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Speranza d'Italia


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Da: www.laregione.ch

La speranza d’Italia

di Orazio Martinetti - 16 febbraio 2011

Sui modi e i tempi di celebrare la patria, o la nazione, gli animi s’accendono dappertutto come lampi al magnesio. I lettori ricorderanno le lancinanti doglie che accompagnarono il Settecentenario della Confederazione (1991) e le successive convulsioni di Expo.01, poi diventata Expo.02 per ritardi, inadempienze, errori di valutazione e di conduzione… Robetta, comunque, a paragone delle traversie che stanno lacerando la vicina penisola per i 150 anni dell’Unità, con una parte del paese, il Nord-Est, che si dichiara estranea, quando non apertamente ostile, alla ricorrenza. I veneti, ad esempio, rimandano qualsiasi festeggiamento (o corteo funebre, chissà, dipende dalle sorti del federalismo…), al 2016.

Rimandano perché la loro adesione all’Italia unita avvenne cinque anni dopo la proclamazione del Regno; stesso discorso per il Friuli (con Trieste e la fascia giuliana che ebbero un destino ancora più tormentato). Lunga e coriacea fu anche l’avversione del Papa e di tutto lo schieramento neoguelfo.

L’Italia non sta attraversando un momento felice. La sua immagine, sul piano internazionale, appare offuscata ed esposta allo scherno. I filo-italiani, i cultori dell’italianità, gli «italici», per ritrovare morale e forza, non possono far altro che rifugiarsi nei secoli in cui il Bel paese era sinonimo di genio, bellezza, creatività, amore per l’arte, le lettere, la musica: l’Umanesimo, il Rinascimento, il moto risorgimentale. Pensate: nel 1843, l’abate torinese Vincenzo Gioberti, esule a Bruxelles, non esitò ad intitolare una sua opera ‘Del primato morale e civile degli Italiani’: era ovviamente un augurio e un’esortazione a risorgere, assegnando al Pontefice il ruolo di «duce e moderatore» di una Confederazione di stati. Ma quell’opera era anche espressione di un profondo convincimento: che l’Italia fosse veramente la«nazione autonoma ed autorevole per eccellenza... l’Italia, essendo creatrice, conservatrice e redentrice della civiltà europea, destinata ad occupar tutto il mondo e a diventare universale, si può meritatamente salutare col titolo di nazione del genere umano. Nel che risiede quel primato morale e civile, che la Providenza le ha assegnato...».

Parole simili sarebbero oggi improponibili, riflessioni di un cervello balzano, anacronistiche. Ma il Risorgimento fu anche questo, oltre che insurrezioni, battaglie, spedizioni e manovre diplomatiche: un grande risveglio intellettuale che metteva in campo giornali, periodici, almanacchi e libri. Tutti vettori di disegni e progetti, da quelli neoguelfi di Gioberti a quelli federalisti di Carlo Cattaneo (i due erano coetanei, ma esponenti di visioni ideologiche opposte).

Anche il Ticino, «terra classica degli esuli», partecipò ai moti attraverso le sue numerose tipografie dislocate tra Mendrisio e Lugano (su questa complicità politico-editoriale la bibliografia è ormai cospicua, a partire dagli studi di Giuseppe Martinola).

Quanto fosse presente il Risorgimento nella memoria segreta del paese, lo testimoniò la Resistenza, movimento anch’esso disordinato ma vitale che mise fine al regime nazifascista nel Settentrione dopo il 1943. Tanta l’energia sprigionata, tanta l’euforia, tanta la volontà ardente di aprire una nuova era che i partigiani non dubitarono nel considerare la Liberazione come un «secondo Risorgimento». Molte idee dell’Italia nuova, dell’Italia repubblicana, germogliarono in quella temperie. Nel 1944 prese a circolare il manifesto di Ernesto Rossi, ‘Gli Stati Uniti d’Europa’, concepito nell’esilio elvetico e stampato dalle Nuove Edizioni di Capolago; con la data, simbolica, del 25 aprile 1945, a significare una rottura definitiva con le tradizioni culturali coltivate sotto il fascismo, il filosofo della scienza Ludovico Geymonat pubblicava gli ‘Studi per un nuovo razionalismo’, raccolta di saggi in cui l’autore denunciava le «vuotaggini dell’idealismo italiano». Il volume usciva da Chiantore, editore torinese che avrebbe accolto nel suo catalogo anche un’antologia di scritti di Carlo Cattaneo, ‘Stati Uniti d’Italia’, a cura di Norberto Bobbio (antologia ora riproposta da Donzelli con un’introduzione di Nadia Urbinati). Parallelamente vedeva la luce ‘Realtà del Partito d’Azione’, opuscolo in cui Augusto Monti rivendicava energicamente l’eredità del Risorgimento, ma con alcune, fondamentali distinzioni:«Il nuovo Partito d’Azione, come figlio del Risorgimento è liberale (principio di libertà); come nipote della Rivoluzione francese è democratico (principio dell’uguaglianza); come appartenente all’epoca presente deve essere socialista (principio di uguaglianza economica)».

E oggi?

E oggi? Nell’anno delle celebrazioni per i 150 anni, il disordine regna sovrano, con pesanti ripercussioni anche sulla lingua e la cultura italiane fuori d’Italia: nel Ticino, nel Grigioni italiano, nelle comunità italiane e italofone disseminate nella Svizzera tedesca e francese. Il declassamento dell’italiano nei licei è anche conseguenza di questa graduale perdita di prestigio, diciamo pure eclisse morale di un paese che è stato, per secoli, il nostro baluardo (il «palladio», diceva Gioberti), senza il quale non avremmo avuto le spalle coperte, né ottenuto linfa per crescere come terza Svizzera. Naturalmente non si vuol generalizzare. Non tutta l’Italia è decadente; c’è una parte che, per fortuna, resiste e lavora, al Sud come al Nord; tante intelligenze che non s’arrendono dentro e fuori le università; tante menti brillanti e operose nelle istituzioni e nelle aziende. Le capacità reattive degli studiosi più vigili sono rimaste intatte: Roberta De Monticelli, Maurizio Viroli, Adriano Prosperi, Salvatore Settis, Michele Ciliberto. Purtroppo segreterie di partito, burocrazie, radio e televisioni sono precipitate in un vortice da cui non riescono più ad uscire. Sarebbe necessario, per rialzarsi e tornare a camminare, un nuovo Risorgimento, il terzo della serie; di un Risorgimento 3.0. Purtroppo non se ne vedono i segni. Anzi, probabilmente, il 2011 sarà un anno di elezioni politiche, in cui trionferanno, di nuovo, gli affaristi e i demagoghi al soldo del sultanato televisivo.


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