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Vendere il patrimonio dell' Italia. A chi e perchè ?


Tao
 Tao
Illustrious Member
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La dichiarazione di Mario Monti, durante la conferenza stampa con Schauble, in cui ha accennato alla volontà di mettere in vendita asset comunali e regionali, ha suscitato reazioni emotive tra i compatrioti intellettualmente più gracili e più inclini al populismo.

Volendo esaminare in maniera più razionale il problema, possiamo invece esaminare quale sia lo scopo di una vendita, quali gli acquirenti, quale l’uso che si potrebbe fare del ricavato, per vedere se c’è coerenza tra le finalità dichiarate ed i risultati prevedibili.

Questo genere di discorsi riemergono periodicamente ogni volta che le banche ed il grande capitalismo dispongono di un eccesso di liquidità .

Infatti , contrariamente a quel che si possa credere a leggere i giornali, non è la liquidità che manca, bensì gli impieghi, termine col quale si identificano gli investimenti. Vogliono investimenti sicuri. Come biasimarli?

Conoscere la storia, aiuta. Nel primo dopoguerra mondiale, si scatenò una campagna per la privatizzazione della telefonia. Quando Mussolini dichiaro pubblicamente che l’ipotesi era percorribile a patto che l’acquirente non fosse ” il solito Agnelli”, il moto liberista cessò d’incanto.

Nella tornata di privatizzazioni lanciate “per ridurre il debito pubblico” del 1992/3, invece, si parlò nuovamente di telefonia e si cedette agli…..Agnelli che acquistarono nientepopodimenoche lo zero virgola sessantun per cento della attuale Telecom / Tim alla quale il ministro del Tesoro Ciampi – per bocca del direttore generale Mario Draghi – negò l’autorizzazione a comprare la Vodafone inglese ( all’epoca poco più che nascente) con la motivazione che ” altrimenti non ci sarà più chi possa comprarvi”.
comunque le privatizzazioni si fecero, senza farle precedere dalle liberalizzazioni trasformando cosi l’operazione nella cessione di altrettanti monopòli.

Lo spezzettamento e vendita dell’IRI procurò al governo 150 Mila miliardi di lire italiane, ma non una lira fu destinata alla riduzione del debito pubblico, numerose aziende, dopo la prima vendita a prezzi contenuti a imprenditori poco credibili, vennero cedute a prezzi molto maggiorati ad altri gruppi, tanto che è rimasta radicata nella memoria di molti la sensazione che si sia trattato di una doppia vendita con incasso del plus valore da parte di ” sconosciuti “.

Tralascio la parte morale, sulla quale prima o poi dovremo tornare a soffermarci, e mi concentro sul fulcro del problema: se nella prima privatizzazione abbiamo realizzato 150mila miliardi e non abbiamo ridotto il debito di una lira, cosa fa pensare che questa volta venderemo alle persone giuste realizzando il massimo e lo devolveremo alla riduzione del debito?

Risposta. Nulla.

Ai superpatrioti che rompono i timpani con la storiella ” l’acqua è pubblica e non si tocca” dedico la lettura dell’articolo 43. Della Costituzione:” A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici O A COMUNITÀ DI LAVORATORI O DI UTENTI , determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di ENERGIA O A SITUAZIONI DI MONOPOLIO ED ABBIANO CARATTERE PREMINENTE DI INTERESSE GENERALE.
Amen.

Antonio de Martini
Fonte: http://corrieredellacollera.com
Link: http://corrieredellacollera.com/2012/06/15/vendere-il-patrimonio-dellitalia-a-chi-e-perche-di-antonio-de-martini/
16.06.2012


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