Un mondo di dispera...
 
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Un mondo di disperati


GioCo
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Nel New Deal Americano, Roosevelt inaugurò nei lontani anni '33-'37, in pieno boom del nazionalsocialismo europeo (non scordiamo che non fu circoscritto all'Italia e alla Germania) la sua politica di risanamento economico dopo il Giovedì nero del '29.

In quel periodo fu la disperazione per milioni di lavoratori ridotti alla fame (in tutto il mondo e per causa di irresponsabili gestioni bancarie Americane e Inglesi) ma i governi dell'epoca si tirarono su le maniche e iniziarono a lavorare sodo per costruire una alternativa economicamente accettabile per tutti, anche se le modalità presero poi una piega politica leggermente differente tra le due sponde dell'atlantico.

Non vogliamo in questa sede trattare di complotti e dichiarare che l'industria fu preparata apposta per la seconda guerra mondiale, tuttavia è sufficiente il fatto storico che le condizioni provocate dalla crisi del '29 portarono molto più vantaggio all'imprenditoria militare che a quella civile con tempismi quantomeno sospetti: è evidente che l'orientamento degli investimenti avrebbe potuto andare verso le infrastrutture civili ed è evidente che così è stato almeno all'inizio e in America, ma l'America non ha subito danni con la seconda guerra, fatto salvo ovviamente Pearl Harbor, e con il suo esercito è entrata in azione solo alla fine, quando ormai l'Armata Rossa aveva vinto, riducendo così al minimo le perdite e massimizzando i guadagni dell'immenso affare “world war II”.

Quindi alla fine della guerra in America si stava bene, mentre nel resto del mondo a causa di quella guerra non solo si moriva di fame, non c'era più niente, bisognava ricostruire tutto da capo, tutte le infrastrutture necessarie alla vita civile: quale paese aveva quindi l'opportunità di presentarsi come “buon samaritano” dei poveri e degli afflitti del mondo? La domanda è ovviamente retorica.
In Europa fu il Piano Marshall. Dice Wiki(coipiedi) a questo proposito: “Lo European Recovery Program (ERP) previde alla fine uno stanziamento di poco più di 14 miliardi di dollari per un periodo di quattro anni. Con l'obiettivo di favorire una prima integrazione economica nel Continente, nacque contestualmente al Programma anche l'Organization for European Economic Cooperation (OEEC, in italiano OECE), organismo sostanzialmente tecnico in cui i programmatori inviati da Washington cercarono di spingere gli europei ad utilizzare gli aiuti non per fronteggiare le contingenze del momento, quanto piuttosto per avviare un processo di trasformazione strutturale dell'economia dei loro Paesi”. Cos'altro aggiungere? Pare proprio un piano ben studiato a tempo debito e a tavolino.

Certamente una ripresa economica ovviamente fu poi resa necessaria e obbligatoria, contestualmente a una ricostruzione di una produzione industriale capace di supportare il tessuto urbano e sociale della futura europa. Quindi tutto bene?

Facciamo un salto nell'attualità. La disperazione tra i lavoratori dilaga nei paesi industrializzati che perdono capacità d'acquisto (lavoro e diritti) a ritmi da capogiro da decenni, fenomeni di immigrazione apocalittica segnalano disagi profondi di diversa natura anche nei paesi non industrializzati, il disagio globale (civile-economico-politico) è poi cavalcato dalla malavita organizzata in molti modi in un effetto “turbina” che accelera i processi decostruttivi socio-economici in corso, massicce operazioni di concentrazione della capacità produttiva mondiale in paesi tradizionalmente comunisti e asiatici, hanno svuotato dall'interno non solo l'industria cosiddetta occidentale, ma l'idea stessa (a partire dalle università) che sia possibile un rinnovamento su scala mondiale di qualche tipo desiderabile e rispetto la cristallizzazione dei modelli in essere, mentre l'industria ha iniziato a diventare una seria minaccia multi-sistemica per l'equilibrio dell'ecosistema mondiale e quindi per la vita sostenibile residua sulla superficie del pianeta, in cambio di ... robaccia inutile per riempire a casaccio i supermercati e armi. La risposta qual'è stata fin'ora? Propaganda. Cioè una massiccia e intensiva pressione mediatica per impedire a qualunque costo che si attacchino criticamente i modelli socio-economici così cristallizzati.

Presto non avremo più cibo, ne acqua per tutti, ma allo stesso tempo non avremo nemmeno più i mezzi per rispondere alle infinite sfide “collaterali”, dovute agli sconquassi politici, sociali, economici, ambientali, militari e (ovviamente) industriali che questi modelli trascinano inevitabilmente con loro.
L'industria che promette per tutti la civilizzazione per tramite del lavoro, l'industria che ci ha dato tonnellate di roba chimica tossica ad altissimo costo sociale e ambientale, in cambio di ... un posto di lavoro da schiavi e la rinuncia a un futuro sostenibile desiderabile per tutti. L'industria che si poggia sul dogma del mercato turbo-capitalista e la tecnofrenia (l'uno alimenta l'altro) come un raggio laser ruota attorno all'idea militarista del mondo.

Questa industria si sta preparando adesso come allora alla guerra. Il nazionalsocialismo è stato un buon pretesto e un buon affare. Adesso non serve darsi tanto da fare. Basta e avanza il Web. Se poi qualcuno pensa che sia impossibile ripetere oggi i guasti di una deriva politica come quella, si sbaglia. Basta sapere che tutto inizia costruendo la disperazione delle masse che chiedono “solo” di vivere dignitosamente a partire da un lavoro che possa fornire qualche certezza di continuità, sicurezza economica e speranza per il futuro.
La guerra può fornire a tutti quella meravigliosa opportunità. Il Web può nasconderla efficacemente.

Ma non sarà (ovviamente) nucleare. Sarà una “guerra in polvere”, sporca non tanto perché sfrutterà terroristi taglia-gole (tanto uno “sciame” di guerriglie sparse per il globo e condotte per le più disparate ragioni più o meno opinabili, farebbe differenza?!) o altre creative strategie di perpetuazione della guerra, ma perché costringerà tutti (umani e meno umani) a “convivere per vivere” ... basterà stare connessi. Sarà il “sistema” a imporlo, senza scopo, senza critica umana, senza che ciò possa produrre una qualche speranza di cambiamento pro-Uomo.

Sarà una condanna globale e ci accompagnerà inesorabile verso l'unica possibile fine. Non necessariamente quella della vita sul pianeta. Ma di sicuro Umana.
Sarà l'Unico Regno Virtuale Mondiale, che di riflesso poggerà i suoi pilastri sulla disperazione globale e sulla spazzatura.


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fuffolo
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Massimi sistemi, dimensioni e scale dei problemi così grandi da annichilire il singolo che così diventa spettatore (pagante).
Anche se non si vedono ci sono realtà che ancora hanno speranza.
Ma si vive nel piccolo e di piccole cose, un pezzo di terra coltivato da una famiglia allargata, il baratto, il consumo di cibo autoprodotto, l'auto costruzione di abitazioni con materiali naturali, azzeramento di bollette e tanti libri dopo la fatica fisica.


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GioCo
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@fuffolo sono convinto che ci sono realtà che hanno speranza, credo che se vogliamo trovarle ne troveremo certamente.
Ma non posso basarmi su qualche caso specifico di successo per tirare conclusioni più generali, no?
Quando si parla di massimi sistemi, sembra di parlare di qualcosa che è fuori dalla nostra portata, nonostante abbiano ricadute concrete su di noi. Ma un massimo sistema è il nostro corpo per un batterio e lui è in grado di metterlo in crisi. Per ciò non è un problema di "too big to fail" ma "perchè funziona?". Se si capisce perché funziona, si evita di costruire il castello per chiudere fuori "il male sconosciuto", ma si inizia a costruire le premesse (nel pensiero collettivo) per un cambiamento di paradigma.


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fuffolo
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per tirare conclusioni più generali, no?
Se si capisce perché funziona, si evita di costruire il castello per chiudere fuori "il male sconosciuto", ma si inizia a costruire le premesse (nel pensiero collettivo) per un cambiamento di paradigma.

Sicuro di avere il tempo per capire il sistema e come funziona? Ma non è la solita scusa di tanti per continuare a delegare senza assumersi la responsabilità di non avere idee, di non fare nulla di concreto. Nel piccolo è molto difficile perchè ti esponi alla verifica diretta di quello che concludi.
Viviamo come sopravvissuti in un ambiente già accertato come ostile (almeno per noi sfruttati), meglio agire anche solo nel piccolo tanto per limitare gli inevitabili danni.


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GioCo
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Il tempo è una grande scusa, ma anche il più potente dei titani. Non si tratta di capire ma di combattere il senso di impotenza e smettere così di tentare. L'opera è immensa e gli ostacoli appaiono innumerevoli, ma questa non è una buona ragione per arrendersi. Si hai ragione, nel piccolo è difficile, forse impossibile. Non sai le volte che desidero abbandonare: d'altronde non ho niente che posso rimpiangere. Ho rinunciato a figli e moglie, non cerco per me successo e sinceramente, mi fa repellenza una vita lunga e prosperosa (qui). Affronto il futuro con un economia di sussistenza, studio pur avendo alle spalle decenni di fallimenti scolastici che di certo non sono un incentivo, lavoro cercando di coniugare l'aiuto per il prossimo con forze residue, così miserabili che me ne vergogno.
La verifica diretta la sto sostenendo da almeno vent'anni con una sola evidenza evidente: è irresistibilmente dolce abbandonarsi all'auto-compatimento, ma questo è solo il segno di una debolezza emotiva che non mi appartiene.


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