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Autoanalisi Surrealista


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Se faccio una analisi profonda su di me e la estendo a ogni episodio di cui ho memoria, di ogni evento di cui sono parte, di ogni sensazione e di ogni percezione, rimane un unico denominatore comune, costante e insopprimibile.

Ora però prima si svelarlo (cosa che farò tra poche righe) devo anticipare che ogni volta che direttamente o indirettamente tiro fuori l'argomento, vengo sempre tacciato per quello che "vuole accentrare su di sé l'attenzione", vuole "fare il figo" o "la gara" anche se in via un po' autistica. Non nascondo che ho certamente dei tratti nello spettro, mi riconosco un poco autistico e per questo ho voluto approfondire la questione facendone argomento della mia vita. Ma un conto è il desiderio di esaltare l'ego, un altro è il desiderio di capire e comunicare che con l'ego non centrano un fico secco. Non si può sopprimere il desiderio di comunicare senza manifestare una patologia che va oltre l'autismo anche nelle forme più gravi: lo stato vegetativo non è esattamente l'autismo e tra l'altro Edgar Allan Poe ci suggerisce con i suoi romanzi che l'incapacità di comunicare non implica la soppressione del desiderio di stabilire un contatto.

Quel denominatore comune quindi, non è qualcosa che percepisco come "un esaltazione egoica", qualcosa di cui andare fiero o essere orgoglioso, ma al contrario un peso sgradevole tremendo, sulla soglia dell'insopportabile. Tanto che morire sarebbe un sollievo per me anche se la sofferenza che può precedere la morte mi incute timore. L'unica cosa più forte è la mia morale che non accetta il suicidio (in nessuna forma) come soluzione.

Allo stesso tempo però non vorrei che si creassero delle forme "simpatetiche" tra me e il lettore, tipo "anche io sono fatto così", non perché voglio fare l'antipatico e non mi piace la simpatia, ovviamente. Tutt'altro! Solo che è qualcosa di troppo intimo e non saprei confermare se davvero è così, questo richiederebbe per ciò un "processo di verifica" che risulterebbe eccessivamente invasivo, intollerabile per chiunque, anche un santo! Quindi ognuno valuti in silenzio se per lui vale lo stesso e non me lo faccia sapere, per favore.

Vengo al dunque: l'unica costante che trovo nel mio profondo, in tutto il mio percorso di vita è l'affermazione "non centro niente", nel senso che non riesco a sentirmi completamente parte di niente. Nessun evento, nessun pensiero, nessun contesto che mi coinvolga. Ad esempio la religione cattolica: riconosco tratti che mi suonano "famigliari" ma con me "quella roba lì" così com'è "non centra niente". A questo si abbina la domanda correlata: "cosa ci faccio qui?" a cui segue pedissequamente "non centro niente". Aggiungo che quella percezione (non verbale) non intende sollevarmi da nessuna responsabilità, anzi, tutto l'opposto, mi costringe ad essere responsabile per qualunque cosa e di qualunque cosa. Se io infatti non centro niente perché non so cosa ci faccio qui, qualsiasi tentativo di comunicare provoca disturbo, esattamente come farebbe un "estraneo", almeno in parte. Io mi sento così quindi, qualcuno o qualcosa che a prescindere "disturba" e che (suo malgrado) non può nemmeno fare a meno di comunicare. Posso anche stare in silenzio (e riesco a farlo per tempi molto lunghi senza soffrirne, ci ho provato) ma tanto il corpo è una specie di diapason: basta e avanza il pensiero per "disturbare" me e l'ambiente insieme! Quindi il mutismo rimane una forma di fuga inutile e patetica.

Uno dei miei sogni (si lo so, non me lo dite che "sono io il disturbato" ... è una battuta che faccio spesso a me stesso) è sperimentare la macchina di deprivazione sensoriale per un tempo indefinito. Cioè sigillare il mio corpo dentro un ambiente isolato dove ogni senso sia disattivato e tanti saluti. Che non è "normale", non c'è bisogno che me lo si dica. Non credo che siano in molti ad avere questo sogno. Il dr. Lilly che inventò l'apparecchio (una vasca) lo fece solo perché voleva capire cosa succedeva deprivando il corpo dei sensi e una volta capito che veniva compromessa la stabilità psicologica fino al crollo e alla morte (però per completezza ce da aggiungere che lui faceva anche un uso della vasca combinato con LSD) non è mai stato consentito per applicazioni civili di spingersi oltre un esperienza di qualche minuto. Un esperienza cioè "pericolosa" quanto una giostra da luna park.

Io ho voluto provare l'apparecchio e dopo qualche tribolazione ci sono riuscito. Non so se ancora sia possibile, ma certi centri di rilassamento lo permettevano almeno fino alla fine degli anni '90 con vasche ricavate da quelle originali per principio, ma che consentono una permanenza "lunga" di non oltre 10 minuti (per la tutela dell'integrità psicofisica dei clienti e per la sicurezza legale del servizio, ovviamente). Quando ho provato, subito (ed è raro) ho sperimentato un senso di leggerezza e di pace che non credevo nemmeno possibile (prima) al punto che mi ha dato sinceramente molto fastidio "smettere" e me ne sono lagnato con il gestore, ma lui non poteva farci niente: era regolato così l'impianto dall'installatore e lui poteva manipolarlo a suo rischio e pericolo, ma solo fino a un certo punto e solo dopo che varie "visite" lo avessero tranquillizzato circa l'impatto psicofisico sul cliente.
Da questa esperienza ho ricavato che per me "vivere" equivale a un "disturbo", ma allo stesso tempo la vita non posso non considerarla un valore assoluto. Ci ho provato, ma non ci riesco a basta a considerarla diversamente e nemmeno sopporto più il cinismo (adesso).

Potrebbe essere lecito immaginare che da quel momento ho desiderato riprovare (come una droga) la vasca di deprivazione. No, interrompere così presto l'immersione è stato troppo brutto e non vorrei mai e poi mai sperimentare di nuovo quella sensazione sgradevole, piuttosto sparo al proprietario prima (seriamente) e manometto il meccanismo che regola i tempi (dopo). Quindi è meglio rinunciare del tutto: troppo complicato e non ce la farei (a manomettere il meccanismo :p ). Scherzo ovviamente, ma allo stesso tempo vorrei passasse il contrasto che spiega molte cose sulla natura dei miei POST.

"Io non centro niente" è il mantra che mio malgrado mi trascino dentro e che cicla perpetuo a prescindere con la domanda "che ci faccio qui?". Ho fatto di tutto per spegnere, rinnegare, interrompere, reprimere questo "ciclo". Davvero di tutto. Poi mi sono arreso all'evidenza che era impossibile e che faceva parte di me come una verità incontestabile, qualsiasi cosa volesse dire. La radice dell'evidenza evidente che non si può ignorare, che non posso ignorare, pur rimanendo sullo sfondo come un sussurro così lieve che si potrebbe fare finta che non c'è senza che cambi niente.

A quel punto, dopo aver accettato la realtà incontestabile e immutabile in me, che sembrava all'inizio così fragile e sottile da essere cancellabile e invece era la forza forte che si imponeva su tutto, dopo e solo dopo, ho capito che il problema era la sua interpretazione, non la sua presenza. Il fatto che non mi sentissi mai completamente parte di niente, significava che da qualche parte, non so dove, non so quando, invece avevo provato la sensazione di fare parte completamente di tutto. Non esiste se no la possibilità di provare quella sensazione di "incompatibilità", non sarebbe coerente. A questo punto il mio animo ha cominciato a dare istintivamente "la caccia" all'incoerenza in ogni manifestazione che mi circondava, da prima poco alla volta e poi come una cascata, fino a "vedere" il mondo nel suo aspetto più "surreale", in pieno allineamento con i movimenti neo-surrealisti (di cui l'immagine tratta da un opera di Michael Cheval). Ora non ho nessun controllo di quel meccanismo e ne sono consapevole, per ciò mi scuso spesso. Vedo l'incoerenza e so perché la vedo e so che è proprio quello che vedo, non riesco a non descriverla ma allo stesso tempo mi rendo conto che quello che scrivo da "disturbo" e non potrebbe altrimenti. Magari qualcosa mi può sfuggire (e spesso mi sfugge) ma solo perché sono disattento, non perché "privo della vista" (interiore ovviamente) verso la nuova surrealtà che ci circonda.


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