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Solo uno dei tanti «gruppi G», sopravvalutato non per caso


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Il gruppo dei «paesi G» nacque nel 1975 a Parigi (Rambouillet) su iniziativa dell'allora presidente francese Valéry Giscard d'Estaing, per gestire in comune tanto la crisi del dollaro quanto la continuazione della sua centralità. Euroatlanticamente concepito per quattro paesi (Usa-D-F-GB), il «gruppo dei G» venne rapidamente esteso al Giappone ed all'Italia dopo le proteste di quest'ultimi, poi Washington si portò dietro anche il Canada. Nei confronti della crisi del dollaro l'impatto dei G7 fu nullo, visto che gli Usa hanno sempre agito unilteralmente; ad eccezione di una volta, cioè nelle fasi che portarono alla riunione del Plaza, a New York, il 22 settembre del 1985.
La politica di alti tassi di interesse inaugurata da Paul Volcker e Ronald Reagan, causa degli squilibri mondiali su cui è germogliata la crisi odierna, comportò una rapida rivalutazione del dollaro, acuendo la crisi occupazionale già esistente in Europa. La presidenza Reagan venne investita dalla pressione delle industrie nazionali che, non avendo ancora delocalizzato alla grande (l'attrazione fatale per la Cina era ancora in incubazione), perdevano mercati interni a favore delle importazioni nippo-coreane e germanico-italiane.

Anche gli europei, soprattutto Germania, Francia ed Italia, avevano da lamentarsi, perchè gli alti tassi di interesse strozzavano gli investimenti e inflazionavano il debito pubblico più di quanto alimentassero le esportazioni europee verso gli Usa. In tale contesto, e grazie alla guerra fredda, nacque l'accordo del 22 settembre 1985 che portò ad una svalutazione controllata - per un po' almeno - del dollaro e una riduzione dei tassi di interesse Usa. Tuttavia non furono i G7 a coordinare la manovra, bensì i G5, cioè i 4 summenzionati paesi con in più il Giappone. Il G8 non ha alcuna valenza decisionale. Le sue riunioni costituiscono una pura scena mediatica e di sfoggio di potere, attraverso i mezzi muscolarmente esibiti, che la popolazione delle città assediate vive con grande disagio; cui si aggiunge anche la reazione pavloviana dei no-global e compagnia.

Le decisioni effettive vengono prese in circoli estremamente ristretti ed in forme molto discrete. Ci vogliono degli esperti giuridici per capire, ad esempio, che il patto tra Tesoro Usa, banca federale e grandi banche private per «riciclare» - piuttosto che eliminare - le cartacce tossiche, si basa sul principio del «non ricorso» che esenta le banche contraenti dal rimborsare i soldi pubblici, qualora, come accadrà, le cartacce non ottenessero sul mercato i valori attribuiti dalle aste truccate di Geithner e Summers.
In un'ottica più ampia, non esistono oggi istituzioni mondiali e regionali in grado di affrontare in maniera coordinata la crisi in corso. Anzi, come dimostrato dalla sciagurata azione del Bundestag nei confronti della stessa Germania e dell'Europa, le istituzioni preposte al coordinamento fanno finta di niente. Anche nel caso europeo l'accordo è in negativo e si articola su due punti: elargizioni al sistema finanziario e assoluta deflazione salariale e pensionistica. La non volontà di elaborare reali piani anticrisi nasce dai conflitti di interesse che gli Stati devono gestire soprattutto internazionalmente, in quegli snodi dove le relazioni internazionali diventano il punto debole su cui si scaricano le diverse incompatibilità.

Eppure la reale dinamica dei centri decisionali emerge dai rapporti di organismi sovranazionali completamente interni al sistema finanziario ufficiale. Recentemente, infatti, la Banca dei Regolamenti Internazionali - la banca delle banche appunto - ha osservato come le operazioni di elargizioni di denaro pubblico alle banche più coinvolte dalla crisi, ha portato, facilitando operazioni di assorbimento, alla formazioni di mega banche mondiali. Queste, come sostenuto anche dal Financial Times, mantengono tutti gli elementi del comportamento destabilizzante - ma in forma accentuata - che ha caratterizzato gli istituti di origine. Contrariamente a tutte le dichiarazioni mediatiche sulla «riforma del sistema finanziario», la crisi e i correlati interventi hanno già prodotto un risultato netto rafforzando, senza condizioni e riforme, proprio le istituzioni da cui la crisi è nata.

Joseph Halevi
Fonte: www.ilmanifesto.it/
Link: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nel-manifesto/vedi/nocache/1/numero/20090708/pagina/04/pezzo/254337/?tx_manigiornale_pi1%5BshowStringa%5D=halevi&cHash=f7b3b18513
8.07.2009


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