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Logica e Narrativa


GioCo
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
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Sto per scrivere un pezzo un po' complicato e mi scuso in anticipo se non sarà chiaro a tutti. Il mio intento è sempre di ragionare e (in quest'Opera) indurre alla riflessione chi mi segue.

Non mi preoccupano per ciò le critiche, sono il primo ad ammettere che il mio ragionamento potrebbe essere sbagliato. Semplicemente non lo cambio finché non trovo qualcuno che ne oppone uno più convincente (che può essere ugualmente sbagliato).

La prima parte riguarda la logica che per un effetto storico intendiamo generalmente un legame di causa ed effetto, tipico del pensiero aristotelico. Già in matematica però quella definizione ha un vago sentore filosofico che indica l'approccio allo studio della matematica stessa, dato che la matematica non ha alcuna definizione formale per la logica. Curioso, vero?

Ma questo secondo il mio modesto parere ha un senso, dato che la logica non ritengo sia definita dalla matematica ma dalla geometria. Infatti è sempre possibile definire una logica certa e inequivocabile che realizza una serie geometrica. Mentre in una serie matematica è esattamente il contrario, devo definire il principio (in analisi) a partire da un osservazione della realtà misurabile (cioè da un rapporto di proporzione) da cui poi posso ricavare una logica simbolica. Tuttavia la logica simbolica matematica di una serie rende del tutto impossibile risalire al principio, senza conoscere almeno il significato del simbolo.

Questo perché la logica geometrica si rifà a relazioni tra i segni (autodescrittivi) e che possiamo riconoscere senza aver studiato con le sole facoltà specie specifiche ricevute per eredità biologica, mentre la logica matematica si rifà a relazioni tra il segno e il significato attribuito convenzionalmente per indicare un principio (che di per se non ha niente di logico) per ciò capire "i geroglifici" matematici impone un dizionario, cioè una conoscenza legata alla tradizione che deve essere trasmessa e che riguarda un principio attribuito "a casaccio" a un segno.

Lo stesso passaggio cognitivo matematico si ha quando impariamo a leggere e scrivere. Che "A" segno, corrisponda a un fonema, lo impariamo per tradizione scolastica (in Cina ad esempio imparano a leggere il segno in tutt'altro modo) e diventiamo nel tempo così bravi che non appena vediamo quel segno la nostra mente da sola lo traduce in quel suono: tutto ciò è però pura convenzione ammantata di storia, per ciò è tradizione. La bravura nel tradurre il segno (cioè l'immediatezza) è dovuta solo all'esercizio. Allo stesso modo funziona la preghiera e il dogma religioso. Ma anche il carosello e la propaganda. L'esercizio che ripropone l'associazione del segno al suo significato corrisponde per ciò alla ripetizione.

L'esercizio però non vale solo per l'apprendimento tradizionale, ad esempio delle tradizioni scritte in una certa lingua, ma anche per le stesse facoltà cognitive tra cui spicca la logica. La natura non spreca nulla e se una facoltà non serve, tende a deprimerla. Logica inclusa.
Noi abbiamo il territorio letteralemente coperto da opere geometriche. Prendiamo il ponte di Leonardo: è un ottimo esempio di applicazione geometrica in architettura. Prendiamo le chiese, soprattutto quelle rinascimentali: la geometria rieccheggia nella logica strutturale. Sembra assurdo dirlo quindi ma semplicemente andare in chiesa e stare in contemplazione della sua geometria, aumenta le facoltà logiche. In verità, non aumenta un bel nulla, semplicemente attiva la mente per tramite dell'occhio all'uso della facoltà già ereditata geneticamente evitando che si deprima. Però attenzione che la natura (tutta) si esprime con lo stesso linguaggio geometrico coerente in se stesso, per ciò anche un ambiente molto ricco di vegetazione tende a dare lo stesso "imprimatur" allo sviluppo della facoltà della logica, che poi noi brutalmente traduciamo in "vedere la verità". L'urbanistica di una metropoli invece? Lascio a voi la risposta.

Siamo arrivati al termine chiave: struttura. In uno dei film "Matrix" a un certo punto appare un personaggio chiamato "l'architetto" che ci viene detto essere il capo del progetto della struttura di Matrix, quindi il sommo rappresentante dell'intelligenza artificiale delle macchine. Devo dire che ho odiato quel pasticcio tipico di un prodotto caotico (e degno d'essere lasciato alla madrelingua inglese) dato che avrebbero dovuto chiamarlo "Il Matematico" non "l'Architetto", se avessero voluto essere coerenti. La base con cui è concepita infatti l'intelligenza artificiale è la somma algebrica (anche se la sottrazione si ricava da un trucco tecnico tramite somma) e tra l'altro a tutt'oggi nemmeno nel dominio di qualsiasi valore Reale, ma di insiemi finiti e discreti. Se infatti l'intelligenza artificiale impara un sacco di cose, deve imparare da noi come si gioca a scacchi (non può "impararlo da sola") continuando però a non avere idea del perché vi siano certe relazioni gemetriche (un CAPTCHA rende complicato a un programma intelligente "leggere" e -ma va là?- si costruisce su relazioni gemetriche con il segno e il significato) o se le regole "rimangono le stesse" sempre (dato che sono convenzionalmente attribuite). L'intelligenza artificiale è bravissima ad attribuire significati convenzionali a simboli, perché è costruita su quell'impianto strutturale che di base non ha nessuna logica e non può in nessun caso esprimere logica, infatti non sa fare il contrario, risalire a una logica geometrica partendo da un simbolo. Per ciò esprime perfettamente il caos che è la mancanza di logica geometrica, ma non l'ordine, cioé la facoltà di "lettura logica di qualsiasi apparenza" anche quella caotica.

Da queste poche righe iniziamo quindi a distinguere la logica narrativa (che è tipicamente caotica e di "impronta" matematica, potremmo dire "inversamente logica") propria del rapporto tra il segno e il signficato convenzionale che si traduce in tradizione (e rituale, cioè ripetizione) e la logica in senso stretto, propria del rapporto autogeno, tra segno e il segno che non si traduce proprio, porta con se tutto il significato da "vedere".

In questo senso si può dire che sulla realtà comanda sempre il simbolo, cioè il segno o relazione geometrica.

Concludo con una affermazione: un computer può sempre riconoscere un altro computer e per esclusione l'Uomo (se non è un computer allora deve essere un uomo) mentre l'Uomo fatica a distinguere un computer perché tende a proiettare sulla macchina attributi che in effetti la macchina non possiede (lo fa anche con l'animale da compagnia di casa, ma lasciamo perdere che il discorso è lungo). Lo fa perché provare affetto è una circostanza necessaria e complessa biologica che genera attaccamento a sua volta necessario per lo sviluppo intellettivo. Tuttavia l'affetto non ha un confine espressivo, si può letteralmente spalmare su qualsiasi cosa: l'automobile, il cellulare, le fedi nuziali, delle foto, il partner, la spada. Non c'è limite. Ma proprio per questo il computer non è in grado di fare altrettanto e questo porta con sé che solo l'Uomo può sfruttare il computer, nessun computer potrà mai "sfruttare l'Uomo", a meno che non sia egli stesso a volerlo. Ma in questo caso sarà sempre e comunque uno sfruttamento cieco e del tutto illogico.


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