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Spauracchio deflazione in Europa


vic
 vic
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http://www.liberatv.ch/articolo/18157/marazzi-non-sara-un-natale-sereno-la-crisi-non-e-finita/index.html

Marazzi: "Non sarà un Natale sereno: la crisi non è finita"
Parla l'economista: "La si è voluta interpretare come temporanea, ma la realtà è che siamo di fronte a una vera e propria crisi sistemica. Sono cinque anni ormai, e, in un’economia avanzata come la nostra, sono davvero tanti"

13 novembre 2013

MANNO – Se l’atmosfera manca ancora, il Natale comincia lo stesso pian piano ad avvicinarsi. E con esso ci si prepara anche alla “corsa ai regali”. Lunedì il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha reso noti i giorni di apertura straordinari dei negozi e le relative disposizioni. I segnali che giungono dal mondo economico però sono contrastanti, la crisi si dà per finita, ma i dati ci dicono che fallimenti e disoccupazione sono in aumento.

Qual è quindi la reale situazione in Ticino? Che tipo di Natale sarà? A rispondere è Christian Marazzi, economista e professore alla SUPSI (*).

“Bisogna innanzitutto cominciare col chiarire che questa crisi non è finita. Certamente c’è stato un tentativo, anche mediatico, a livello europeo di spacciare come indicativi di una prossima uscita dalla crisi alcuni dati riguardanti la crescita del PIL o la diminuzione della disoccupazione. Questo per rassicurare e tranquillizzare. Però, tutto porta a pensare che in realtà questa recessione sia ancora qui e qui per restare. Ciò crea un contesto entro cui i problemi della povertà, dell’incertezza del reddito e dell’occupazione rimangono vivi e attuali. Sono tutti fattori che ci portano a questo Natale non nelle condizioni migliori. Naturalmente sono situazioni tra loro differenziate, non solo tra la Svizzera e il resto d’Europa, ma anche all’interno del Paese tra le varie regioni linguistiche. Noi in Ticino rimaniamo alle prese con i problemi che ben conosciamo. Abbiamo avuto un anno disastroso dal punto di vista dei fallimenti di piccole e medie aziende. Abbiamo poi il problema noto della concorrenza all’interno del mercato del lavoro per quanto riguarda il frontalierato, con un aumento impressionante del numero di padroncini e lavoratori distaccati. Ciò genera una situazione da guerra tra poveri che purtroppo non contribuisce a creare un clima costruttivo e un’armonia sociale. Fattori pur sempre importanti per affrontare quei pochi momenti di festa e raccoglimento di cui tutti noi abbiamo bisogno”.

Una situazione che non lascia ben sperare in un sereno Natale quindi.
“Non voglio esser catastrofista, non è di questo che si tratta. Si tratta di essere realisti nel guardare allo stato presente delle cose. Mi preoccupa molto la mancanza di futuro soprattutto fra i giovani. Preoccupa la situazione molto precaria della piazza finanziaria e gli effetti devastanti che avrà sulle casse e le finanze dei grandi comuni, tanto per cominciare di Lugano e del suo agglomerato. Preoccupa il fatto che non si vedono accenni o segnali di un miglioramento della situazione sul fronte del salario per le fasce più deboli, ma anche per il ceto medio, attraversato da forte insicurezza. Questo poi si declina nelle forme più diverse, con difficoltà a pagare i premi di cassa malati, difficoltà a trovare un alloggio con pigione accessibile. Quello che poi preoccupa è che in tutti questi anni di crisi c’è stato un aumento delle disuguaglianze fra ricchi e poveri impressionante. Questa polarizzazione dei redditi non contribuisce a rilanciare i consumi, anzi li deprime. I ricchi consumano solo beni di lusso o non consumano del tutto, mentre i poveri vedono le loro energie impegnate nel disindebitarsi o nel non aumentare i consumi. Diciamo quindi che sarà un Natale non dei più consumistici e questo naturalmente anche a scapito del commercio che ne subirà le conseguenze”.

Siamo quindi in un circolo vizioso apparentemente senza uscita.
“Sì, perché tutto questo ha un effetto moltiplicatore e si irradia in modo trasversale in tutta la nostra micro società. Non a caso, la parola più pronunciata è ‘deflazione’. È questo lo spauracchio, il fantasma che si aggira per tutta Europa. Si ha il terrore di essere i prossimi a cadere in questa spirale deflazionista, un po’ come accadde negli anni Trenta. È paradossale, ma oggi l’inflazione è auspicata da tutti, perché significa per lo meno un aumento della domanda. Inoltre, nei pochi casi in cui quest’anno c’è stato un dato non negativo dal punto di vista del PIL, e mi riferisco a Spagna e Inghilterra, è appurato che ciò è dovuto soltanto a una drastica riduzione del costo del lavoro che ha permesso di aumentare l’esportazione. Ma dietro a questi dati c’è poi una povertà dilagante. E allora cosa vogliamo, una crescita a prezzo povertà? ”.

Il quadro che dipinge è davvero tragico.
“La si è voluta interpretare come temporanea, ma la realtà è che siamo di fronte a una vera e propria crisi sistemica. Sono cinque anni ormai, e, in un’economia avanzata come la nostra, sono davvero tanti. Questo va detto perché dalla crisi non si esce con le belle parole e nemmeno da soli. Ci vuole uno sforzo collettivo sul piano locale, nazionale e internazionale. E soprattutto bisogna essere aperti a osare vie inedite”.

E il Ticino sta dimostrando questa capacità di reinventarsi agendo su nuove vie?
“Qualcosa si muove. Ci sono delle idee che circolano da tempo che magari non sono eclatanti, ma che però sono dei piccoli laboratori di sperimentazione positiva. Penso ad esempio alle imprese sociali mirate non soltanto ai veri portatori di handicap, ma proprio a coloro che sono stati resi tali a causa della crisi del mercato. Ci sono quindi piccoli imprenditori o associazioni che da anni agiscono in tal senso. Ma da solo questo non basta, sarebbe necessario che i politici fossero un po’ meno sordi. In questo senso credo sia saggio seguire un approccio da piccoli passi, in termini più sperimentali, piuttosto che continuare nella ricerca della soluzione risolutiva, perché non c’è, riconosciamolo. Siamo in una crisi epocale, di pensiero, di progettualità. Eppure siamo fermi in un circolo in cui continuano a reiterarsi idee che hanno fatto la storia”.

Anche la politica è parte di questa immobilità?
“Anche lì, non ci smuoviamo di un millimetro. A livello di scontro politico sembra quasi di esser sempre in un periodo di campagna elettorale. Anche all’interno dei vari partiti poi non intravvedo dinamiche virtuose che permettano all’esecutivo di lavorare in modo fruttuoso. I partiti mi sembrano dei condottieri che si agitano su dei cavalli immobili. Si continua a perseguire la revisione dei compiti dello stato e si persegue lo sgravio privando così lo stato sociale dei mezzi necessari per poterne garantire le prestazioni. Eppure, proprio la creazione dello Stato sociale fu il mezzo che permise di uscire dalla crisi degli anni Trenta, ma parlarne oggi sembra invece un anatema. E se qualcuno crea nuovi posti di lavoro, giammai siano indeterminati… tutto all’insegna del risparmio! Intanto si fa risparmiare sulla pelle di chi ne avrebbe più bisogno. La situazione che si è generata ha creato una specie di crisi di fiducia e consenso generale verso lo stato e i partiti, generando reazioni spesso di pancia che sfociano nel razzismo. Bisogna creare l’ultimo per sentirsi il penultimo. Perché creare qualcosa di più basso, è un modo di compensare la mancata mobilità verso l’alto”.

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(*) Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana


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qasiqasi
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Registrato: 2 anni fa
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se non sono sereni neanche in svizzera,noi dovremmo a dir poco impiccarci.vabbè l'importante è la salute.come diceva eduardo :"a da passà a nuttata""


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