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Spike Lee, Clint Eastwood e i partigiani italiani


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Spike Lee, Clint Eastwood e i partigiani italiani (di Vlad, 02 ottobre 2008)

* “At the beginning of the war, black soldiers did not fight. They cooked, cleaned and drove trucks. That was all they were allowed to do. There was a theory that the black soldiers would run. That was proven false.” (Spike Lee)

Riguardo la polemica di questi giorni tra le associazioni di partigiani italiani e il regista afro-americano Spike Lee, credo possa essere interessante fare un passo indietro di alcuni mesi, sino al Festival di Cannes dello scorso mese di maggio. Lee è presente al festival per presentare il trailer di alcuni minuti proprio del film Miracle at St Anna. In occasione di ciò attacca Flags of our fathers, film di Clint Eastwood del 2006, accusandolo di nascondere il ruolo avuto dai soldati di colore durante la seconda guerra mondiale. Eastwood, presente al festival con un nuovo lavoro (Changeling), contrattacca, sia ricordando che dove il contesto richiedeva personaggi neri, lui li inseriva, sia affermando che la particolare storia, da lui raccontata, non presentava molti protagonisti neri, come asserito da Lee, e il farlo avrebbe alterato la verità storica.

Il punto della questione, ossia la polemica tra Lee e i partigiani, sta qui, ossia sul problema "neri sì-neri no", non sulla verità storica difesa dai secondi.

I partigiani, e coloro che ne sposano le ragioni e la memoria, hanno un bel polemizzare, ma sarebbe il caso di riconoscere che il caso rientra nell'alveo, più ampio e più moderno e più impellente e più grave, riguardante la retorica inseribile in un insieme definibile delle "minoranze" o di "revanchismo" delle stesse. Lee attacca, presentando Miracolo a Sant'Anna, Eastwood per dare spazio alla propria minoranza etnica di appartenenza. Lo stesso film è scritto secondo quest'ottica.

I partigiani si indignano, il giornalista Giorgio Bocca si indigna, e chissà quanti altri lo fanno, ma le loro ragioni, nel mondo attuale, non avranno particolare rilevanza. Su Repubblica, la giornalista Claudia Morgoglione lo capisce chiaramente:

* Eppure, dopo aver visto Miracolo a Sant'Anna, resta la sensazione che la strage nel paesino toscano citato nel titolo sia solo un pretesto. Perché in realtà ciò che interessava, a Lee e a McBride, era mostrare il ruolo che un battaglione di soldati afroamericani - i Buffalo Soldiers - ebbe nella nostra guerra di Liberazione.

Il regista Mario Monicelli non capisce il perchè del film, che non condivide, ma invece di indignarsi, dice che è peggio il porre partigiani e repubblichini di Salò sullo stesso piano (dice : "parteggiare per i due fronti è un falso morale. L’onestà sta nello sposare una tesi politica e poi rimanere a questa fedele"), il che è sintomatico di come ormai una certa parte d'Italia non capisca più la realtà concreta, anteponendo le proprie ragioni di principio anche sopra dinamiche capaci di mettere a repentaglio proprio quel principio difeso. Dinamiche che, nella realtà concreta, sono o rischiano di diventare più forti e rilevanti (e, dietro, ovviamente, possono anche fare capolino princìpi differenti).

Il punto è questo: Lee ha dato una propria versione dei fatti, per ragioni che non hanno a che vedere con quei fatti, ma solo con delle preoccupazioni "razziali" esterne. La verità raccontata dai partigiani, di fronte alle preoccupazioni di un Lee, cadranno (ci si può scommettere) nel vuoto, mentre rimarrà l'affresco "afro-americano". E anche questo è sintomatico di un mondo futuro, ma sempre più in avvicinamento, in cui non dominano le molte anime, politiche o culturali, autoctone, ma mille altre anime allogene, con mille altre preoccupazioni, non necessariamente in sintonia con quelle di anti-fascisti o fascisti, partigiani o repubblichini, "destri" o "sinistri", ecc.

I partigiani, in questo caso, si mettano il cuore in pace: sono già morti, anche se non se ne rendono conto. D'altronde, avendo contribuito a questa Italia auto-genocida, che altro pensano di essere?

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