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Teppisti sopra, teppisti sotto


Tao
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E chi dice che a questa società mancano i «valori»? Il presidente Fini ci ha appena dato la scala dei valori vigenti nel nuovo regime dell’ordine-e-sicurezza: bruciare bandiere israeliane è più grave che massacrare un passante per strada, come hanno fatto gli skinheads veronesi giusto perchè gli girava così. L’amico Siro Mazza commenta che così Fini torna alle origini: meglio un assassinio che un «sacrilegio».

Anche se non c’entrava niente nel discorso, Fini ha voluto infilarci la sua personale condanna per quelle bandiere bruciate: vuole mostrare la sua sottomissione, deve continuamente sdebitarsi con quelli che l’hanno messo lì, assicurarli che lui pensa continuamente a loro, che farà tutto per loro.

Per sua fortuna, la sinistra s’ingegna a superarlo in malafede e stupidità. Ha interpretato il pestaggio degli skin veronesi come «un’ondata neofascista», risultato del «governo delle destre», che farebbe sentire i teppisti sicuri dell’impunità.

Nel bla bla mediatico, s’è sentito di tutto. Tranne una diagnosi che sia anche un inizio di autocrtitica. I massacratori di Verona, gli scolari di Viterbo che incendiano i capelli al compagno povero e campagnolo, lo riprendono con il telefonino e diffondono l’impresa su Internet, la dodicenne che paga il bullo di classe perchè bastoni un’altra dodicenne rivale in «amore», l’innamorato che accoltella l’ex fidanzata, le centinaia che a Torino hanno aggredito i vigili urbani in pieno centro per difendere uno di loro che veniva multato, sono il frutto di 40 anni di «educazione» scolastica sempre più facile e perciò più vacua e vuota, e che infine ha rinunciato ad insegnare anche le semplici buone maniere; di una «pedagogia» anti-repressiva che ridicolizza la disciplina ed ogni autorità.

In questo modo, la società ha smesso di civilizzare i barbari, ossia i neonati che nascevano dalle mamme italiane; ora i barbari hanno trent’anni e agiscono, semplicemente da barbari, quali sono rimasti: senza educazione nè istruzione, senza cultura e quasi senza parola per esprimersi, obbediscono solo ai loro impulsi momentanei, che sentono imperiosamente invincibili, e a cui danno sfogo identificandoli con «la felicità», tanto più «trasgressiva».

Ne ho già parlato in «Selvaggi col telefonino», non mi dilungo. Ora che la quantità e demenziale ferocia di queste manifestazioni di barbarie giovanile diventa fatto comune, e supera ogni previsione e (per qualche giorno) allarma, si vorrebbe vedere qualche ammissione d’errore, che invece manca. Perchè in quella quarantennale «pedagogia» della stupidità violenta c’entrano tutti: il progressismo idiota dell’educazione post-sessantottino («Vietato vietare») divenuto luogo comune, come le tv di Berlusconi, che scelgono i comportamenti più bassi e meschini possibili in esseri umani come i più degni di «rappresentazione», siano nel Grande Fratello o nelle porcherie alla De Filippi; esibiscono litigi, urla e panni sporchi ripugnanti sventolati in pubblico, e così li promuovono e propongono a modello. Subito imitate, ovviamente, dalla Rai di stato.

C’entra la società-spettacolo, il fanatismo calcistico come passione nazionale totalizzante, che ne esclude ogni altra, ed alimentato da miliardi e affari, ed epicizzato dalle tv e dai giornali.

C’entrano, nella formazione dei barbari, il sociologismo «avanzato» giustificazionista, la psicologia di massa trasgressiva e da salotto progressista, la pubblicità puttanesca, la Chiesa di manica larga che ha ridotto il suo messaggio a «dottrina sociale» senza motivazioni superiori (di cui si vergogna), che mette tra parentesi l’evocazione del «castigo eterno» (ecco la sola espressione-tabù, quella che non si può pronunciare in pubblico).

C’entra, nelle ultime violenze, di sicuro la cocaina, la droga dell’aggressività, venduta in ogni discoteca (e non si dica che le discoteche vanno chiuse).

C’entrano i genitori che non negano nulla e insegnano come apprezzare uno dalle «griffes» che indossa; c’entra la glorificazione massiccia, corale, gridata da tutti i mezzi, dell’arricchimento ingiusto, della furbizia aggressiva, della maleducazione provocatoria.

C’entra una magistratura che commina arresti domiciliari per quadruplice omicidio colposo: chi altri svaluta l’omicidio come veniale? Il 70 per cento degli omicidi in Italia restano direttamente impuniti perchè non si trova (o non si cerca) il colpevole.

C’entrano le burocrazie inadempienti, eccome.

Gli stessi massacratori di Verona usciranno in un anno e mezzo, affidati a case-accoglienza o come diavolo le chiamano. Lo stesso fatto che in Italia vige un solo tipo di pena – la detenzione – per qualunque reato gravissimo o amministrativo (come l’evasione fiscale o il falso in bilancio), dovrebbe indurre a qualche riflessione autocritica: i giovani barbari richiedono pene che siano rieducative; che so, la condanna a separare la spazzatura in una discarica (condanna comminata al comune cittadino dai municipi); ma no, non si vuole. Si è voluto far sparire dalla pena giudiziaria ogni idea di «contrappasso», di analogia-proporzione con il delitto.

L’espressione «la pena non deve essere afflittiva» vuol dire, in fondo, solo questo: che non deve ferire la coscienza del reo, per esempio punendo l’arroganza con l’umiliazione, la violenza inflitta con la violenza subìta. Perchè ciò, s’intende, è troppo «paleo-cristiano».

Probabilmente è questo il punto. «I giovani non hanno valori», sento dire ai commentatori radiofonici – come se loro li avessero, i valori.

I valori non valgono nulla, quando tutto il destino di un uomo è rinchiuso nell’aldiquà. Se non c’è nulla dopo, i soli «valori» che contano sono il godere subito finchè si può, arraffare quel che si riesce.

In una società patologicamente chiusa ad una speranza superiore (o a un superiore timore), dove ciascuno è chiamato incessantemente ad «affermarsi» ed essere povero è diventata la sola ragione di vergognarsi («Non ho avuto successo»), nessuna polizia basterà a tenere a freno i teppisti pullulanti.

E’ significativo già il fatto che in una simile società – dove è vietato evocare l’inferno, la dannazione dell’anima, e nessuno indirizza alla «sola cosa che conta» – si parli, come surrogato di tutto questo, di instillare «valori».

La parola «valori» ha la sua origine esatta nella Borsa: la Borsa-valori. Dove i valori sono le quotazioni azionarie, che variano secondo la domanda. Per la gentilezza, lo spirito di sacrificio, la decenza e l’onestà, la richiesta è scarsa: non è da stupire se la loro quotazione è bassa e nessuno li compra. Tali valori, diciamolo, non servono a nulla.

E chi ce lo dimostra? Quelli stessi che pretendono, dall’alto del potere, di imporci i «valori». Vincenzo Visco ha giustificato la sua ultima mascalzonata (la pubblicazione degli elenchi dei redditi) dicendo che aveva consultato, prima, il Garante; cosa smentita dal Garante medesimo. Ecco un comportamento da teppista, arrogante e poi vile. Del resto, il moralizzatore Visco non è proprietario di villa abusiva, e condonata?

E Fini, colui che pontifica dal seggio di terza carica dello stato, non è il ragazzo-padre, che ha ingravidato una velina semi-nota? Che senso volete che abbiano le sue lezioni di morale, siano sulle bandiere da non bruciare o sui teppismi omicidi.

I giovani barbari capiscono da chi vengono quelle lezioni e quelle prediche. E ne traggono la conseguenza: teppisti sopra, e noi teppisti sotto.

Spero così di rispondere a quei lettori che mi hanno rimproverato di aver criticato il nuovo governo di «destra» con tanto anticipo. Ma quale «destra», scusate: le idee di Fini su Israele sono quelle stesse del comunista Napolitan
o, l’uno e l’altro le hanno aggiornate per adeguarle al potere vigente. Berlusconi spende denaro pubblico con la stessa irresponsabilità dei governi «di sinistra», per perpetuare caste. E tutti si apprestano alle abboffate palazzinare ed edilizie, esattamente come gli altri (chi ha visto l’ultimo «Reporter» sa cosa intendo: Geronzi e Ligresti sono sempre lì, sia la giunta «di destra» o «di sinistra»).

Non ci sono più nemmeno le ideologie come surrogato della morale o della religione: se ne sono liberati perchè erano d’impaccio, obbligavano a qualche coerenza. E perchè questi o quelli dovrebbero dedicare un solo attimo di fatica al bene comune, alla spesa oculata, all’onestà nel servizio pubblico? In base a quali «valori»?

Nessuno che cominci un esame di coscienza. Nessuno che dica: è anche colpa nostra, cambiamo le cose, perchè i bambini ci guardano.

Teppisti sopra e teppisti sotto.

Maurizio Blondet
Fonte:/www.effedieffe.com
Link: http://www.effedieffe.com/content/view/3091/197/
6.05.08


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Tao
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Un gruppo di neonazistoidi pesta un ragazzo a sangue e lo uccide. Accade nella fatal Verona.
Parole d'ordine nel centrodestra, in queste ore: proiettare, generalizzare, usare il bilancino e anche servirsi abbondantemente del sempre infallibile scudo difensivo dell'antisemitismo che qui non c'entra una ceppa ma tant'è. Tanta antispasmina colica, pure, per curare il mal di pancia che ogni tanto provoca dolorosi movimenti peristaltici e anche vere e proprie emissioni di gas.
Cosa tocca sentire in questa povera Italia sempre più emmerdé.

Il sindaco Tosi dice: "Mi sembra chiaro che in questa storia non c’entra niente la politica. Non è un’aggressione contro la sinistra, è un gruppo di deficienti, punto e basta".
A Roma risponde con uno squillo Alemanno, che dice: "ci sono frange estremiste di destra e di sinistra che sono più espressione di emarginazione urbana che di vera politica. E’ evidente che vanno condannate tutte le forme di estremismo ideologico e ogni prassi di violenza da qualunque parte provenga."
Qui non si sta parlando in generale di totalitarismi e tantomeno di sinistra ma di un episodio specifico di neofascismo, anzi neonazismo. Di gente che ama le croci celtiche come lui.

Il pararsi di Fini dietro all'antisemisionismo è comunque l'apoteosi.
Speriamo che le agenzie abbiano frainteso perchè altrimenti ci sarebbe veramente da piangere.
Il neo presidente della Camera avrebbe fatto (uso il condizionale per carità di patria) durante la registrazione di "Porta a Porta" la seguente affermazione:
«L'aggressione dei naziskin veronesi e la violenza dei centri sociali torinesi sono due fenomeni che non possono essere paragonati.» A giudizio del presidente della Camera, in sostanza, se dietro l'aggressione di Verona non c'è alcun «riferimento ideologico», a Torino le frange della sinistra radicale «cercano in qualche modo di giustificare con la politica antisionista», un autentico antisemitismo, veri e propri «pregiudizi di tipo politico-religioso». Su questo, sottolinea Fini, «c'è un consenso non dico di massa, ma una posizione politicamente considerata legittima da una parte della sinistra radicale». (tratto dal "Corriere della Sera")
Dopo qualche ora, viste le reazioni di molti esponenti politici alle sue parole, Fini replica:
«I naziskin di Verona sono dei pazzi criminali assassini - scandisce Fini - la violenza che c'è in alcune frange della società nei confronti dello Stato di Israele è una violenza di tipo politico ideologico, non perché i naziskin non avessero una distorta ideologia nazista nella testa, ma i due fenomeni non sono paragonabili tra di loro».
E' una mia impressione, o ogni tanto, quando si tocca qualche colletto scoperto, Gianfranco scompare e riappare Gianfascio?

Andiamolo a a dire alla mamma che tra qualche giorno vedrà seppellire suo figlio morto a causa dei calci presi in testa, che una qualunque strafottutissima bandiera del cazzo vale più della vita di un essere umano. Di suo figlio.

A proposito. Risuona finora (voglio sperare che si tratti di semplice ritardo nei tempi di reazione) il silenzio assordante delle comunità ebraiche, altrimenti solerti a denunciare la minima scalfittura su una lapide, su questo episodio di violenza proveniente da ambienti di estrema destra.
Paura di offendere qualcuno tra i nuovi volonterosi alleati di Israele?
Uno degli assassini di Nicola si era rifiutato, durante una gita scolastica, di entrare in una sinagoga ma stranamente i fratelli maggiori non hanno niente da dire su questo rigurgito di violenza neonazista, sui "bravi ragazzi" fuggiti all'estero (come i bravi ragazzi del Circeo, ricordate?), se non lamentarsi come sempre dell'antisemitismo di sinistra e dell'antisionismo e del boicottaggio alla Fiera del Libro e delle bandiere bruciate.
Il messaggio è per caso: basta che non si brucino le bandiere israeliane (e in seconda battuta quelle americane), ci si allea con coloro i quali con la bandiera italiana ci si vorrebbero pulire il culo e gli si perdona tutto, anche le frequentazioni neonaziste?

Ma vaffanculo tutti, va.

P.S. Ho poi visto "Porta a Porta". Una cosa ancora più vomitevole di quanto avessero anticipato i giornali. Fini ha proprio detto che la contestazione di Torino era più grave dell'assassinio fascista di Verona. L'altra carica dello Stato con il riporto annuiva e parlava di piazze pericolose, tentazioni terroristiche mentre l'insetto godeva e dietro al trio campeggiava per tutta la puntata un enorme scritta: "La sinistra brucia la bandiera di Israele".
Una bandiera, oltretutto straniera, più importante della vita di un ragazzo. Semplicemente aberrante.

Lameduck
Fonte: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/
Link: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/2008/05/bandiera-1-ragazzo-0.html
6.05.08


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Lif-EuroHolocaust
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Mi permetto di inserire parte di un mio intervento dal mio blog, su un articolo inserito ieri sul sito del Corriere della Sera.

[...]Nel pomeriggio di ieri notiamo alcuni articoli, sul sito del Corriere della Sera, dedicati alla vicenda veronese. Questa la sequenza dei titoli:

1. Aggressione neonazista a Verona, fermati altri due picchiatori
2. Gli amici del ragazzo aggredito: «Erano delle bestie»
3. Veltroni: «Inquietante attacco: occorre vigilare»
4. Protezione territorio
5. «L'abbiamo picchiato noi»
6. La Digos li seguiva già da un anno

Tutti articoli dedicati alla morte di Nicola Tommasoli. Apparentemente... Aprendo, infatti, il quarto di questi ("La protezione del territorio"), a firma di Michele Salvati, ci saremmo aspettati, dal titolo, una disamina delle azioni del branco criminale, con magari violenze per imporre una zona di terrore ad altri gruppi. E invece ci siamo ritrovati con ben altro, nient'affatto facente riferimento ai fatti veronesi.

Più avanti troverete l'articolo. Diciamo solo che tale centrale inserimento e la tesi di fondo lì espressa non possono essere un caso, dato che Salvati sintetizza l'attuale quadro politico italiano, oscillante tra conservatorismo (sempre più tradizionalista, secondo il giornalista) e liberal-progressismo. Inutile dire dove penda la preferenza della penna del Corriere della Sera (e dello stesso Corriere).

Inutile precisare quanto episodi tragici come quello di Verona siano utili per montare campagne-stampa creanti un clima ad un tempo favorevole al ritorno della "strategia della tensione" (evidentemente, soprattutto a sinistra, molti non hanno imparato alcunchè), ma anche ad una più sottile propaganda ideologica, favorevole (seconda la tradizione dello stesso quotidiano) al liberismo globalista.

Qui potete trovare le immagini dal sito del Corriere della Sera di ieri, 5 maggio 2008, alle ore 15:01. La seconda immagine mostra lo spazio dedicato alla vicenda di Verona.

http://e-h.splinder.com/post/17007051/Dal+sito+del+Corriere+della+Se

* Dall'articolo "La protezione del territorio" (Michele Salvati, Corriere della Sera, 5 maggio 2008):

Semplificando molto, un partito di centrodestra solitamente si colloca, e non di rado oscilla, tra due polarità ideologiche. Una polarità liberal- conservatrice, tuttora preoccupata degli effetti destabilizzanti della democrazia, ma figlia del razionalismo e dell'individualismo del secolo dei Lumi. E una polarità tradizionalistica, figlia della reazione all'Illuminismo: una polarità nella quale la società (comunità) prevale sull'individuo e lo stare insieme è assicurato dall'autorità e dalla tradizione, da «Dio, Patria e Famiglia ». Gli esempi abbondano, da George W. Bush a Nicolas Sarkozy, anche se la miscela più efficace di liberismo conservatore e di tradizionalismo patriottico resta quella di Margaret Thatcher. Simmetricamente, un partito di centrosinistra si colloca e oscilla anch'esso tra due polarità, dopo l'esito tragico dell'esperienza comunista: una polarità liberal-progressista, in cui la democrazia non induce preoccupazione e il messaggio liberale è inteso come effettiva libertà di perseguire i propri piani di vita per il maggior numero di individui; e una polarità socialdemocratica, in cui l'accento è posto non sugli individui e i loro diversi piani di vita, ma su soggetti collettivi che si suppongono relativamente omogenei — classi, «blocchi sociali» —, soggetti rappresentati, organizzati, talora costruiti dal sindacato e dal partito. Anche qui gli esempi abbondano: Tony Blair e Zapatero sono vicini alla polarità liberale e la socialdemocrazia tedesca, che con Schröder vi si era avvicinata, ora sta tornando verso quella socialdemocratica con il suo nuovo leader Beck. L'Italia non fa eccezione a questa grezza tassonomia. Partiamo dal centrodestra. Come non avvedersi che questo è passato dal messaggio liberale del Berlusconi prima maniera (almeno fino alle elezioni del 2001) al messaggio prevalentemente tradizionalistico delle elezioni di quest'anno? Il vero manifesto elettorale è stato il libro di Tremonti, «La paura e la speranza», in cui è immediato scorgere accenti anti individualistici e anti illuministici (e dunque anti liberali, anche se l'autore li chiama anti mercatisti) che sembrano presi di peso da Renan, se non da De Maistre. Bossi, se si eccettua la sua fase ormai lontana di critica alle gerarchie ecclesiastiche, ha sempre sostenuto un messaggio neotradizionalista: la sua tradizione, la Padania, è totalmente inventata, ma così sono anche altre tradizioni, e tutte, all'inizio [ovvio, no? Almeno secondo la vulgata illuministica, ndr]. E Fini? Il suo civile messaggio di investitura come presidente della Camera è imbevuto di tradizionalismo: che poi la Nazione di Fini non sia quella di Bossi creerà certo problemi, ma ciò non toglie che per entrambi il riferimento alla comunità, al territorio, al Blut und Boden, sia molto forte. Berlusconi, dall'alto, non bada a queste sottigliezze e li lascia dire.E il centrosinistra? Il messaggio con cui è nato il Partito democratico è un buon esempio di liberalismo progressista, con due significative qualificazioni. La prima, dovuta alla storia del movimento operaio di cui il Pd è l'erede, è la grande attenzione e cautela nei confronti del sindacato. Per un liberale puro e duro il sindacato è un gruppo di interesse come gli altri; non può essere così per chi viene dalla tradizione socialista e ricorda il grande movimento di emancipazione di cui il sindacato è stato (lo è tuttora?) l'espressione organizzata. La seconda è dovuta all'influenza di Margherita, un partito a forte prevalenza cattolica: attraverso di essa, attraverso la dottrina sociale della Chiesa, sono entrate nel patrimonio genetico del nuovo partito significative tracce tradizionalistiche. E vi sono entrate anche per l'intransigenza con cui Benedetto XVI ha ripreso la polemica contro l'individualismo liberale e il «relativismo ». Insomma, si tratta di un liberalismo meno limpido di quello di Blair o di Zapatero. Nella vittoria del centrodestra hanno giocato tanti fattori, e soprattutto il giudizio dato dagli elettori sull'esperienza del governo Prodi: un'esperienza dalla quale Veltroni non poteva smarcarsi e che non costituiva certo un buon esempio del programma liberale con il quale voleva essere identificato. Ma anche se gli elettori avessero creduto alla sua sincerità, alla sua voglia e alla sua possibilità di voltar pagina, alla sua intenzione di sciogliere lacci e lacciuoli, di promuovere il merito e abbattere le rendite diffuse ogni dove, è probabile che un messaggio tradizionalistico e difensivo, legato alla protezione dei territori e delle imprese del Paese, sarebbe stato comunque più efficace. Il messaggio del centrodestra era perfettamente adatto a un Paese che ha «paura», parola chiave del libro di Tremonti. Paura non soltanto della Cina e degli immigrati, ma anche delle riforme necessarie a convivere con successo con la Cina e con gli immigrati: in condizioni di lento declino si aborre dal cambiamento, gran parte dei cittadini stanno abbarbicati alle proprie consuetudini e alle proprie rendite, piccole o grandi che siano. Senza quelle riforme, tuttavia, il Paese è destinato a declinare ulteriormente: Francesco Giavazzi, sul Corriere di mercoledì scorso, ha perfettamente ragione. E' dunque ad esse — e non a misure protezionistiche — è legata la «speranza », l'altra parola chiave di quel libro [capito il messaggio del Corriere della Sera? Se non volete la decadenza, dovete perdere le radici, che d'altronde non esistono per i neo-illuministi ultra-liberali e ultra-globalisti, ndr]. Passate le elezioni, portato a casa il risultato, speriamo che il governo ne tenga conto.

Fonte:
http://euro-holocaust.splinder.com/
Collegamento:
http://euro-holocaust.splinder.com/post/17008103/Un+inserimento+sospetto

06.05.2008


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radisol
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Blondet è spudoratamente più fascista dei naziskin di Verona e di Fini messi insieme ....


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remox
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da cosa lo deduci?

eccone un altro che apre bocca e gli da fiato per sport


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radisol
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Lo deduco, oltre che da una discreta conoscenza degli scritti e delle teorie di Blondet ( tra l'altro i suoi principali argomenti, geopolitica e geo economia sono per mestiere il mio pane quotidiano), anche da come tratta questa vicenda specifica.

I naziskins di Verona sono, a mio giudizio, soltanto la versione più plebea ed arruffona delle "ronde padane" messe in piedi dal sindaco leghista Tosi ( altra bella radica di fascista cresciuto e pasciuto) per ripulire il centro di Verona da ogni tipo di "diverso", fosse anche soltanto nel caso qualche ragazzo coi capelli lunghi raccolti con la coda come li portava il ragazzo ucciso ed un altro degli amici che erano con lui, e più in generale l'espressione, sempre nella forma più plebea ed arruffona, di quell'egoismo sociale teorizzato e praticato ormai da decenni in Italia ed in quel maledetto Nord-Est in modo particolare.

E di cui il buon Tremonti ( tanto amato ed osannato da Blondet) è il principale teorico ormai da molti anni.

Senza poi contare la tradizione neonazista tipica del Veneto, quella che ha partorito gente tipo Freda ( peraltro buon amico di Blondet), Ventura, Fachini, Zorzi negli anni sessanta e settanta ed in epoca più recente Ludwig o personaggi come Maso.

Parlare d'altro, della scuola che non funziona, della crisi della famiglia, della certezza della pena, del consumismo dilagante, della diseducazione televisiva dei giovani è semplicemente sviare dall'argomento principale.

Come del resto fa Fini con l'assurdo parallelo con la contestazione alla Fiera del Libro di Torino dedicata ad Israele.

Certo questo Blondet non potrebbe farlo, preso com'è da un generico antiamericanismo e soprattutto da una evidentissimo antisemitismo che nulla c'entra con la sacrosanta critica al modo come lo stato di Israele stia conducendo la sua criminale politica coloniale nei confronti della Palestina.

Ma la sostanza è, a mio giudizio, la stessa.

Si tenta comunque di parlare d'altro rispetto alla questione principale ....


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Truman
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Ci sono alcuni ottimi argomenti di Blondet sulla mancanza di valori, i quali secondo lui dovrebbero essere forniti dalla religione cattolica, anche se in fondo si rende conto che le varie ideologie avevano la capacità di fornire valori.

Comunque molte ideologie hanno preso dall'escatologia cristiana l'idea che ci sia un fine ultimo nella vita, tra queste anche il marxismo.

Ciò che mi preme notare è però che l'attacco al '68 è di moda, ma fuori tema. L'idea di lasciar sviluppare le idee degli studenti è potentemente formativa, purchè ci siano dei limiti da non superare (solo qui condivido Blondet). La scuola deve stimolare l'immaginazione, perchè la capacità di immaginare situazioni diverse dall'ordinario consente poi di affrontare l'imprevisto e potrebbe rivelarsi fondamentale per sopravvivere in un mondo che si sta imbarbarendo.

La scuola prima del '68 era molto triste e poco educativa, tendeva ad imprimere norme di comportamento. Oggi ha più potenzialità, ma si scontra con il condizionamento che proviene dai mass-media. Ma occorre ricordare che oggi i giovani passano più tempo davanti al computer che davanti alla televisione. E qui si aprono margini per un lavoro formativo.


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radisol
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Ancora sui fatti di Verona

Mercoledì alla notizia abbiamo tremato. Un dolore alla pancia, un presentimento. Mai come ora avremmo voluto essere smentiti.

Non è così.

La cronaca riassume drammaticamente la storia di questa città. Degli ultimi anni ma anche di trent’anni fa. Abel e furlan. Figli annoiati della Verona bene che riempivano il loro tempo dando la caccia a
presenze non conformi della nostra città.
Avevamo purtroppo ragione.

Cinque ragazzi. Giovanissimi. Chi più, chi
meno figli della Verona bene, legati agli ambiti della tifoseria neo fascista, militanti o anche semplicemente simpatizzanti alla lontana dei movimenti o dei partitucoli dell’estrema destra cittadina.

Vestiti bene, all’ultimamoda.

Alcuni con precedenti recenti, per atti di razzismo o per problemi allo stadio.

Perché la composizione sociale e il profilo caratteriale del neofascista scaligero negli ultimi anni è cambiato. Una certa clima culturale e sociale, alcuni imprenditori politici, un generale vento che spira ha suggerito un processo di riterritorializzazione:
lasciare, o meglio, non limitarsi alle periferie, accantonare l’anima stradaiola e la “storica” attitudine “antiborghese” per rimpossessarsi del centro città. E con esso ridefinire formalizzare rappresentare un’identità.
L’ossessione identitaria alla mia città, il mio territorio, la mia “forma di vita” si sostituisce all’appartenenza alla piccola compagnia, al bar, al quartiere, al giardino.

Nicola è stato ucciso non perché avversario politico, non perché rappresentava il nemico, nemmeno perché diverso : immigrato, comunista, gay, zingaro, barbone.

Solo e “semplicemente” il "capellone", l’estraneo, non familiare, non compatibile.

Parte di un gioco “perverso” , perché di questo si tratta, di un gioco contro la noia: “ripulire il centro” per ripulire la città, da chi non merita, non è all’altezza. La “veronesità” e i suoi codici espressivi

Verona è una città malata. E il virus sta proprio nel cuore, nel ventre molle del suo dna. Il male, il pericolo è sempre un elemento esterno, sempre importato.

Come se ammettere ciò che non va all’ interno e cercare nelle radici facesse traballare le fondamenta stesse di ciò che siamo.

Così è sempre stato in questi anni, ogni volta che Verona è finita sotto i riflettore nazionali per fatti di cronaca nera, che si trattasse di razzismo o di inquietanti fatti di cronaca (da maso a Stevanin ecc.) la città e le sue stesse istituzioni hanno fatto quadrato nella difesa di una presunta “forma di vita” che nulla avrebbe a che fare con i fatti in questione

A che serve oggi raccontare per l’ennesima volta lo stillicidio di aggressioni?...

Uno stillicidio di aggressioni motivate da “futili ragioni”, spesso nel pieno del centro città.

Come gli accoltellamenti dell’ estate 2005, come le sistematiche azioni contro i diversi (capelloni, alternativi, mangiatori di kebab) compiute da una ventina di ragazzi figli della Verona bene, emerse da un inchiesta della DIGOS nella primavera scorsa ( e tra gli indagati anche uno dei 5 assassini di oggi).

Come la “cacciata” da piazza erbe, l’autunno scorso, l’episodio non più violento ma più emblematico, quando alcuni antagonisti veronesi in quella piazza per bere lo spritz vennero aggrediti ed espulsi dalla stessa tra l’applauso generalizzato e pre-politico di decine e decine di astanti.

O come l’ultimo fatto “marginale” in Valpolicella (il paese di Nicola) la lettera di una madre sul settimanale locale, del mese scorso, in cui si cercano testimoni di un’aggressione avvenuta in un bar , dove un ragazzo di colore giovanissimo è stato massacrato e ridotto in stampelle (fortunatamente provvisorie) tra cori da stadio e inni del ventennio, nell’imbarazzante omertà dei clienti.

Ad evitare che si ripeta.

Guardando al futuro. Partendo dalle radici, quelle storiche certo.

Innanzitutto quelle attuali.

Il delirio securitario, la paranoia
della paura, l’emergenza criminalità diffusa, il decoro.

Da tempo e in maniera esponenziale con le ultime amministrative un linguaggio si è imposto.

Ci siamo svegliati una mattina ed abbiamo scoperto di essere in guerra, sotto assedio. Il nemico viene sempre da fuori e fuori deve tornare.

Questo è il linguaggio criminale che succhiano col latte i figli di questa città.

“Caro” sindaco, alcune provocazioni.

Dovremmo immaginare che quest’ ultima aggressione sia solo un effetto collaterale di una ronda autogestita?

Dobbiamo spalleggiare il sindaco nella richiesta di 72 agenti di polizia per presidiare la notte il Bronx di Piazza Erbe?

Dovremmo concordare con la lega la liberalizzazione della armi di difesa personale e suggerire a tutti i diversi di questa città di girare armati?

Noi chiediamo le sue dimissioni perché simbolicamente lei è uno dei mandanti morali di questa tragedia.

Perché riempiendosi la bocca della parola d’ordine sicurezza ha alimentato una forma di “insicurezza” che non produce voti, legittimando la libera e
spontanea pretesa di ristabilire il decoro, di ripulire il centro città e i quartieri dai nemici della presunta veronesità.

Perché il suo successo poggia sull’odio, non vive senza un nemico, alimenta una guerra irresponsabile le cui conseguenze pagheremo a lungo.


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