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Stava bluffando Marchionne ?


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Vorrei dare un seguito di riflessione a un dubbio che aleggiava nel mio post di ieri sul referendum di Mirafiori: quando Marchionne diceva che in caso di vittoria del No avrebbe chiuso tutto e sarebbe andato via stava bluffando o no?

Io, si capisce, non ho nessuna inside intelligence sui piani della Fiat, ma ho sempre pensato che Marchionne facesse sul serio. Spiegare questa sensazione può forse servire a capire meglio la complessità della vicenda e dei problemi a cui noi che ci sentiamo vicini alla Fiom dovremo trovare una soluzione negli anni a venire.

Per andare subito là dove il dente duole citerò quello che a mio avviso è il punto più debole della posizione Fiom: non è l’isolamento, dato che non è certamente isolata dagli operai, e secondo me diventa anche sempre meno isolata nel paese. Il problema grosso è in un possibile equivoco. Se la Fiom – attingendo alla sua tradizione – continua ad affrontare il problema della competitività sul fronte dell’innovazione tecnologica e non su quello dei “sacrifici chiesti agli operai” ( questo è il vero significato della storica frase “il salario è una variabile indipendente”, ridotta dai media ostili e superficiali a una bestialità algebrica), è perché parte dalla premessa di avere al tavolo negoziale una controparte industriale. Ma è davvero così?

Marchionne è un manager globale soprattutto nel senso che è un finanziere e non un uomo di industria. Fare una buona automobile e venderla richiede la mentalità dell’industriale, e l’industriale non è global, ma ha radici nazionali perché per sviluppare la tecnologia e il know-how ha bisogno di sfruttare al meglio le risorse offerte da un territorio. L’industria dell’auto tedesca – la più potente del mondo – è per l’appunto questo: tedesca, prima di tutto. Marchionne preferisce costruire una vettura di qualità inferiore – che minimizzi i grattacapi dell’organizzazione industriale – e andare alla ricerca delle opportunità congiunturali che l’economia globale gli offre. In questo caso soprattutto le dazioni ambientali dell’amministrazione Obama e del governo serbo, che hanno messo sul tavolo miliardi di dollari (o euro) che il governo italiano non si sogna di sborsare. E’ per questo che Marchionne può permettersi comportamenti autocratici, come quello illustrato ieri sera da Landini a “Che tempo fa”: durante le trattative Marchionne non discute, si limita a prendere la parola e a dettare le sue condizioni, poi si alza e va via. Il “prendere o lasciare” del suo stile è tipico di chi vede un territorio come un’opzione fungibile, e il territorio è sempre un’opzione fungibile per chi non è al cento per cento all’interno di una mentalità industriale.

E’ per questo che non ci dovremmo fare troppe illusioni sulla facilità di importare in Italia la Betstimmungtedesca, la cogestione, perché essa ha senso solo in un contesto di forte cultura industriale, segnata tra le altre cose da ingenti investimenti in ricerca e sviluppo. Non esattamente la caratteristica più evidente del settore manifatturiero italiano.

Inoltre (e questo per reagire a certe visioni leggendarie del marchio, all’insegna del “come era bella la Fiat prima dell’arrivo di Marchionne”), è almeno dalla fine dell’era Ghidella che gli Agnelli prediligono bussole di navigazione finanziarie a bussole industriali. Chissà quante volte sarà loro venuto in mente di liquidare l’auto dal portafoglio titoli e mantenere il ricavato in altre attività, magari altamente liquide. Marchionne è il manager dei sogni per casa Agnelli, altro che il risibile appello di Furio Colombo – già presidente di Fiat USA – a John Elkan per fermare Marchionne!

Si badi, non intendo affatto dire che la Fiom stia sbagliando strategia, e che abbiano ragione gli altri (dalla “riduzione del danno” della Fim-Cisl torinese allo scomposto aziendalismo di Bonanni). Sto dicendo che i problemi non possono trovare una soluzione unicamente nella trincea dell’attivismo sindacale e delle relazioni industriali. Occorre una sinistra che sappia misurarsi con i problemi della globalizzazione in un’ottica non semplicemente reattiva e adattativa (il PD, per intenderci), ma progettuale e aggressivamente riformatrice.

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://subecumene.wordpress.com
Link: http://subecumene.wordpress.com/2011/01/16/stava-bluffando-marchionne/
15.01.2011


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