Storia orale e Stor...
 
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Storia orale e Storia


Georgejefferson
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STORIA ORALE E STORIA

http://smsdemartino.files.wordpress.com/2013/11/storia-orale-e-storia.pdf

Il titolo di questa relazione – Storia orale e storia, come se si trattasse di una coppia oppositiva – implica un riferimento polemico nei confronti di una parte della storiografia, in particolare quella che a lungo ha considerato le fonti orali come non pertinenti nella pratica della ricerca. L’atteggiamento di rifiuto veniva dagli storici affezionati alle fonti cartacee (o comunque “dure”). Molti di loro ritenevano che quanti facevano uso delle fonti orali dovessero essere messi tra virgolette (“storici”): figure anomale, ricercatori sui generis, praticanti o dilettanti che si ponevano fuori dei canoni metodologici approvati e condivisi dalla ricerca storica ufficiale, cioè accademica. In anni recenti quelle obiezioni sono largamente cadute, parallelamente all’estendersi di una discussione intorno all’uso delle fonti e agli obiettivi della ricerca storica che ha attraversato molti confini nazionali e ha prodotto importanti esempi di collaborazione tra discipline, metodologie e fonti diverse. L’opposizione binaria del titolo ha quindi valore esemplificativo, si potrebbe dire didattico.
Una delle obiezioni nei confronti della storia orale – più correttamente: dell’impiego delle fonti orali in storiografia – riguardava la sua scarsa attendibilità, dovuta agli errori, alla parzialità e labilità della memoria, alle reticenze, ai condizionamenti e alle mistificazioni intenzionali; in sostanza, alla scarsa attendibilità delle fonti stesse. Discuteremo di questa obiezione, che merita attenzione sempre e comunque, al di là dell’uso pregiudiziale e strumentale, delegittimante, che di essa è stato fatto. In realtà, però, come sanno tutti gli storici, il problema dell’attendibilità – e quindi della verifica – riguarda tutte le fonti, sia scritte, sia orali, sia di ogni altra natura. Cominciamo con quelle scritte. Tuttavia ci si ricordi dell’antica obiezione: le testimonianze orali non sono attendibili.

Vorrei partire da due documenti che provengono dagli archivi delle autorità di polizia. È un tipo di fonte che gli storici contemporaneisti italiani conoscono bene e sono abituati a usare. Gli anni sono quelli del fascismo. Nel nostro caso si tratta di due diverse note informative prodotte dalla Legione Territoriale dei Carabinieri Reali di Alessandria e indirizzate alla Regia Questura di Alessandria; una proviene dalla tenenza di Tortona e l’altra dalla Compagnia di Novi Ligure. Tortona e Novi Ligure sono due centri di quella provincia, nel Piemonte meridionale, e sono a 15 chilometri l’una dall’altra. Entrambe le segnalazioni riguardano una persona che è nata e ha abitato a Tortona e che da due anni si è trasferita a Novi Ligure, dove lavora come frenatore facendo capo al locale scalo ferroviario di San Bovo. Sono tutte e due risposte alla stessa richiesta di informazioni da parte della questura di Alessandria e vengono compilate nello stesso giorno, il 9 aprile del 1931. La persona era stata arrestata il precedente 26 febbraio insieme con «altri 24 comunisti» e deferita al Tribunale Speciale con l’accusa di aver ricostituito segretamente il Partito comunista nella provincia.

Quella che segue è la nota informativa proveniente da Novi Ligure; testo e punteggiatura riproducono l’originale:

La persona di cui all’oggetto nata a Tortona il 12/7/1900, risiede a Novi Ligure, via Girardengo n. 7 dal 2/12/1929, proveniente da Tortona. Corrisponde a seguenti connotati: Statura leggermente alta, corporatura media, capelli castani scuri, viso lungo, fronte alta, sopraciglia folte castane scure, occhi castani, orecchie medie, baffi rasi, bocca media, barba rasa, espressione fisionomica comune, abbigliamento abituale buono, segni particolari N.N.

Questa invece è la descrizione fisica fornita dalla tenenza di Tortona. Anche in questo caso il testo che segue riproduce fedelmente l’originale:

1 Una parte delle questioni trattate qui hanno più ampi riscontri nei saggi raccolti in CESARE BERMANI (a cura di), Introduzione alla storia orale; Vol. I: Storia, conservazione delle fonti e problemi di metodo; Vol. II: Esperienze di ricerca, Odradek, Roma 1999-2001.
2 LEGIONE TERRITORIALE DEI CARABINIERI REALI DI ALESSANDRIA, COMPAGNIA DI NOVI LIGURE, Alla Regia Questura di Alessandria, Prot. 42/2275 Gab., Riservato, Novi Ligure, 9 aprile 1931, anno IX; risposta al Foglio 2776 del 27 marzo u/s; IDEM , TENENZA DI TORTONA, Prot. 2/272, Riservato, Tortona, 9 aprile 1931, anno IX; risposta al foglio 2776 del 27 marzo 1931-IX. I dati forniti dovevano servire alla compilazione della Scheda biografica depositata presso la Prefettura di Alessandria e registrata in data 29 maggio 1931, sulla quale sarebbero poi stati registrati tutti gli aggiornamenti. L’ultima notazione presente è la seguente: «Alessandria 02195, 20.3.1944, È stato arrestato il 15 c.m. in Tortona quale ingaggiatore di giovani per bande ribelli». Tutti i documenti citati, in Archivio Bruno Cartosio (ABC).

3 Si veda: «Ricostituzione segreta del Partito Comunista nella Provincia di Alessandria», Prot. N. 4140 Gab., 25 marzo 1931, dattiloscritto, indirizzato al Procuratore generale del Re presso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato dal Questore di Alessandria (ABC).
Sul conto dell’individuo in oggetto, si è potuto rilevare quanto segue: CONNOTATI: Statura m. 1,74; corporatura robusta; capelli castani lisci; viso tondo; fronte regolare; sopraciglia folte; occhi castani; orecchie regolari; baffi rasi; bocca regolare; barba rasa; espressione fisionomica normale; abbigliamento abituale; veste da operaio; segni speciali: piccolo neo alla guancia destra.

Come si vede le differenze, pur presenti (viso lungo/viso tondo; neo), non sono macroscopiche. La seconda parte delle due informative riguarda invece la figura morale dell’indagato. Quella di Novi Ligure:

In Novi Ligure gode buona fama e risulta di carattere taciturno, di discreta condizione; di cultura elementare. Ha frequentato le scuole elementari e non ha titoli accademici. È assiduo al lavoro e trae da questo (frenatore delle FF.SS.) i mezzi di sostentamento. Non risulta frequenti compagnie. La famiglia risulta comporsi: dello stesso, della moglie e di un figlio in giovanissima età. Verso di essa risulta comportarsi da buon padre e da buon marito.

Né in Novi né in Tortona, suo paese di nascita, si conosce a quale partito sia inscritto o fosse inscritto in precedenza e quale influenza abbia od avesse in esso, né si conosce a quali associazioni sovversive abbia appartenuto od appartenga.
Pure non risulta abbia collaborato o collabori a giornali sovversivi; si tenga in corrispondenza epistolare con correligionari di altri paesi: riceva o spedisca giornali o stampe sovversive, né che faccia propaganda. Non è ritenuto capace di tenere conferenze a causa della sua limitata coltura, né risulta, in Novi, ne abbia tenute. Non risulta abbia preso parte a manifestazioni di partito né che abbia coperto cariche politiche od amministrative. Verso le Autorità locali serba contegno rispettoso. Non ha precedenti penali, né risulta sia stato proposto pel munito [monito; nda] od assegnato al domicilio coatto, od abbia dimorato all’estero.
Ha soddisfatto gli obblighi di leva, quale assegnato alla Iˆ categoria, ed ammesso a ferma riducibile.
Torniamo all’informativa di Tortona:
Fama che gode: poco buona-carattere subdolo-educazione modesta-coltura elementare-studi compiuti: scuole elementari-titoli accademici: nessuno-è assiduo al lavoro-trae il mezzo di sostentamento dal lavoro quale ferroviere-frequenta compagnie operaie-Stato di famiglia: moglie Goggi Iolanda, non hanno prole-in famiglia si conporta [sic] bene-È inscritto al partito comunista e così pure in precedenza; ignorasi quale influenza possa avere nel partito stesso.
Ignorasi pure a quali associazion
i sovversive abbia appartenuto e le cariche coperte-non ha collaborato in giornali sovversivi-È in corrispondenza epostolare [sic] con correligionari di altri paesi-non risulta che riceva o spedisca giornali sovversivi-fà propaganda fra persone di classe operaia, ma quasi all’inizio della stessa venne arrestato-Non sa tenere conferenze, è capace di propaganda-Non ha preso parte a manifestazioni di partito-non ha coperto cariche politiche od amministrative-in questo Ufficio non ha precedenti o pendenze penali. Verso le Autorità è mellifluo e sottomesso apparentemente; in effetto però si ribella-non fu proposto per il monito o l’assegnazione al domicilio coatto-Non ha dimorato all’estero ed ha soddisfatto gli obblighi di leva, quale soldato di Iˆ categoria, ammesso a ferma ridotta.
Si allega il certificato di nascita.

Se guardiamo con un po’ di attenzione questi due documenti, dello stesso giorno, mese e anno, vediamo che ci danno due ritratti – a parte i connotati fisici – senza dubbio diversi. In uno si dice che la persona si è sempre comportata bene, non si interessa di politica e ha un figlio; nell’altro si dice che è subdola e melliflua, perché fa finta di comportarsi bene ma è iscritta ed è sempre stata iscritta al Partito comunista. In effetti, Paolo Cartosio, questo il suo nome, era iscritto dalla fondazione ed è stato arrestato appunto perché le indagini hanno ricostruito la trama dei rapporti grazie ai quali la “ricostituzione” del Partito è avvenuta in provincia tra la fine del 1929 e l’inizio del 1930. Dopo l’arresto, farà nove mesi di carcere a Regina Coeli, a Roma, nello stesso 1931; verrà assolto dal Tribunale speciale; dopo di che tornerà a casa, dove continuerà l’attività clandestina fino a quando sarà di nuovo arrestato nel 1944; evaderà poi dal carcere di Pavia, andrà a fare il partigiano e continuerà la militanza comunista dopo la guerra.
Dunque, le fonti scritte. Nel caso delle fonti di polizia, Mimmo Franzinelli ha scritto che «sono un materiale difficile e senz’altro non affidabile», aggiungendo però, in un opportuno elogio del dubbio metodologico:
Forse che le fonti del movimento [anarchico] sono automaticamente affidabili?. In ogni caso, quelle di polizia sono fonti che lo storico deve utilizzare, ma che vanno tenute a distanza, interpretate, padroneggiate, […] mai accettate acriticamente4.
È inutile dilungarsi sulla necessità di tenere conto sia delle possibili deformazioni derivanti dall’angolatura della fonte, di parte quant’altre mai (e non solo quando le autorità di polizia sono quelle fasciste, naturalmente), sia della possibilità che essa sia lacunosa o comunque imprecisa (soprattutto se riguarda persone che praticano attività clandestine). Il problema si pone anche quando si lavora sui giornali, oppure sui diari e sulle memorie scritte o le autobiografie. Il fatto è che bisogna sempre avere un atteggiamento di sospetto – se mi si passa il termine – nei confronti di tutte le fonti, scritte o orali che siano. La fonte va sempre sottoposta a verifica, quali che siano l’atteggiamento mentale e la simpatia o antipatia personale o di parte del ricercatore. Queste sono regole elementari da cui non si può derogare.
Torniamo per un attimo alla persona di cui trattano le informative citate sopra. Come altri antifascisti noti per essere tali, veniva regolarmente tenuto d’occhio e su di lui venivano inviate alla questura di Alessandria informazioni sia a cadenze regolari, nella forma delle usuali brevi note informative sul suo comportamento, sia tramite telegrammi riguardanti i suoi spostamenti (infatti, espulso dalle ferrovie, faceva il commesso viaggiatore per una ditta che produceva contatori per biliardi).

Tutte le informative che precedono il secondo arresto, avvenuto il 15 marzo 1944, ripetono che il soggetto «conduce vita ritirata» e che non c’è «nulla di particolare da segnalare»5. Siccome a quel punto ha 44 anni, Paolo Cartosio non è andato in montagna ma lavora nel tessuto clandestino e recluta giovani per le formazioni partigiane. Viene individuato. Agenti in borghese gli preparano un’imboscata, fingendo di essere studenti che vogliono salire in montagna, viene così colto in flagrante e arrestato. L’ultima informativa del 26 febbraio, pochi giorni prima dell’arresto, dice:
In questi ultimi tempi ha tenuto buona condotta in genere, non si è affatto occupato di politica, e conduce una vita piuttosto ritirata, occupandosi esclusivamente dei suoi affari di commercio
.
Se lavorassimo soltanto sulle fonti di polizia precedenti l’arresto avremmo la certezza che l’individuo ha messo la testa a posto, dopo averla scampata nel 1931. Oppure, avendo a disposizione anche i “pezzi” della storia successiva, arriveremmo a un apparente paradosso: ma come, non teneva buona condotta?, e poi fa il reclutatore di partigiani? Il problema, naturalmente, sta nelle caratteristiche della fonte, non nella vicenda della persona. La verifica, dunque, non deve fermarsi al dato apparentemente oggettivo, né al dato “puntuale”, ma deve allargarsi alle circostanze: al prima, al dopo, al contesto e, ripeto, all’analisi della natura stessa della fonte o delle fonti che si hanno a disposizione.
A volte, una delle prime possibilità di verifica viene proprio dal ricorso alle fonti orali. Magari non riguardo a date o nomi – anche se spesso sui grandi fatti personali le persone conservano ricordi molto precisi anche su quel terreno – ma sugli elementi portanti, lo svolgimento e il contesto delle proprie vicende individuali. In ogni caso, su grandi fatti come quelli del fascismo, dell’antifascismo, della guerra e della Resistenza l’incrocio dello “scritto” con l’“orale” è stato e rimane pressoché indispensabile. Non solo per l’opportunità di accedere ai protagonisti dei fatti. Ma anche per l’incrocio delle prospettive e delle informazioni fattuali e per l’accesso al racconto di esperienze personali e collettive, altrimenti irrecuperabili. Per chi ha lavorato su quei temi il trattamento e il confronto tra le fonti sono stati una palestra fondamentale. Rispetto ai racconti, l’aspetto più importante può non essere quello strettamente fattuale – facendo finta per un attimo che lo storico sia colui che si occupa soltanto di mettere in ordine i “fatti” – ma quello narrativo e strutturale: in che modo una persona racconta la propria esperienza?; quali parole usa?; è reticente, millantatore?; il suo racconto è giustificatorio, risentito, agiografico o di rifiuto?; quanto e come la ricostruzione di cose del passato è condizionata dal presente o comunque dal percorso personale tra l’allora e l’ora?; in che modo la persona struttura il suo racconto e quali nessi istituisce tra decisioni, comportamenti e conseguenze? tra il prima, il durante, il dopo? tra l’intimo e il pubblico, tra il personale e il collettivo?

Ci si pensi un attimo, però: se è vero, com’è vero, che fare storia non vuole dire semplicemente mettere in ordine i fatti – o come voleva Leopold von Ranke, «dire come stanno le cose» – allora queste sono domande che ci si deve porre anche quando si lavora su testi scritti e non solo sulle testimonianze orali. L’analisi critica e l’interpretazione della fonte sono intrinseche al mestiere dello storico tout court.

Intrinseca al mestiere è anche quella particolare cautela che consiste nel non dimenticare di esercitare sul passato le consapevolezze che si esercitano nei confronti del presente. È una ovvietà, sulla quale ci si può soffermare brevemente. Nel corso di una ricerca storica, in archivio o in biblioteca, mettiamo mano ai giornali e troviamo su un certo giornale una notizia, un articolo in cui si riportano dei fatti. Possiamo forse prenderli a scatola chiusa? Dobbiamo essere cauti. Anche in quel caso dobbiamo verificare e confrontare. Se non siamo in grado di farlo, quello che possiamo fare sarà, da una parte, usare magari alcuni elementi fattuali, eventualmente segnala
ndo l’impossibilità della verifica o altri possibili dubbi sulla fonte, e dall’altra, soprattutto se la nostra ricerca fosse indirizzata all’analisi della forma giornalistica, cogliere e discutere l’angolazione, l’ottica dell’articolo e del giornale in cui si trova. Si provi a farlo deliberatamente – da ricercatori – nel quotidiano. Si prendano cinque giornali che includano la stessa notizia e si analizzi in che modo essa viene trattata. A volte, quando si lavora su un giornale di cent’anni fa (o con una persona di ottant’anni), magari con poche altre fonti a disposizione, ci si dimentica che i punti di vista, i partiti, gli interessi e i pregiudizi sono sempre esistiti. Una cosa scritta (o detta) non diventa verità semplicemente perché è vecchia. Anzi, sappiamo che ci sono “verità” che diventano tali solamente attraverso la ripetizione. E quando le “verità” diventano senso comune, cioè verità senza virgolette, il rischio è che non vengano più messe in discussione, mentre invece, ovviamente, il ricercatore deve metterle in discussione e magari esaminare i meccanismi grazie ai quali in certi casi si è affermata una indebita attendibilità.
Ancora un’osservazione sull’utilizzo delle fonti scritte. Io mi occupo di storia degli Stati Uniti e farò in questo caso alcuni esempi, di grande evidenza e quindi di facile comprensione, relativi alla storia di quel paese. Nel 1919, uno dei maggiori storici statunitensi del periodo, Ulrich B. Phillips, pubblica un libro intitolato American Negro Slavery (“La schiavitù nera americana”). Phillips è uno storico accademico. Per quasi tutto l’Ottocento buona parte degli storici negli Stati Uniti non hanno avuto una formazione accademica, né hanno insegnato nelle università. È soltanto a partire dagli ultimi decenni del secolo che le università statunitensi sono state ridisegnate sul modello delle università tedesche, in particolare per quanto riguarda le scienze sociali. Ulrich Phillips, nato nello stato della Georgia, nel “Vecchio Sud”, è il primo a scrivere un libro accademico sulla storia della schiavitù degli Stati Uniti. Ha un limite, che passa inosservato nel contesto ideologico del dominante darwinismo sociale del suo tempo: è razzista. La sua è una storia scritta dal punto di vista del razzismo paternalista. Il cardine ideologico della sua interpretazione è che la schiavitù sia stata una “scuola”, nella quale veniva accudito l’infantilismo cronico degli schiavi neri. Ma non li si accompagnava verso la “maggiore età” e la civiltà – come l’altro storico John R. Commons, contemporaneo di Phillips, diceva che bisognava fare con gli immigrati poveri e ignoranti9 – perché in realtà nel caso dei neri non era previsto che il tragitto arrivasse mai alla fine.

Il libro di Phillips è ancora importante per alcune delle fonti che cita, ma soprattutto in quanto documento di un’epoca. È stato scritto senza mai citare una sola fonte il cui autore non avesse la pelle rosea. Tra la fine del Settecento e i primi del Novecento erano state pubblicate almeno 200 autobiografie di ex schiavi, almeno un centinaio delle quali erano in circolazione all’inizio del Novecento, quando Phillips scrive. Phillips non ne utilizza neppure una. Maneggia tutte le sue fonti da storico capace, che conosce il mestiere; però sono tutte “bianche”: i registri delle piantagioni, i diari e le annotazioni dei padroni delle piantagioni, i resoconti di viaggio dei visitatori del Sud schiavista, gli archivi delle parrocchie e delle contee, i resoconti giornalistici, i pezzi scientifici o pseudo-scientifici sulle riviste e così via. Ma non c’è una sola fonte afroamericana, né – bisogna aggiungere – vengono tematizzati e discussi i criteri della “scelta” o spiegata l’assenza di quelle altre fonti. Il pregiudizio ideologico si rovescia in una grave lacuna metodologica....

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Tonguessy
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Per chi si ricorda avevo avuto uno spiacevole scontro con mincuo proprio su questi temi. Lui era sicurissimo che tutta la storiografia dovesse basarsi sui documenti scritti, mentre molti storici sostengono che anche le testimonianze orali hanno importanza. Si tratta di collocare la Storia all'interno della cultura dominante (rigorosamente scritta così come desiderano i dominatori) oppure al suo esterno, coinvolgendo nell'operazione anche gli analfabeti (ad esempio). La questione può essere vista come uno scontro tra cultura scritta e cultura orale, che spesso sono in contrasto per modi e finalità. La cultura orale è irrimediabilmente analogica, quella scritta spezza l'analogia per ridurla in canoni assimilabili universalmente (questa è la presunzione). Nella Storia questa dicotomia assume l'aspetto dell'indagine statistica (simbologia sociale) contro la varietà unica della testimonianza diretta, non mediata e ricca di dettagli e particolari. E' un bel dibattito, se non si prende una posizione assoluta e perentoria.


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Georgejefferson
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Potenzialmente io le abbraccierei entrambe con i dovuti distinguo da caso a caso,penso che sia sbagliato prendere posizione assoluta solo da una parte (non mi riferisco a te) e alimentare un feticcio creato in conflitto dicotomico.


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MarioG
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Potenzialmente io le abbraccierei entrambe con i dovuti distinguo da caso a caso,penso che sia sbagliato prendere posizione assoluta solo da una parte (non mi riferisco a te) e alimentare un feticcio creato in conflitto dicotomico.

Non capisco il senso della diatriba, visto che, aspettando un sufficiente lasso di tempo, tutte le fonti storiche sono automaticamnete fonti scritte.


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Tonguessy
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Non capisco il senso della diatriba, visto che, aspettando un sufficiente lasso di tempo, tutte le fonti storiche sono automaticamnete fonti scritte.

Si discuteva sull'attendibilità delle fonti su cui basare il dibattito storico, mica della trascrizione dei risultati di quel dibattito. C'è una bella differenza, se noti.


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MarioG
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Non capisco il senso della diatriba, visto che, aspettando un sufficiente lasso di tempo, tutte le fonti storiche sono automaticamnete fonti scritte.

Si discuteva sull'attendibilità delle fonti su cui basare il dibattito storico, mica della trascrizione dei risultati di quel dibattito. C'è una bella differenza, se noti.

Ma tutte le fonti sono trascrizioni


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Tonguessy
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Ma tutte le fonti sono trascrizioni

Stai tentando di convincermi che il ricordo della tua prima (o ultima) esperienza sessuale è una trascrizione?


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Rosanna
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A questo punto del dibattito, urge un approfondimento su un importante rinnovamento della storiografia del novecento rappresentato dalle tesi di importanti storici appartenenti alla Scuola "Les Annales", quali Marc Bloch, Lucien Febvre, Fernand Braudel e poi Jacques Le Goff, che darebbe più ragione a Tonguessy e meno a MarioG (mi dispiace ...):

La scuola delle Annales Un rinnovamento storiografico del Novecento

La metodologia di ricerca delle Annales concepisce la storia non come storia del passato, bensì come scelta, ed ogni scelta presuppone un’ipotesi ed una linea di indagine nel tempo, all’interno della quale bandire l’errore metafisico della “causa unica”; empasse che tuttavia, a discapito di qualsiasi previsione, non fa che riprodursi all’infinito, individuando non più “la causa”, ma “le cause”, ipoteticamente enunciate, di un sistema problematico di eventi da verificare o falsificare. Per questo la storia è soprattutto “storia degli uomini nel tempo”. Ma gli uomini che cosa sono? Ed il tempo, soprattutto, che cosa è?

La scuola della Annales - 1930-1968, una svolta della storiografia - La rinascita delle fonti e la decadenza del soggetto - Un sistema aperto e una storiografia eterodiretta dallo storico - Il tempo storico e la “lunga durata” - Un impianto possente e contradditorio - E il tempo che cosa è?

La rinascita delle fonti e la decadenza del soggetto

Questa necessità finisce per indirizzare Bloch e Febvre verso un nuovo ruolo dello storico che si assume come compito l’analisi del dato concreto, la ricerca del quid strutturale, l’interpretazione delle fonti le quali però, senza quest’intervento attivo e quasi rabdomantico, rimarrebbero mute.

Scriveva infatti Bloch nel 1929: “i documenti restano monotoni ed esangui fino al momento in cui il colpo di bacchetta dell’intuizione storica rende loro l’anima”. Al di là della considerazione di soppiatto che l’argomento dell’intuizione storica è di matrice idealistica, proprio una delle tendenze a cui Les Annales volevano di fatto contrapporsi; esso tuttavia possiede, di vitale e nuovo, questo suo innestarsi indefesso sul lavorio filologico documentario.

I documenti che lo storico deve interrogare sono, in effetti, svariatissimi: scritti teologici, medici, giuridici, dissertazioni politiche, atti amministrativi, reperti del folklore, dipinti, incisioni, cronache, chansons de geste. Lo storico prende le fonti, le passa al microscopio, le esamina, rende loro una ragione organica di vasto respiro; una ragione, un ordine razionale che oserei chiamare cartesiano e che cambia semplicemente nome: interpretazione. E’ questa un’idea della storia come percorso articolato da ricostruire in tutta la sua complessità, impostazione di pensiero la cui base culturale e politica è stata senza dubbio la vittoria democratica sul nazifascismo, che ha per ciò attraversato l’intero l’arco della cultura democratica europea dell’inizio del Novecento.

Infatti, come ricorda Ludovico Gatto, “gli avvenimenti legati ai due conflitti mondiali hanno contribuito a sviluppare il cammino e l’evoluzione del pensiero storico europeo” . Il mestiere di storico, insomma, comporta la dimensione dell’impegno in prima persona nell’intenzione votiva di studiare il passato essendo totalmente coinvolti nel presente, in quella circolarità ermeneutica di presente e passato che è una delle tensioni più forti di chi avverte fortemente il richiamo dell’identità storica; e lo è, aggiungiamo, fin dai tempi, appunto, del romanticismo.

Paradosso? Contraddizione? Andiamo avanti. Lo storico, specie secondo Bloch, deve tenere ben presente anche il problema epistemologico della legittimità della storia . Egli sorregge sulle spalle responsabilità morali e civiche nei confronti del percorso della civilizzazione (un percorso lineare? Circolare? Ricorsivo?), e la testimonianza storica stessa ha il ruolo fondamentale del mantenimento della memoria, prerogativa di ogni futura civilizzazione; per cui se è vero da una parte che “la storia non dà giudizi morali”, come afferma Bloch, dall’altra è il suo stesso ruolo nel mondo ad essere dotato di un’intrinseca eticità: la storia non è la scienza del passato, bensì, come scrive Febvre, “è una delle scienze umane” in quanto insieme agli stati, alle nazioni, alle tecniche, alle leggi, alle istituzioni “il suo oggetto è l’Uomo; o, se si preferisce, gli Uomini” .

Esistono vari tipi di fonti storiche. Possiamo distinguere le fonti in base alla categoria di appartenenza in:

fonti scritte;

fonti orali;

fonti mute;

fonti iconografiche.

Le fonti orali sono rappresentate da tutto ciò che è giunto fino a noi e che ci è stato trasmesso oralmente, cioè ci è stato trasmesso da una persona all’altra a voce. Sono fonti orali i racconti, le leggende, i canti, ecc...

Le fonti mute sono costituite da oggetti o opere realizzate dall'uomo come edifici, strade, utensili, gioielli, monete, ma anche da resti di animali e di vegetali, scheletri e così via.

Esse ci parlano dell'epoca a cui risalgono, ci permettono di conoscerla meglio.

Le fonti iconografiche sono fonti visive come graffiti, affreschi, dipinti ed oggetti sui quali compaiono delle immagini.

Nel corso dei secoli la fonte orale ha vissuto periodi di maggiore o minore fortuna. Fino all'avvento di tecnologie in grado di riportarci la viva voce di testimoni di grandi eventi o fatti di vita quotidiana, la fonte orale ha sempre dovuto appoggiarsi ad una trascrizione. La scrittura faceva, quindi, da mediazione, pių o meno fedele, tra il testimone e i posteri. E' il caso, ad esempio, dei verbali dei processi per stregoneria o dei manuali medioevali per i confessori: frasi semplici in lingue volgari venivano tradotte in latino, secondo formulari prestabiliti, alterandone perciō profondamente il senso e il contenuto originale.

Tra le fonti orali oggetto di trascrizione (che devono essere sottoposte a una verifica e che assumono sempre la caratteristica di fonti secondarie) possiamo includere leggende, proverbi, notizie tramandate di generazione in generazione, tradizioni, canzoni popolari.

Con l'utilizzo di strumenti di registrazione vocale la fonte orale ha riacquistato una sua dignitā di fonte diretta: ad esempio le trasmissioni radiofoniche e televisive corrispondono, per valore storiografico, a giornali, quotidiani e riviste; oppure la registrazione delle voci dei piloti conservata nella scatola nera di un aereo diventa a volte l'unica fonte diretta sulla dinamica di un incidente. Alle fonti audiovisive appartengono quelle fonti che altrove vengono definite figurate e con questi termini si fa riferimento alle carte geografiche e topografiche, alle insegne araldiche, alle monete, ai quadri, ai film.

(mi dispiace MarioG, ma i prof spesso rompono gli zenzeri, le prof al femminile poi, ancora di più, se in aggiunta sono femministe, grilline, sessantottine, di sinistra, pentastellate, beh allora ... è veramente un massacro)


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Anonymous
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La ricerca storiografica orale investe la presunta neutralità quindi attendibilità delle fonti, tanto come la ricerca che si basa su fonti scritte. Questa neutralità non esiste, né mai è esistita.
E' una questione fondamentale della metodologia storiografica, discuterne significa aprire una diatriba di mesi e decine di pagine. Ne avete voglia?


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Rosanna
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La ricerca storiografica orale investe la presunta neutralità quindi attendibilità delle fonti, tanto come la ricerca che si basa su fonti scritte. Questa neutralità non esiste, né mai è esistita.
E' una questione fondamentale della metodologia storiografica, discuterne significa aprire una diatriba di mesi e decine di pagine. Ne avete voglia?

Chi ha parlato di neutralità?

Io ho parlato di INTERPRETAZIONE da parte dello storico e del fatto che l'interpretazione è sempre quella del PRESENTE, quindi la storia è sempre STORIA DEL PRESENTE, da Marc Bloch, Apologia della storia (o Mestiere dello storico).


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