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Adieu, tenaci contadini di montagna!

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Armando Dado' e' l'editore piu' noto del Ticino. Produce libri di storia locale o nazionale. Ha un carattere deciso che ha lasciato in eredita' ai figli. Uno continua l'attivita' editrice, l'altro fa il politico e arrampica sugli ottomila del pianeta, quando prende le vacanze.

Ma dire Dado' e' dire Vallemaggia. E dire Vallemaggia e' soprattutto dire delle sue innumerevoli valli laterali, la cui dura vita racconto' in modo mirabile Plinio Martini nel "Fondo del sacco".

Il primo documentario che segnalo qui, recuperato dagli archivi della RSI, allora TSI, e' una lunga intervista realizzata nel 1996 con l'ultimo Dado' vecchio stampo, uno che ha passato tutta la propria vita a fare il contadino di montagna. Impressiona la quantita' di sassi e macigni che gli hanno fatto compagnia, oltre alla moglie ed alle solite bestie, che sono loro a trasformare l'erba che spunta fra un masso e l'altro in latte e carne. Sono le bestie il vero patrimonio del contadino di montagna. Mansuete le mucche, piu' selvagge le capre, che pero' vanno ovunque e producono un latte molto speciale e saporito.
I gesti del contadino di montagna sono uguali un po' ovunque. Anche i pochi attrezzi del mestiere si assomigliano in modo impressionante: il gerlo, la falce, la roncola, il pignattone di rame.

Infatti a oltre cento chilometri di distanza, in Valle Bregaglia, che fa parte del Grigioni italiano, usava gli stessi strumenti un altro contadino di montagna di quelli tenaci. Il documentario a lui dedicato e' stato realizzato nel 1999. Questo uomo dei monti conduceva vita davvero solitaria, anche se aveva la compagnia delle solite mucche e delle capre, magari un gatto, ma niente cani, per carita'.
Il dialetto bregagliotto e' assai diverso da quello di Cavergno, paesello del Dado'. Comunque ci sono i sottotitoli. La filosofia di vita dei due, cresciuti in posti assai lontani fra loro e' stata suppergiu' la stessa. Diciamo che facevano parte di tribu' native del sud delle Alpi diverse fra loro eppure simili per usanze e costumi.

Vedendo all'opera il contadino delle montagne bregagliotte m'e' venuto in mente l'uomo di Similaun, quell'individuo di 5mila anni fa', trovato nel ghiacciaio del Similaun a cavallo fra Tirolo italiano ed austriaco. Me lo immagino da vivo proprio cosi', camminare con lo stesso incedere deciso, identico al nostro indefesso bregagliotto, che mai e poi mai sarebbe andato ad abitare in citta', perche' quella vita non faceva per lui.

E' gente di questo stampo che sara' capace di sopravvivere se capita un bel disastro, tipo crollo della globalizzazione per raggiunti limiti di vario tipo. Gente cosi' non sa nemmeno cosa sia lo sciopero ne' tanto meno il sindacato. Pero' ha lo stesso un suo senso dello stato, soprattutto sa apprezzare le rinunce fatte in nome della liberta' di vivere in mezzo alla natura. Cosa che ben pochi si possono permettere, ma ancora in meno intendono fare. Eppure qualcosa si muove sotto sotto. Qua e la' ci sono giovani famiglie che tornano a vivere in villaggi ritenuti scomodi.

Osservando i due documentari mi chiedevo: ma cosa hanno da offrire Barroso, Monti, Van Rompuy, Juncker, Draghi a gente cosi'? Possono solo rubargli la liberta'. Liberta' le cui precondizioni sono piuttosto semplici: vivi laddove non ci sono apparentemente risorse naturali: niente oro, petrolio, ne' comode vie d'accesso, nemmeno per i cavalli del far west.

Ecco perche' in certi posti non serve la ruota: perche' e' perfettamente inutile, l'e' un infesc! Anche il cavallo e' inutile. Magari ce la fa un asinello o un cocciuto mulo. Alla fin dei conti e' molto piu' semplice andare a piedi. Al ritmo che ne consegue, con la tenacia che cio' implica.

Quelli che parlano di decrescita felice sono pronti a fare questo genere di vita? Sono coscienti che non c'e' posto per tutti? Se ben ricordo il territorio necessario agli indiani nativi americani era di 1 km quadrato per persona. Anche loro usavano fare transumanze periodiche.

Questi nostri contadini sono in fondo lo specchio europeo di quello stile di vita, che la globalizzazione ci ha ormai portato via. Poveri illusi quelli che pensano che gli asilanti Eritrei vadano su a fare il lavoro dei nostri due! E' un mondo che sparisce, per il momento. Ma tornera', ne parleremo dopo la prossima glaciazione o dopo il prossimo olocausto nucleare o di qualunque altro tipo.

Siamo troppi, e siamo troppo sciocchi da far sparire quei pochi che forse hanno capito che la vita puo' essere vissuta dignitosamente con poco. Senza tanti gadget. I nostri due il loro gadget, il gerlo, se lo sapevano fabbricare da soli. Quanti di noi sanno fabbricarsi il telefonino?

I due documentari che definirei da museo etnografico, sono visionabili qui:
http://www.rsi.ch/la2/programmi/cultura/superalbum/Storie-di-alpigiani-2448019.html

Molto belli, grazie. É interessante come entrambi dimostrano di adattarsi alle cose ma di faticare a sopportare le situazioni. Il primo lo dice in modo magnifico, l'emozione (lui la chiama vergogna) di rivedere la madre é una "fatica". Magnifico. Il secondo si ricorda che quando é stato a Milano é tornato con la "testa grossa", e poi dice un'altra cosa notevole: é un dono di Dio imparare a sopportare la solitudine, se avesse avuto un figlio glielo avrebbe insegnato! Il problema lo avevano individuato anche i filosofi dell'antichità, avevano capito che prima o dopo, ad un certo punto, inesorabilmente, uno individua la sua solitudine, e se non la sa sopportare sono dolori.
Non incontro problemi con i due dialetti, qualche parola si chiarisce col contesto.
Grazie per la "selezione".

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