretti a leggere sui giornali che gli aerei americani di Ederle 2 hanno utilizzato il nostro territorio, qualche ora prima, per una operazione militare?» (Corriere della Sera, 22 gennaio 2007).

Anche in base a queste parole di saggezza e dignità potremmo sottoscrivere, dunque, l’opinione che una curiosa coincidenza ha voluto far esprimere giusto stamattina ad Ario Gervasutti, direttore del Giornale di Vicenza, sul conto di Romano. Gervasutti ha lanciato il «vicentino, ambasciatore, editorialista equilibrato e distaccato al punto da ereditare la “stanza“ di Indro Montanelli sulle pagine del Corriere della Sera», «autorevole, fuori dalla politica, equidistante, esperto», alla Presidenza della Repubblica. Non ci torna una cosa, però: non è che per caso se qualcuno, il cui nome non faccia Sergio Romano, avesse scritto quel che ha scritto sulla sudditanza agli Usa e sull’esproprio di sovranità nazionale, questo qualcuno Gervasutti lo avrebbe tacciato di anti-americanismo, e altro che al Quirinale, lo avrebbe mandato dritto nel girone degli estremisti? A chi scrive sarebbe andata di lusso la Gabanelli, un po’ meno Strada e ancor meno Rodotà (l’ideale, visto che giochiamo tutti all’insulso gioco del toto-presidente, sarebbe un uomo di cultura come Franco Cardini, libero pensatore di grandissimo spessore, lasciatosi alle spalle la superata dicotomia destra-sinistra). Ma meglio tutti costoro di D’Alema, il più caro finto nemico di Berlusconi e suo sodale in vent’anni di sfascio, o di Amato, già craxiano corresponsabile del debito pubblico italiano e bramino di casta se mai ce n’è uno. Quel che pare improbabile è che alla fine sarà Romano. Il centrodestra italiano, evidentemente, non lo legge. O non lo capisce. Oppure, solitamente, di una testa fine come la sua se ne frega. Specialmente quando sostiene tesi non allineate all’idolatria filo-americana.

Alessio Manino
Fonte: http://www.nuovavicenza.it
17.04.2013


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