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Salviamo Sakineh. E gli altri?…


Attila
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Salviamo Sakineh. E gli altri?…
di Rita Vergnano
In questi giorni, in ogni dove, si sente parlare dell’appello in favore di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterioe per complicità nell’ omicidio del marito.

http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/30265/non-dimentichiamo-sakineh.html

Naturalmente la campagna è condotta, oltre che per salvare Sakineh anche (come si legge nell’articolo sopra) in favore di tutte quelle donne iraniane ostaggio delle proprie famiglie, della propria società e di leggi scritte che contraddicono i principi dei diritti umani».

Premesso che sono contraria alla pena di morte (in tutte le sue forme) mi sono chiesta più volte se la situazione in quei paesi (come l’Iran ed altri paesi del Medio Oriente sotto una dittatura teocratica e non) fosse davvero l’inferno delle donne, ostaggio delle proprie famiglie e della società, private di ogni diritto umano, e il paradiso degli uomini che, di conseguenza, costituendo l’altra metà della società e delle famiglie verrebbero a trovarsi nella posizione di detentori di ostaggio. Oppure se non fosse un “inferno” per entrambi.

Prima di Sakineh c’erano state Safya, Amina, le donne in pericolo e a rischio di lapidazione per le quali sono stati lanciati numerosi e ripetuti appelli. Eppure, in generale, la pena di morte (così come il carcere) è una misura presa in gran misura più nei confronti degli uomini che non delle donne.

Ho dato un’occhiata al rapporto di Amnesty International sulle condanne a morte ed esecuzione nel 2009 e così ho potuto leggere alcuni numeri cui di norma non viene dato rilievo sui media.

http://www.amnesty.it/dati_pena_di_morte_nel_2009

Così, proprio a proposito dell’Iran e della lapidazione (pena che da quanto ho capito è comminata solo agli adulteri) a pag. 18 si legge “Nonostante una direttiva del 2002 imponesse una moratoria sulle esecuzioni tramite lapidazione e una dichiarazione dell’agosto del 2008 del portavoce dell’autorità giudiziaria che affermava che questo metodo diesecuzione era stato sospeso, almeno cinque uomini e una donna sono stati lapidati a morte negli ultimi otto anni. A gennaio 2009, lo stesso portavoce ha confermato alcune esecuzioni tramite lapidazione e ha detto che la moratoria non ha un peso legale e che i giudici possono anche ignorarla.

Il 5 marzo 2009, Vali Azad è stato lapidato a morte in segreto, all’interno della prigione di Rasht, nel Nord Ovest

dell’Iran. Almeno altre sette donne e tre uomini sono a rischio di essere lapidati perché condannati a morte per adulterio durante il matrimonio.

Quindi, ricapitolando, il 70% degli incarcerati in attesa dell’esecuzione di cui si ha notizia è costituito da donne ma l’83.34% delle esecuzioni avvenute è costituito da uomini. In sostanza le condanne per adulterio sono 50% uomini e 50% donne (5 lapidati e 3 in attesa dell’esecuzione fra gli uomini e 1 lapidata e 7 in attesa di esecuzione fra le donne) ma, stando ai dati forniti da Amnesty, solo il 12.5% delle donne viene effettivamente messo a morte in un modo così barbaro contro il 62.5% degli uomini.

Sulle motivazioni nulla si sa.. Potrebbe anche essere che all’attenzione internazionale vengono portate solo le donne e di conseguenza, date le pressioni mediatiche internazionali, venga sospesa o procrastinata l’esecuzione in percentuale maggiore per le donne mentre per gli uomini non essendoci appelli o tam tam mediatico non c’è speranza? Oppure c’è, a monte, una severità maggiore nel giudicare (o forse è anche più facile che venga allo scopertol’adulterio nel caso di una donna e che lo si dimostri) ma di contro, una maggior clemenza, alla fine, nel giudizio?

Così, ad esempio sempre in Iran, il progetto di legge per il reato di apostasiaprevedeva pene diverse per un uomo e per una donna (progetto di legge che pare sia stato approvato, nonostante le pressioni internazionali, tanto che nel novembre 2009 è stato impiccato per apostasia il ventisettenne Ehsan Fattahian).

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=11629&size=A#

“L’Istituto sulle politiche religiose e pubbliche, con sede a Washington, che ha reso nota giorni fa l’iniziativa, spiega che il testo in esame stabilisce la morte per l’apostata-uomo e il carcere per l’apostata-donna”.

Parlando di condanne a morte in generale, si apprende che in Iraqdalla fine del 2009, sono più di 900 le persone, incluse 17 donne, che si trovano in imminente rischio di essere messe a morte nel paese. Secondo le informazioni ricevute da AmnestyInternational, queste persone hanno esaurito tutti i possibili gradi di appello e ora le condanne a morte devono essere ratificate dal Consiglio presidenziale.

Ecco qua.. lo stesso meccanismo comunicativo per i morti sul lavoro, evidentemente gli uomini in attesa di giudizio sono 883 o forse di più, visto che il totale delle persone è 900 ma l’accento cade su “quell’incluse 17 donne” . E a proposito della maggior capacità empatica femminile secondo cui se le donne fossero al potere, in virtù della loro capacità di dare la vita, combatterebbero la cultura di morte, si apprende anche che in Iraq, a contrapporsi al presidente Jalal Talabani che sostiene l’abolizione della pena di morte e si rifiuta di firmare le esecuzioni, oltre al primo ministro e ad alcuni altri ministri c’è anche una signora, la dott.ssa Wijdan Mikhail Salim che è stata nominata nientemeno che ministro dei diritti umani e il cui mandato dovrebbe essere proprio quello di promuovere la causa della protezione dei diritti umani.

http://www.uominibeta.org/2010/09/03/salviamo-sakineh-e-gli-altri/


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