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semplice semplice (3)

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ohmygod
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chissà perchè all'improvviso cellula tangente ha messo in moto: Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict accompagnandola al testo GioCo: -196-
Oggetto: semplice semplice
Soggetto: complicato complicato (3)


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Georgejefferson
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Ma sei tu Gioco che usi le "categorie date" per argomentare i tuoi concetti o idee, le usi ...( le categorie inventate da qualcuno, perche' altrimenti, se "date" mi spieghi da chi per cortesia? ) ma ti lamenti dell'uso negli altri, insomma...

Per esempio (di usare le categorie) quando lamenti che i temi "ontologici" non c'entrano, qualsiasi cosa voglia dire ontologico e' una categoria che rifiuti ma apponendone altre, e se le tue supposizioni le chiami in modo diverso (per esempio "idee") allora spiegami la differenza per cortesia tra "categoria" e " idea".

Mi dici che non sei d'accordo che per reale intendi "che esiste" (e ci volevo arrivare infatti) perche ritieni certe cose non meglio specificate come "indimostrabili", ma allora vale anche la "dimostrabilita" come postulato inaffidabile, lo merita in egual modo , altrimenti potresti argomentare perche', e perche' prendere in esame anche (ripeto anche) l'interiorita',non meriterebbe lo stesso trattamento.

E se niente e' "dimostrabile", allora crolla tutto l'impianto delle idee tue sulla "realtà oggettiva", che vorrebbero (se non ho capito male) ritenere di indagare sulla verita'.

Non e' per negarla a priori la realta oggettiva esterna ma, e se il presupposto per coglierne un po fosse l'esame interiore che neghi dal principio?

Poi mi dici che non ti sogni mica di equiparare gli animali all'uomo, ma accetti larghe similitudini e il metodo di analisi della nostra realta con la loro comparazione, mi sembra di aver capito. Io condivido un minim comun denominatore, ma non li equiparo come "uguali", e se e' cosi ovviamente condivido, ma sono piu scettico nel vederli di larga similitudine al punto di ritenere affidabile la comparazione, forse su piccole cose si. Poi diverso il discorso sull'origine, che potrebbe far ipotizzare uguaglianza (ma arriveremmo all'ipotesi della cellula primordiale ed e' un'altro discorso)...oggi secondo me c'e' molta diversita', specie per la dimensione interiore della coscenza di se'.

Ma potresti spiegarmi perche sarebbe affidabili nella ricerca perchè possono"dirci molto su chi siamo"? La similitudine la ritieni molta, o abbastanza, basandoti su isomorfismi strutturali.

Che sarebbero struttura fisica, presumo, quindi hai gia stabilito che "la materialità tangibile" e' componente massima (o molta...o abbastanza ma NON poca) per ritenere affidabile questa ricerca di similitudine con gli animali.
Se cosi, hai gia decretato che l'interiorità, la sensazione, l'intuito, l'autocoscienza di se stessi come pensanti e riflettenti...non hanno una grande importanza ai fini della ricerca, e quindi l'irrilevanza della personalità.

Allora annulli anche te stesso dalla possibile indagine, e quindi crolla di nuovo l'impianto perche', derivante dalle tue riflessioni soggettive, sarebbe inaffidabili. Un po come i comportamentisti, o funzionalisti, o gli estremisti behavioristi... molto criticati per la fiducia eccessiva nella sola "funzione" o "comportamento" senza ragionare sui perchè e sulle motivazioni interiori, e i condizionamenti ambientali che interagiscono o esasperano l'abitudine all'imitazione che porta le persone a non porsi troppe domande ed imitare, negano il potenziale del soggetto a priori.La registrazione delle frequenze dei comportamenti, non provano nulla della verita', perche negano a priori i possibili sviluppi "altri" dei comportamenti, se lasciati liberi dal condizionamento ambientale, che esaspera l'imitazione , imitazione che magari potrebbe essere normale, ma fino ad una certa soglia soltanto.

Non ti piace categorizzare diversamente persone e animali...

( preferisci presumo la categoria "animali" per tutti, che va be, e' una parola e nessuno ti impedisce di usarla, fai quello che vuoi ma stai categorizzando anche tu).
Piu idoneo specificare che le persone possiedono un lato animale, ed un altro piu di coscienza di se' ragionante e potenzialmente progettuale. (senza per questo introdurre concetti di inferiorita inteso come largo diritto allo sfruttamento animale)

A me sembra che ci dai troppa importanza alla comparazione con gli animali.

Quella affermazione sull'aspetto interiore che:"non ci dice nulla" sulla realtà oggettiva, e' vecchia di piu di 100 anni. E in altri termini, e' un dibattito antico. Sembra che la ricerca sia centrata solo sulla "realta oggettiva", ma usando idee e categorie che sarebbero "esperienza soggettiva" la stessa che si nega come validità di ricerca perchè "non ci dice molto". Ora io non e' che affermo per forza il primato della realtà soggettiva, ma mi sembra di vedere spesso una tendenza a fare a gara a su chi e' piu bravo a trovare l'oggetto esterno a noi ( per usare una metafora ). e anche la registrazione delle frequenze e tipo di comportamenti "non ci dice molto", andrebbero messi insieme tutti i metodi, senza cercare per forza il primato.

Tieni conto che lo sforzo di ragionamento lo faccio, ma in forma critica e dialettica, e non e' un male, e cerco mi sembra di essere stato gentile. Se non ti va più per proseguire il tuo discorso da solo dimmelo che mi taccio.


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ohmygod
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e chissà perchè, dato il celtico finale: Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict, la supponenza che l'antico avesse difficoltà nel vocalizzare la parola. da quale enigma trarre chi o cosa imitasse?
da quale evoluzione trarre l'enigma del progresso?
da quale progresso trarre l'enigma dell'evoluzione?
da quale supporto trarre l'enigma del comportamento?


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GioCo
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[...]
Tieni conto che lo sforzo di ragionamento lo faccio, ma in forma critica e dialettica, e non e' un male, e cerco mi sembra di essere stato gentile. Se non ti va più per proseguire il tuo discorso da solo dimmelo che mi taccio.

Partiamo dall'ultima parte @Georgejefferson che mi sembra di intiure essere la più ricca di potenziale conflittuale.
Il tuo intervento non è solo gradevole, ma rimane per me fonte di curiosità, mi stimola a riflettere sui contenuti di quanto propongo, sulle modalità in cui lo propongo, per ciò direi proprio che sarebbe per me un dispiacere non leggerti più. Tuttavia ogni cambiamento ha un costo e questo non può essere in nessun caso avvertito da noi come positivo nell'immediato. Da ciò possono derivarne anche brusche forzature nel linguaggio, se ne hai lette alcune nelle mie risposte.
Nella moderna "teoria della narrazione" o narratologia, fondata da Todorov nel 1969, gioca un ruolo centrale il soggetto narrante e ciò che egli suppone di comprendere rispetto le sue storie. Quindi c'è la mia narrazione su @Georgejefferson e c'è quella tua su @GioCo, ed entrambe partecipano al governo delle nostre convinzioni. Da tempo si sa che non si può relativizzare in assoluto il discorso narrativo soggettivo senza cadere in derive solipstiche che a questo punto (in una piega negativa) sarebbero indesiderabili per chiunque, tuttavia è indubbio che le nostre narrazioni ci siano, che ci influenzano e che siano per noi umani necessarie e imprescindibili.
Quindi quantomeno è bene tenerle sempre ben presenti e in primo piano nei nostri ragionamenti.

Poi vorrei un attimo soffermarmi a commentare un aspetto del quadro generale del nostro scambio (se me lo permetti). I primi approcci a un idea relativistica dell'intento (cioè "Il fine che ci si propone di raggiungere e a cui tende l’azione e il desiderio" secondo Treccani) tendono a "tirare via terreno solido da sotto i piedi dell'interlocutore" e a farlo sentire alla deriva, in balia di qualunque ragionamento. E' in genere un buon segnale, vuol dire che "il colpo accusato è forte", sta mettendo in discussione l'intero assetto cognitivo del nostro modo di intendere le cose, ma come ogni sfida, ci sono pesi e misure che concorrono a determinare i risultati: soltanto un "Davide" della storia biblica riuscì alla fine a sconfiggere un "Golia", quindi più che la regola di Davide, dovremmo sapere che si tratta di un eccezione che conferma la forza di Golia. Più che "poggiare sulla Forza assoluta la certezza di una vittoria", dovremmo sapere che ogni sfida è di per se stessa imprevedibile, per quanto piccolo sia il grenello che può inceppare la catena di causa-effetto (cioè la certezza) prevista. In questo aspetto persino le teorie del caos moderne, danno supporto matematico credibile.

Mi chiedi di dare una differenza tra categoria e idea. La categoria è un idea, per la precisione è una idea teorica che descrive un possibile funzionamento organizzativo della mente, ma sono già emersi pesanti limiti alla sua originale formulazione e in particolare nel modo in cui era intesa l'organizzazione della memoria (non certo secondaria). Oggi si sa con certezza che la memoria non è nell'uomo monolitica e non poggia in un "serbatoio" unico, ma è sia periferica che locale, sia strutturata che funzionale. Per esempio, io non ho bisogno di "combattere con un arte marziale" quando cammino, quel tipo di memoria si attiva solo in funzione di uno specifico probabile pericolo avvertito. Le categorie sono influenzate da connessioni sinaptiche lunghe e corte di un sistema dinamico, quindi possono essere spezzate e riassemblate mentre le applico. Tutto questo ha fatto evolvere il pensiero nell'idea che la categorizzazione sia un concetto elementare di organizzazine delle informazioni, in questo caso la zoologia tra le scienze naturali, ha dato il suo deciso apporto nel dimostrare la validità dell'organizzazione. Poi però non dobbiamo dimenticarci che esistono cose come l'ornitorinco, che ci ricordano che ogni categorizzazione è un idea artefatta, un costrutto utile finché funzionalmente utile allo scopo, quindi dovremmo essere pronti a gettarla via quando non serve più, non ostinarci a martellare dentro la realtà ad ogni costo l'idea, quando la realtà (quella cosa, qualsiasi cosa sia, esterna al corpo) si manifesta ostinatamente contraria alle idee. Spero di averti risposto.

"Dimostrabilità" o "indimostrabilità" non sono oggetto del mio discorso, tant'è che uso i termini in modo intercambiabile apposta. Ribadisco che non lo sono perché è come parlare di "sesso degli angeli", quindi è meglio non alimentare una diatriba del tutto fine a se stessa e spostare l'attenzione dove è più profittevole, per esempio nell'esperienza condivisa del corpo. Un giorno forse ci sapremo misti tra entità corpore e incorporee, magari perché la tecnologia o la scienza ci dischiuderà questa opportunità, ma dato che per ora quel giorno sta solo nei film di fantascienza o comunque nella fantasia, direi che il corpo è un buon mediatore per definire cos'è reale o cosa non lo è, no? Non perché il corpo sia reale o definica una realtà opponibile a una "irrealtà" generica, ma semplicemente perché così ripartiamo da un esperienza comune e condivisa, riconoscibile da tutti, ridefinendo i termini sulla base di un esperienza che è (ad oggi) imprescindibile. Il corpo può qundi essere il principio che mette in accordo i termini e il loro senso compiuto.
Fatto questo, "dimostrabile" diventa quello che "relativamente osservabile come esterno al proprio corpo" può e deve essere indagato, per il beneficio umano e dell'ambiente ospitante (no "solo uno dei due") e tuttavia dobbiamo sapere che l'unica certezza è l'impermanenza addattiva, o saremo condannati a non trovare le cornici di senso compiuto che ogni volta (obbligatoriamente sussistenti) ci definiscono e limitano.

Poi un altra cosa. La mente (come direbbe un noto "Pirata dei Caraibi") scarroccia, sballottata dalle incertezze quando avverte la tempesta che spazza le tranquille spiagge delle nostre certezze. In effetti non ho mai attribuito "larghe similitudini" tra uomo e animali, ho solo detto che spesso siamo difronte all'evidenza che non possiamo ignorare le similitudini. Quando i macachi si spulciano a vicenda, non mi viene in mente un coportamento umano sovrapponibile, anche se tra noi viaggia la metafora che "ci si fa le pulci a vicenda" è un altra cosa. Ma quando vedo lo stesso usare un bastoncino per riuscire ad alimentarsi di formiche, anche se sul pianeta non molti umani mangerebbero quel cibo e men che meno in quel modo, non può non venirmi in mente invece che anche io uso attrezzi per aiutare la mia alimentazione, cosa che non fa di certo un cormorano o un varano di comodo. Per ciò ha senso pensare che un macaco mi somigli di certo (e non solo per la forma) di quanto mi somiglia un coccodrillo. Tuttavia se osservo il cervello di un rettile mi accorgo che anche io possiedo una struttura nervosa simile, nasconsta nel mio corpo e che certi comportamenti (come il sistema motivazionale di "attacco o fuga") mi avvicinano al coccodrillo.
In questo senso non vedo dove sia il mio supposto eccesso di favoritismo nella disamina del modello animale.

Oltre alla problematica di girare al vecchio quello che non ci pare nuovo e di ritenere solo il nuovo affidabile, non la commento troppo. Se 100 anni fa è un tempo lungo, di solito mi soffermo anche a considerare con estrema serietà il pensiero che supera i duemila anni e questo non mi imbarazza. Piuttosto mi imbarazzerebbe soffermarmi sul pensiero attuale o che ci sarà nel prossimo futuro, che è con maggiore probabilità incerto, costruito sul'impermanenza del divenire. Tuttavia ogni disamina del "pensiero antico", è da riformulare nel contesto attuale e quindi è già di per sé nuovo quando rievocato, per il semplice fatto che non esistono più le stesse categorie interpretative dove quel pensiero è nato.

In ultimo vorrei spe
ndere qualche parola sul termine "ontologico". L'ontologia è una delle branche fondamentali della filosofia, è lo studio dell'essere in quanto tale, nonché delle sue categorie fondamentali. Ce lo dice wikicoipiedi (come amo chiamarlo) cioè un media che usa termini semplificati e quindi spesso non corretti (passibili di crearci idee non troppo ragionate) ma che sono spesso una buona approssimazione della versione più ortodossa, più facile da comprendere e che possiamo sempre verificare su altri media "mediamente più accademici", come Treccani che infatti ci dice "[...] Il termine o. restò in tal modo consacrato alla parte suprema di ogni dottrina oggettivistica del reale, ed ebbe grande importanza nei sistemi [...] che consideravano la conoscenza del puro ‘essere’ o ‘ente’ come primo e necessario fondamento di ogni altro sapere [...]". Siccome però è un dibattito che anima le sapienze filosofiche a me non interessa alimentarlo dal momento che credo fermamente che conduca per sua propria costitutiva esigenza verso l'astrazione e al "vuoto alimento della pelle dei discorsi", mentre a me preme ricondurre il discorso all'esperienza soggettiva e condivisa, farla ridiscendere a terra, nella dura concretezza del quotidiano.

Se stai volando per il piacere di volare con il pensiero, cosa che il pensiero gode a fare e deve fare per sopravvivere, come qualunque animale che si libri per mezzo delle sue ali nel cielo, è evidente che la costrizione che ti riporta a terra (per esempio il buio della notte) non può essere vissuta come piacevole, tuttavia nemmeno stare a volare in eterno è desiderabile. No?


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Georgejefferson
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Bello, con calma me lo leggo meglio.

Tieni conto il dialogo critico in forma dialettica non lo voglio intendere per forza come conflittuale, anche perche', per senso critico non intendo critica per forza a tutti i costi. Alcune cose si (sono scettico) altre no (concordo abbastanza la probabilita) ecc..

Ed e' nei punti di incontro che diventa proficuo il dialogo, cosi da aiutare a mettere da parte l'orgoglio e riflettere in modo piu sereno sulle parti criticate (da ambo le parti).

Basta volerlo. Ciao appena posso ne riparliamo.


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Georgejefferson
Famed Member
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Fatto, ho riletto e risposto approssimativamente a mente.
Purtroppo avrei da criticare (in senso buono, basta la cortesia) quasi tutto, diciamo un 80 per cento, ma non nel senso di contrapporre tesi contrarie, non mi convincono proprio molti assunti, e avro pensato almeno 3 o 4 volte: "ma questo contraddice quello prima", in questo senso la critica.

Adesso vorro' stenderere il tutto, e correggere (nel limite della mia scarsa preparazione) grammatica e sintassi. Diciamo 4 ore? Spero di si, solo che a volte la fretta mi fa scrivere in modo poco chiaro e quindi attendo di ritagliarmi il tempo.

Intanto rispondo all'ultimo, non faccio il quote (ma nella risposta lo faro') perche sono al palmare e faccio fatica:

GIOCO HA SCRITTO (maiuscolo per separare meglio) :

Se stai volando per il piacere di volare con il pensiero, cosa che il pensiero gode a fare e deve fare per sopravvivere, come qualunque animale che si libri per mezzo delle sue ali nel cielo, è evidente che la costrizione che ti riporta a terra (per esempio il buio della notte) non può essere vissuta come piacevole, tuttavia nemmeno stare a volare in eterno è desiderabile. No?

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Devo dirti che mi sa che il pensare molto e' una condizione a cui mi sono quasi sempre fortemente abituato, sara' passione, comunque e' un piacere si. Non condivido molto il termine "volare" perche e' spesso fatto associare alla "testa tra le nuvole" in senso denigratorio, non tu adesso, ma comunque e' legittimo che io citi questa tendenza. "Per sopravvivere" anche non lo approvo molto perche' richiama una condizione di sofferenza in questo caso fuori luogo, dato abbiamo parlato di piacere (nel senso buono, non di godimento edonistico), ma capisco il senso possibile metaforico. Arridaie "animale"...ma vedro di argomentare meglio il discorso.

Stando in metafora non sono sicuro che il buio della notte si proprio quello piu indicato nel "riportare a terra", scherzosamente mi verrebbe di dire il contrario (cioe' la notte predispone di piu alla profondita', che tu chiami volare pensando al "fattore esterno") ma queste sono sensazioni descritte in allegorie ed anche simpatiche.

Le dimensioni non sono UNA, e certo la fissazione solo in una e' un dramma (ma aprirebbe un altro discorso ancora piu in la', e sembra una chiave di volta importante).
Ripeto che la metafora "volare" mi fa storcere un po il naso, perche e' spesso usata per intendere sottilmente una mancanza di ragionevolezza perche "persa tra le nuvole".

Resta in linea, ho risposte interessanti da scrivere.

Adios por ora.


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GioCo
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Devo dirti che mi sa che il pensare molto e' una condizione a cui mi sono quasi sempre fortemente abituato, sara' passione, comunque e' un piacere si. Non condivido molto il termine "volare" perche e' spesso fatto associare alla "testa tra le nuvole" in senso denigratorio, non tu adesso, ma comunque e' legittimo che io citi questa tendenza. "Per sopravvivere" anche non lo approvo molto perche' richiama una condizione di sofferenza in questo caso fuori luogo, dato abbiamo parlato di piacere (nel senso buono, non di godimento edonistico), ma capisco il senso possibile metaforico. Arridaie "animale"...ma vedro di argomentare meglio il discorso.

Stando in metafora non sono sicuro che il buio della notte si proprio quello piu indicato nel "riportare a terra", scherzosamente mi verrebbe di dire il contrario (cioe' la notte predispone di piu alla profondita', che tu chiami volare pensando al "fattore esterno") ma queste sono sensazioni descritte in allegorie ed anche simpatiche.

Le dimensioni non sono UNA, e certo la fissazione solo in una e' un dramma (ma aprirebbe un altro discorso ancora piu in la', e sembra una chiave di volta importante).
Ripeto che la metafora "volare" mi fa storcere un po il naso, perche e' spesso usata per intendere sottilmente una mancanza di ragionevolezza perche "persa tra le nuvole".

Resta in linea, ho risposte interessanti da scrivere.

Adios por ora.

La tua introspezione ti fa onore @Georgejefferson e ammettto che l'uso troppo "libero" che a volte faccio dei termini è imbarazzante, soprattutto per me. Correttamente dici che "volare" ti fa storcere il naso, dato che in questa realtà sociale è più che altro sinonimo di "fannulloneria", del "pensare e non agire".
A me viene da ribadire che pensare "è" già agire, altrimenti mi spiegheresti la centralità e l'importanza che l'atto della preghiera ha nella attività religiosa? So che il parallelo è forzato, ma se per un solo attimo stai attento alla funzione in senso pedagogico e condizionante che ha per il pensiero la preghiera, non puoi dissociarla dal legame che c'è tra "pensiero libero" e "pensiero controllato". Quindi potremmo facilmente sapere la preghiera come il "passo dell'elefante" che inchioda a movimenti metaforici lenti e pesanti l'uomo "nell'azione e nel pensiero" insieme contrapposto a colui che invece "vola" con l'immaginazione come il poeta, che quindi ha maggiori gradi di libertà di scelta, che opta per un andamento del pensiero che "fora" i piani di realtà, i gradi di altezza e di profondità, le pareti delle stanze delle nostre costrizioni mentali, ma allo stesso tempo pone se stesso a un rischio maggiore di instabilità emotiva e imprevidibilità sociale. In altre parole è più facile che un poeta rompa la tranquilla monotonia dell'abitudine che un monaco.
Tuttavia non possiamo dire che l'agito sia meglio del "non" agito, che rompere le abitudini sia meglio che renderle stabili, che il mare (massa di orizzonti stabili) sia possibile contrapporlo alla sorgente di montagna (spiritualità pura), che l'uno sia meglio dell'altro, ad esempio che il mare sia indice di profondità insondabile e il torrente di purezza data.
Non possiamo finché non riconduciamo il tutto al contesto, una amalgama fatta di territorio, relazioni, condizioni ambientali.
Non sarebbe bene introdurre di fretta una importante novità sociale in un gruppo isolato di montagna, che ha faticato a trovare una sua propria stabilità e integrità nelle relazioni con il suo difficile territorio, non ha senso pensarci "eterni" sostenitori di una appartenenza radicalmente etnocentrata in un crogiuolo di istantanze e gruppi così eterogeneo dinamico come una grande metropoli. Nell'uno e nell'altro caso ogni tentantivo di fissare o cambiare ha più probabilità di arrecare danno che di portare beneficio.
Io vivo in un ambiente fortemente urbanizzato, quindi da una parte il relativo isolamento è vissuto come una necessità di sopravvivenza (in altre parole la svalutazione sociale degli individui data dalla diceria, dal pettegolezzo, è fortemente contenuta e ridotta, fino ad essere quasi del tutto tolta dalla capacità di generare "giudizio" socialmente rilevante) ma dall'altra proprio il legame "forte" diventa una continua ricerca, perché il pettegolezzo è il rovescio di una garanzia di legame affettivo allargato su cui poter contare.

Io credo che sia necessario quindi operare un cambiamento radicale del nostro modo di intendere e intenderci nella relazione sociale.
La fantasia (cioè una imprescindibile creatività comportamentale legata ad attività come il gioco) è un elemento centrale di ogni realtà vivente sociale e in particolare umana, più importante del cibo secondo studi piuttosto seri, già su più semplici modelli animali osservati in contesti selvatici e poi anche avvalorata in contesti umani, dove credenze religiose, identità di gruppo e altre qustioni di rilevanza sociale, si fondono con la realtà genericamente piacevole, che per noi è lo "svago".
Quindi è corretto che "stare tra le nuvole" sia un idea negativa, se la società ha bisogno di una base allargata di lavori fisici per soppravvivere, come nel caso delle nostre radici contadine, ma diventa abbastanza fuori luogo dove quella stessa attività mina realtà sociali che non sono già più stabili da decenni e dove il lavoro produttivo è quasi sempre di concetto, più che fisico.
Quale lavoro fisico sarebbe stare davanti a un computer o rispondere a un call center? E' evidente che se il lavoro è concettuale, lo stress determinato da un eccesso di utilizzo di una parte delle facoltà mentali a scapito di altre, obbliga poi l'individuo a prendere atto che le attività non utili per il lavoro (genericamente "ricreative") se troppo trascurate distruggono l'esistenza.

Nei lavori eccessivamente meccanici è osservabile che mente e corpo fusi insieme nello sforzo di sopravvivere, finiscono per distruggersi a vicenza.
Nel mondo contadino non c'era questo pericolo, perché ritmi e tempi di lavoro erano differenti. Le stagioni consentivano lunghi periodi di inattività in cui era il racconto fantastico a sostituire il lavoro manuale. Ma proprio per questo, le genti di questi tempi e luoghi, non aveva mezzi per rendersi conto che quei racconti fantastici non erano un semplice "intrattenimento", ma energia vitale iprescindibile e insostituibile, più importante del lavoro manuale, da cui derivava pur sempre quanto occorreva per vivere.
Come sempre non è l'abbondanza a permetterci di capire l'importanza di un bene prezioso, ma la scarsità, cioè la caratteristica che ne fa poi una risorsa.


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