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Spesa militare, spesa contro la società


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Il pacifismo è sempre stato un soggetto controverso, e ci si può chiedere se esso meriti davvero l'alta considerazione di cui gode. Naturalmente, la questione di fondo riguarda le definizioni: cosa si intende esattamente per pacifismo? L'occasionale dimostrazione di sentimenti contrari alla violenza e alla guerra, disgiunto da una sistematica denuncia dei meccanismi che le generano, e che costituiscono la normale fisiologia di processi sociali a cui siamo assuefatti, può sostenere l'autostima del soggetto che li esprime, ma in genere ha impatto molto limitato sull'esplodere dei conflitti, e in definitiva ci si può chiedere se una moderata attività di pacifismo innocuo non faccia più male che bene, diffondendo l'illusione che la guerra possa essere evitata con un impegno a basso costo, che serve soprattutto a far stare bene la gente che lo attua. Chi mette la bandiera arcobaleno sul suo balcone una settimana prima della guerra -- avendo sentito al telegiornale che ce n'è una in preparazione --, e una settimana dopo che la guerra è esplosa sta già pensando ad altro (magari un po' seccato che la sua bandiera non abbia cambiato il corso della storia), sta solo seguendo una moda, e a questo punto è verosimile che si iscriva a un corso di yoga o di danze latino-americane come "evoluzione del suo percorso".

Appena un gradino più su ci sono i pacifisti un po' più sistematici, che dedicano più tempo e attenzione alla cosa e credono che la guerra sia fondamentalmente una questione di "educazione" alla pace e alla nonviolenza, infliggendo così ai loro figli terrificanti pedagogie come quelle di non permettere loro di giocare con armi giocattolo (e meritandosi così la satira di Orwell: "Ai bambini piace giocare con i soldatini di piombo, ma non con i pacifisti di piombo"). Non è che ci sia qualcosa di sbagliato in ciò, ma è francamente irritante l'ottusità di credere che questa sia la radice del problema (e inoltre, se le teorie sulla repressione durante l'infanzia degli istinti aggressivi sono giuste, c'è da temere che molti serial killer siano divenuti tali proprio giocando con i pacifisti di piombo).
Al di là delle buone intenzioni, la superficialità di queste pratiche e concezioni pone il pacifismo allo stesso livello della beneficenza, in cui il versamento di qualche euro (o di qualche migliaio di euro, secondo le possibilità) costituisce un grande pretesto sociale per non dover fare i conti con le ragioni vere dell'esistenza della povertà e dei suoi effetti. Inoltre, nella beneficienza rimane sempre aperta la domanda su chi ci guadagna davvero, se il benefattore o il beneficato. C'è infatti ragione per credere che molti benefattori cesserebbero all'istante di essere tali se venisse applicato con rigore il precetto evangelico: "la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra". Possiamo chiederci se non accadrebbe lo stesso a molti "pacifisti" se la stampa cessasse di occuparsi con simpatia di loro.

L'articolo che segue, che traduco da Rebelión, serve a porre il problema della guerra sulle sue giuste premesse.

Dal 2006 la spesa militare mondiale ha superato ogni livello precedentemente raggiunto durante la Guerra Fredda, quando si credeva che un conflitto di enormi proporzioni era una possibilità realistica. Il fatto che oggi vi siano tensioni politiche molto più limitate e di carattere locale dovrebbe fare giustizia del mito secondo cui ci si arma per essere pronti alla guerra nel caso che scoppi. In realtà le guerre sono una conseguenza inevitabile, e a volte del tutto voluta, del peso che l'industria degli armamenti ha assunto nell'economia mondiale. L'equazione si rovescia: le guerre scoppiano proprio perché c'è una corsa generalizzata al riarmo. Le industrie automobilistiche costruiscono e commercializzano auto con tempi di usura molto più brevi di quello che, a parità di costi, sarebbe possibile grazie alle moderne tecniche di costruzione e alla scienza dei materiali. Se non si facesse così il parco delle auto circolanti si rinnoverebbe in tempi troppo lunghi e il ciclo degli investimenti nel settore finirebbe per collassare, ponendo fine alla "Civiltà dell'automobile". Non è verosimile che gli enormi investimenti nel campo dell'industria degli armamenti non richiedano un periodico svuotamento e rinnovo degli arsenali? E che la politica estera dei paesi in cui queste industrie sono ospitate non lavori a creare le condizioni propizie per il verificarsi di questo evento?
Richiamo l'attenzione su un'osservazione particolarmente acuta contenuta nell'articolo. Quegli stessi economisti che a giorni alterni levano voci addolorate sull'inarrestabile aumento della spesa pubblica e della proliferazione di burocrazia statale legata a questo incremento, non trovano mai niente da ridire sul fatto che le voci di bilancio più interessate a questi aumenti sono quelle legate alla spesa militare. Su queste vi è una congiura del silenzio che nessuno ha voglia e interesse a spezzare. Una bella prova del connubio tra "scienza economica" e interessi costituiti della finanza e dell'industria (che controllano i media su cui sono ospitati i lautamente pagati contributi degli economisti)

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://achtungbanditen.splinder.com/
14.11.07

Spesa militare, spesa contro la società

Il nemico sovietico è scomparso, ma la spesa militare continua a crescere in tutto il mondo. Ciò dimostra, tra le altre cose, che la sua considerevole espanzione nel corso dell'intero secolo scorso non dipende unicamente dalla necessità di "difendersi" dai crudeli nemici di cui si parla senza posa.

Nella realtà quello che accade è che la spesa militare è diventata parte dell'ingranaggio produttivo del capitalismo, in quanto fonte, persino privilegiata, non solo di potere militare ma di profitto.

E' pertanto evidente che l'incessate e preoccupante aumento della spesa militare in tutto il mondo risponde non solo a fattori strettamente politici, ma anche, specialmente, a questioni economiche di straordinario rilievo.

Le cifre mosse ogni anno dall'industria degli armamenti mostrano che questo settore è diventato un pilastro basilare della moderna economia neoliberista.

Nel 2006 la spesa militare mondiale ha superato i livelli della guerra fredda, nonostante la situazione politica internazionale sia molto diversa da allora. E in Spagna, la spesa militare prevista in bilancio per il 2008 si situa già ad un 2,23% del PIL (23.052 Euro).

Cosa si nasconde dietro questa tendenza?

Nel suo ultimo libro, intitolato "Il capitalismo chock", la professoressa Naomi Klein studia e dimostra la relazione esistente tra la distruzione materiale di un paese, e l'immediato arrivo delle politiche neoliberiste, così che la crisi si trasforma in un'occasione di guadagno imprenditoriale. Il caso dell'Irak è paradigmatico: un paese sprofondato nel chaos come conseguenza di una guerra per il controllo delle sue risorse naturali, comincia subito a mettere in pratica il libro delle ricette neoliberista basato su privatizzazioni, deregulation, e riduzioni della spesa pubblica.

Quello che accade è che, lo si voglia o no, se si comincia a spendere in armi, si finisce per sparare, e perciò bisogna parlare molto chiaramente, senza giri di parole: la spesa militare è solo solo una forma criminale di condurre gli affari che ha terribili conseguenze.

Per giustificarlo si ricorre a pretesti politici il cui unico scopo è infondere sufficiente paura per rendere socialmente tollerabili gli eccessi di militarismo e gli sperperi di risorse economiche necessari a mantenerlo e rafforzarlo.

Ecco perché è stato necessario realizzare una fusione tra potere mediatico e lobby degli armamenti, ed entrambi ai rappresentanti democratici che prendono le decisioni politiche finali.

Per quest
o vi è poco da sorprendersi se le voci di bilancio collegate alla spesa militare vengono oscurate con grande attenzione, mezzo nascoste da opacità statistica, e confuse con altre che hanno lo scopo di offuscare l'enorme sforzo di investimento necessario alla ricerca e alla produzione nel settore degli armamenti. In Spagna il regolare utilizzo da parte del governo del cosiddetto Fondo di Emergenza (privo di indicatori per il tracciamento) per deviare risorse economiche verso attività militari è una prova in più di questa mancanza di trasparenza.

E' solo in questo modo che il governo riesce a vendere la falsa idea che la spesa militare non cresce, quando l'unica cosa sicura è che gli incrementi di spesa sono messi a carico di altre voci come questa.

Il fenomeno militare ha anche una sua certa paradossalità. L'economia quantifica in modo positivo la produzione di armamenti, per via dell'incremento del PIL nazionale, come accade per ogni altro tipo di produzione.

Quale cività "superiore" è mai questa in cui l'uccidere è una maniera di soddisfare la necessità di una costante crescita economica?

E' inoltre altrettanto paradossale e rivelatore che l'aumento nelle voci di spesa militare sia l'unico che non preoccupa gli economisti, né riceve le loro critiche, benché si tratti di spesa pubblica, non solo socialmente improduttiva e nefasta, ma anche ad alta potenzialità inflazionistica e generatrice di quella burocrazia così detestata quando si tratta di altri settori della spesa sociale.

Al colmo e come è del tutto noto, l'incremento di spesa militare è anche in relazione diretta con la crescente inefficienza dell'aiuto allo sviluppo, già così precario. Da una parte, perché si considerano aiuti le risorse destinate all'aumento della capacità di uccidere e distruggere. Dall'altra perché vi è una spinta verso la guerra e i conflitti risultano facilitati se si mettono nelle mani di quei paesi strumenti di morte e distruzione.

L'incoerenza della nostra epoca, dei dirigenti neoliberisti della nostra epoca, è brutale, spregevole, e incontestabile.

Come si può parlare di pace mentre si spende più denaro in armi?

Che compatibilità può esservi tra proposte di pace come l'Alleanza delle Civiltà ed un continuo e smisurato incremento della spesa militare?

Come credere nella sincerità di chi parla di combattere il terrore, e poi incrementa gli strumenti di tortura e si dedica a creare strumenti sempre più perfezionati di sfruttamento, di brutale dominio e di morte?

Opporsi all'incremento della spesa militare, ottenere una sua effettiva e continua diminuzione, e il parallelo aumento delle risorse destinate a stimolare il benessere e la pace, sono i prerequisiti indiscutibili del progresso, della giustizia e della democrazia nella nostra epoca. Non ci sono vie di mezzo.

Juan Torres López e Alberto Garzón Espinosa sono coordinatori di Altereconomia.org


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