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Tutto va bene madama la marchesa...


Stodler
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Allora, vediamo a che punto è la disinformatia.

Un giornale a caso: Repubblica.

Cominciamo dai pensionati:

I nuovi pensionati sono più poveri: prendono 3mila euro in meno

I dati Istat sul sistema pensionistico nel 2014: il costo ha superato i 277 miliardi di euro. Gli effetti della riforma Fornero sui numeri e sugli assegni: tra il 2011 e il 2014 400mila pensionati in meno. Quelli che hanno smesso di lavorare l'anno scorso ricevono in media 13.965 euro l'anno, meno dei 17.146 euro di coloro che già erano in pensione. Nel complesso quattro su dieci sono sotto i mille euro, 228mila sopra 5mila euro

MILANO - Nel 2014 la spesa complessiva per le prestazioni pensionistiche ha superato i 277 miliardi di euro, con un aumento dell'1,6% sul 2013: l'incidenza sul Pil è cresciuta di 0,2 punti percentuali, dal 16,97% al 17,17%. E' il resoconto dell'Istat sull'andamento della previdenza durante lo scorso anno, nel quale sono state erogate 23,2 milioni di prestazioni. L'importo medio annuo delle pensioni è di 11.943 euro, 245 euro in più rispetto al 2013 (+2,1%), e per questo la spesa complessiva è salita. Se si guarda però al reddito dei pensionati, che può derivare da una somma di prestazioni in capo a una stessa persona, si scopre che quello dei nuovi entrati nel sistema previdenziale è nettamente più basso di chi già c'era.

Un trend che richiama le recenti dichiarazioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e del presidente Inps, Tito Boeri, sulle difficoltà che avranno i giovani di oggi, quando dovranno andare in pensione, vista la progressiva riduzione degli assegni. Già l'anno scorso si è potuto notare che i nuovi pensionati (le persone che hanno iniziato a percepire una pensione nel 2014) sono state 541.982, mentre ammontano a 675.860 le persone che nel 2014 hanno smesso di esserne percettori. Ma soprattutto, il reddito medio dei nuovi pensionati (13.965 euro) è inferiore a quello dei cessati (15.356) e a quello dei pensionati sopravviventi (17.146), cioè coloro che anche nel 2013 percepivano almeno una pensione. Ciascun pensionato riceve in media 1,43 trattamenti pro capite. Il 66,7% ha una sola pensione, il 25,4% ne percepisce due mentre il 7,8% è titolare di almeno tre pensioni. Tra i nuovi pensionati il valore scende a 1,14 pensioni pro capite, contro 1,85 dei cessati e 1,44 dei sopravviventi. Ma, avverte l'Istat, ciò dipende anche dall’età media dei nuovi pensionati, più bassa (pari a 55,3 anni) rispetto a quella degli altri due gruppi (75,5 dei pensionati cessati e 70,0 dei sopravviventi).

Nel complesso, i pensionati sono 16,3 milioni, circa 134mila in meno rispetto al 2013; in media ognuno percepisce 17.040 euro all'anno (403 euro in più rispetto al 2013) tenuto conto che, in alcuni casi, uno stesso pensionato può contare anche su più di una pensione. Gli effetti della riforma Fornero non si vedono solo sugli assegni più sottili dei nuovi entrati nel sistema previdenziale (penalizzati dal sistema contributivo rispetto al vecchio retributivo), ma anche nel numero dei pensionati: tra il 2011 e il 2014 sono diminuiti di oltre 400.000 unità, dai 16.669.000 del 2011 e i 16.259.000 del 2014.

C'è poi un importante schiacciamento verso il basso degli assegni: il 40,3% dei pensionati, infatti, percepisce un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, un ulteriore 39,1% tra 1.000 e 2.000 euro. Significa che otto pensionati su dieci sono sotto i 2mila euro, poi il 14,4% riceve tra 2000 e 3000 euro e la quota di chi supera i 3.000 euro mensili è pari al 6,1% (4,7% tra 3.000 e 5.000 euro e 1,4% - cioè 228.200 - oltre 5.000 euro).

http://www.repubblica.it/economia/2015/12/03/news/pensionati_istat_pensioni-128686212/

Poi con le famiglie

Bankitalia, la metà delle famiglie vive con meno di 2.100 euro al mese

Aumenta la percentuale di italiani a basso reddito (sotto la soglia di 9.600 euro), mentre il 5% della popolazione ha in mano il 30% della ricchezza complessiva del Paese. Dopo sei anni si ferma la caduta degli stipendi

MILANO - Si arresta la caduta dei redditi italiani, ma la ricchezza resta concentrata nelle mani di pochi. E, peggio, le diseguaglianze faticano a ridursi. Il 5% delle famiglie italiane più ricche, con un patrimonio di 1,3 milioni a nucleo deteneva al 2014 oltre il 30% della ricchezza complessiva. Lo rileva Bankitalia nell'indagine sulle famiglie da cui emerge che per larga parte dei nuclei il patrimonio è costituito in prevalenza dalla casa di abitazione e come la concentrazione in poche famiglie sia costante negli ultimi 20 anni.

Lo scorso anno, il reddito familiare netto medio è stato di 30.500 euro, circa 2.500 al mese arrestando tra il 2012 ed il 2014 la caduta che proseguiva dal 2008. Banca d'Italia, però, sottolinea come la metà delle famiglie abbia un reddito fino a 25.700, ovvero circa 2.100 euro al mese. Solo il 10% delle famiglie percepisce oltre 55 mila euro.

Inoltre, aumenta la percentuale di italiani a basso reddito (sotto la soglia di 9.600 euro) ovvero con un reddito equivalente (una misura del benessere che tiene conto della dimensione e della struttura demografica della famiglia in cui vive) sotto il 60% del reddito equivalente mediano: lo scorso anno era al 22,3% contro il 19,6% del 2006 e il 20,6% nel 2012.

http://www.repubblica.it/economia/2015/12/03/news/bankitalia_ricchezza-128709666/

Ma ci sono i regali per Natale:

Dopo sette anni tornano a salire le spese per i regali di Natale

Il budget cresce del 5% a 166 euro a testa, ma resta ancora inferiore del 30% al dato del 2009. Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, mostra ottimismo, ma avverte: "La prudenza è d'obbligo per l'incognita terrorismo"

MILANO - Natale di ripresa. Per la prima volta dopo sette anni di crisi, nel 2015 spesa media per i regali tornerà a crescere. Secondo una ricerca di Confcommercio il budget degli italiani salirà del 5% rispetto allo scorso anno fino a 166 euro, pur restando inferiore del 30% al 2009. "Questo Natale potrebbe essere finalmente il primo con segno positivo, per una maggiore propensione ai consumi e ai regali delle famiglie" dice il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ricordando che "la prudenza è d'obbligo per l'incognita terrorismo".

Secondo lo studio, degli oltre 30 miliardi di tredicesima disponibili per i consumi, 10 miliardi circa saranno destinati ai regali, con un aumento di circa 200 milioni sull'anno scorso. Per l'associazione dei commercianti ad indicare il ritorno "alla normalità" è la percentuale di chi ritiene i regali una spesa piacevole: dal 45,8% del 2011 si risale al 52,5%. Segnali positivi anche dalla percentuale di chi aspetta gli ultimissimi giorni per fare il regalo: si scende dal 47,3% dello scorso anno al 37,3%. D'altra parte, più la persona avverte difficoltà, più rimanda il momento di fare acquisti.

Fiducioso anche Sangalli secondo cui "le condizioni economiche sono favorevoli, per i prezzo de petrolio, i cambi, i tassi di interesse: la ripresa si sta lentamente concretizzando e producendo i primi effetti tangibili sulle famiglie. Ma il governo - avverte - non ha ancora vinto la scommessa di trasformare la crescita statistica in una ripresa robusta e diffusa. Bisogna avere più coraggio nel tagliare le tasse, eliminare la spesa improduttiva, ridurre il deficit di legalità, annullare la cattiva burocrazia. Solo così nel 2016 potremo avere una crescita del Pil più forte che ci consentirebbe di eliminare le clausole di salvaguardia nel 2017".

http://www.repubblica.it/economia/2015/12/02/news/confcommercio_consumi_ripresa_natale-128614069/

Ma non tutti avranno i regali sotto l'albero:

Istat, migliorano situazione economica e prospettive, ma la ripresa non arriva agli "ultimi"

Segnali positivi anche dalla partecipazione culturale, la vita media, l'investimento in ricerca e sviluppo, la qualità dell'ambiente, soprattutto nel Mezzogiorno, e la percezione della sicurezza da parte dei cittadini. Tuttavia il ritratto che emerge del Paese è ancora di forti disuguaglianze e contrapposizioni

di ROSARIA AMATO

ROMA - Più fiducia nel futuro, più ottimismo, meno strategie di contenimento della spesa, una leggera riduzione delle famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese: alla terza edizione, il Rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia dell'Istat finalmente ha la possibilità di misurare appunto il benessere, e non la sua mancanza. In miglioramento non solo gli indici economici, ma anche la partecipazione culturale, la vita media, l'investimento in ricerca e sviluppo, la qualità dell'ambiente, soprattutto nel Mezzogiorno, e la percezione della sicurezza da parte dei cittadini. Tuttavia il ritratto che emerge del Paese è ancora di forti disuguaglianze e contrapposizioni, tra Nord e Sud, ricchi e poveri, uomini e donne, anziani e giovani.

"Dopo la grande tempesta del 2013 e le criticità presenti dal 2008, - spiega Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'Istat - il 2014 è un anno di transizione. Si ferma la caduta e ci sono addirittura segnali di miglioramento. Le reti sociali, che hanno rappresentato un importante riferimento nella crisi, migliorano. Però tra Nord e Sud c’è una situazione speculare, in particolare rispetto a lavoro e sicurezza: il Sud si colloca ai livelli più bassi e con una dinamica peggiore per il lavoro, e la forbice è aumentata in questi anni, sia per la qualità che per la quantità del lavoro. E poi si accentua anche il problema della sicurezza, in questo caso soprattutto per il Nord".

Nel complesso, però, aggiunge Sabbadini, si respira un'aria migliore rispetto agli anni passati: "Sebbene il Paese non si sia ancora affrancato dalla crisi, nel 2014 cresce l'ottimismo verso il futuro, soprattutto da parte dei giovani, nonostante siano il segmento più colpito dalla recessione".

Aumenta il reddito, ma non per tutti. Nel 2014 all'aumento dello 0,7% della spesa per consumi, che prosegue anche nel 2015, si aggiunge il leggero aumento del reddito totale disponibile. Però crescono le disuguaglianze nella distribuzione: il rapporto tra il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi raggiunge il 5,8, dal 5,1. Risale la propensione al risparmio, anche se il 12% precrisi è ancora lontano, e si riducono notevolmente le "azioni di contenimento della spesa", per la prima volta dall'inizio della crisi. La povertà non si riduce, ma almeno quella assoluta nel 2014 smette di salire, anche se affligge ancora notevolmente le famiglie con cinque o più componenti.

E per i più poveri non ci sono miglioramenti. Il disagio delle persone con gravi difficoltà economiche però non si attenua: la ripresa non raggiunge le famiglie in situazioni di "grave deprivazione materiale". Si tratta di una serie di situazioni che limitano fortemente il benessere: il 15% della popolazione maggiore di 16 anni (il 20,6% della popolazione del Mezzogiorno) non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non può svolgere attività di svago fuori casa per ragioni economiche, un terzo non può permettersi di sostituire mobili danneggiati. E ci sono anche indici di deprivazione costruiti su misura per i bambini: oltre il 7% non può permettersi di festeggiare il compleanno o di invitare a casa gli amici. Nel Mezzogiorno il 16% dei bambini non può permettersi di partecipare a una gita scolastica e il 14,7% non dispone di uno spazio adeguato per studiare. Il Mezzogiorno in generale, pur mostrando miglioramenti nelle situazioni di grave deprivazione, mantiene livelli superiori di tre volte al resto del Paese.

Più famiglie "a bassa intensità lavorativa". Anche se gli indicatori del lavoro migliorano, aumenta il numero di persone che vivono in famiglie "a bassa intensità lavorativa", che cioè nell'anno precedente hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale. Diminuiscono invece le famiglie che dichiarano di essere in difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ma anche in questo caso c'è un abisso tra il 30,3% del Mezzogiorno e il 10,4% del Nord. Dopo alcuni anni di "avvicinamento", spiega l'Istat, il Sud ha riconominciato ad allontanarsi dal Nord nel 2011: le Regioni più penalizzate per l'indice di disagio e quello di disuguaglianza sono la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Puglia.

Il lavoro cresce, ma aumentano mismatch e part time involontario. Per la prima volta dal 2008 c'è una ripresa dell'occupazione, ma più lenta rispetto a quella Ue tant'è che aumenta il divario, che passa dagli 8,7 punti del 2013 a 9,3 punti. Inoltre, mentre il Europa migliora il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, in Italia aumenta di 1,2 punti (per via della crescita dei disoccupati e delle forze di lavoro potenziali, pur in presenza di un aumento degli occupati). Inoltre in Italia la quota del part-time involontario è doppia rispetto al resto dell'Europa, e oltre 5 milioni di occupati, il 23% del totale, hanno un titolo di studio superiore a quello richiesto per il lavoro svolto. Sale dall'85,7% all'88,6% la quota di coloro che ritengono improbabile la possibilità di perdere il proprio lavoro. Il 45,3% degli occupati si dichiara soddisfatto del proprio lavoro, percentuale in aumento di un decimo di punto sul 2013. Infine, nonostante la ripresa dell'occupazione sia stata soprattutto al femminile, oltre il 27% delle donne che vogliono lavorare non ci riesce, contro il 19,3% degli uomini, e con un divario cinque volte superiore a quello europeo. Inoltre il tasso di occupazione aumenta sopratutto per gli ultracinquantacinquenni (+3,5 punti), mentre l'indicatore scende al di sotto del 50% per i giovani 20-34enni e non mostra segni di recupero per le altre fasce di età.

Più ottimismo. Passa dal 24 al 27% la quota di quanti guardano al futuro con ottimismo, pensando che la propria situazione nei prossimi 5 anni migliorerà. E passa dal 23,3 al 18% la quota di coloro che pensano che peggiorerà. Dunque è tornata la fiducia, aumenta la soddisfazione sul tempo libero ma rimane stabile la soddisfazione per la propria vita. E rimangono stabili le abissali differenze tra Nord, Centro e Sud: il 41,1% del primo gruppo ha livelli elevati di soddisfazione contro il 35% dei secondi e il 27,9% dei terzi. Aumenta inoltre di 2,3 punti percentuali la fiducia negli altri, arrivando al valore più alto registrato dal 2010.

Cresce la spesa in ricerca e sviluppo, ma lontani dall'Europa. Nel 2013 la spesa per ricerca e sviluppo guadagna il 2,3% in termini nominali e l'1,1% in termini reali. L'incidenza sul Pil arriva all'1,31% contro l'1,27% del 2012 ma siamo lontani dal target nazionale di Europa 2020 dell'1,5% e abbiamo ancora un gap di 0,7 punti percentuali rispetto al 2% della media Ue28. Calano i brevetti, in particolare nell'high tech. Tuttavia crescono leggermente le imprese che fanno innovazione, in particolare nell'industria. I tre quarti della spesa in ricerca e sviluppo è concentrata nel Nord.

Meno abusivismo, ma c'è ancora degrado. Il crollo del settore delle costruzioni, dovuto alla crisi, ha ridimensionato la pressione dell'edilizia sul territorio e sul paesaggio. Ma, ricorda Sabbadini, "un italiano su 5 lamenta il degrado e del luogo di vita". Inoltre rimangono problemi annosi, come quello della forte dispersione di acqua potabile dalle reti di distribuzione e dello smaltimento in discarica di oltre un terzo dei rifiuti solidi urbani, con forti differenze ancora un
a volta tra il Nord (19%) e il Sud (49,4%, per la prima volta tuttavia nel 2014 si scende sotto il 50%).

http://www.repubblica.it/economia/2015/12/02/news/istat_migliorano_la_situazione_economica_e_le_prospettive_future_ma_aumentano_le_disuguaglianze-128583679/

Ma quello che è più importante è che la fiducia si trova ai massimi.

Istat: la fiducia dei consumatori sale al massimo storico

Nella rilevazione di novembre, che risente solo in parte degli attentati di Parigi, si tocca il picco dall'inizio delle serie storiche del 1995. Segnale positivo per la domanda interna. Più timide le imprese, il cui indice è stabile su ottobre ma ai massimi dalla fine del 2007

MILANO - Pieno di fiducia per i consumatori italiani a novembre: l'indice tracciato dall'Istat tocca 118,4 punti, il livello più alto mai registrato dall'inizio delle serie storiche oltre 20 anni fa (gennaio 1995). A ottobre si attestava a quota 117 punti. L'Istat sottolinea che il dato risente "solo in minima parte" degli attentati di Parigi perché la rilevazione è concentrata nei primi quindici giorni del mese. Buone notizie, dunque, per puntare su una ripresa trainata dai consumi interni, alla vigilia del periodo dello shopping natalizio e in un momento di difficoltà per quanto riguarda le variabili esterne: se l'azione della Bce continua infatti a spingere in basso i rendimenti dei titoli di Stato, con riflessi positivi per i conti pubblici, e il prezzo del petrolio ai minimi schiaccia l'inflazione, la crisi dei mercati emergenti e il quadro internazionale di tensione mettono a repentaglio l'export tricolore, una delle voci che tradizionalmente sostiene l'espansione dell'economia italiana. Non è un caso, allora, che mentre la fiducia dei privati sale, quella delle aziende traccia solo un leggero miglioramento e la manifattura scende: già gli ordinativi e il fatturato avevano registrato un andamento negativo.

Analisi. Le zavorre alla "ripresina" di Renzi

I consumatori. Nella nota dell'Istat, tutte le stime delle componenti del clima di fiducia dei consumatori aumentano, con un incremento maggiore per quella economica (a 158,3 da 153,3), che si riferisce all'andamento del Paese nel suo complesso, e più contenuto per quella personale (a 105 da 103,9), per quella corrente (a 111,6 da 109,3) e per quella futura (a 128 da 127,2). Migliorano infatti le stime sia dei giudizi sia delle attese sull'attuale situazione economica del Paese (a -20 da -31 e a 31 da 28 i rispettivi saldi). I giudizi sui prezzi nei passati 12 mesi restano al livello di ottobre (a -19). Mentre le attese sui prezzi nei prossimi 12 mesi registrano un saldo che passa a -20 da -23. Diminuiscono anche le attese di disoccupazione (a -8 da -3), segnale positivo sulla fiducia verso la possibilità di recuperare posti di lavoro.

Le imprese. L'Istituto di statistica annota poi che la fiducia delle imprese mostra "una sostanziale stazionarietà" a novembre e resta ai livelli più alti dall'inizio della crisi, a ottobre 2007. L'indice Istat sale infatti a 107,1, da 107 di ottobre. Il clima migliora nelle costruzioni e nei servizi di mercato, mentre scende nella manifattura e nel commercio al dettaglio. Nelle imprese manifatturiere peggiorano dunque sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione, mentre i giudizi sulle scorte rimangono stabili. Invece nelle costruzioni migliorano i giudizi sugli ordini o piani di costruzione mentre peggiorano le attese sull'occupazione. Nei servizi di mercato crescono le attese sugli ordini, ma si contraggono i giudizi sugli ordini e restano stabili le attese sull'andamento generale dell'economia. Nel commercio al dettaglio, infine, migliorano i giudizi sulle vendite correnti e "peggiorano sensibilmente" le attese sulle vendite future. Le scorte di magazzino sono giudicate in ulteriore riduzione.

L'indice europeo. L'Italia spicca in una situazione piatta a livello continentale. L'indice Esi della Commissione europea resta fermo a quota 106,1 punti, mentre nella Ue scende di 0,1 punti a quota 107,6 (vuol dire che resta sostanzialmente stabile). Va detto però che la maggior parte dei sondaggi, anche in questo caso, sono stati realizzati prima degli attacchi terroristici a parigi di venerdì 13 novembre. Ciò significa che per avere un quadro dell'effetto economico di quegli eventi e delle misure anti-terrorismo prese da alcuni Stati in particolare Francia e Belgio, occorre aspettare i dati sulla fiducia di dicembre.

http://www.repubblica.it/economia/2015/11/27/news/istat_fiducia_consumatori_imprese-128266283/?rss

Buon Natale a tutti quanti da Ebenezer Scrooge


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