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Mio fratello...


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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[immagine tratta dal film "Crimson Peak" del 2015 diretto da G. del Toro]

C'è un che di magico, attraente, inquietante, antico (anche nel senso di "vecchio") e proprio di una agiatezza passata nella parola "fratello" come se oggi questo termine dovesse indicare qualcosa di oscuro ma che in passato era straordinariamente luminoso e per ciò siamo come "condannati", ma forse sarebbe meglio dire "chiamati da un ordine superiore" a riscoprire quel passato luminoso ogni volta "nuovo" eppure senza tempo.

Il che ci porta all'assedio che avvolge d'oscurità il cuore dell'Uomo.

Tutto ciò non può che ricordare la tradizionale parabola di quel Fosforo (Phosphoros era un epiteto di Apollo) corrispondente al latino Lucifer, quel portore di luce che era anche identificato con l'astro del mattino, Venere e per ciò era Inanna per i Sumeri e Tioumoutiri per gli egizi. Un astro che nel mito cadde al centro della terra per una tragica fatalità o a causa di un tradimento cercato e voluto (per altri).

Per un certo occultismo ed esoterismo, lucifer indicherebbe il detentore di una sapienza inaccessibile all'uomo comune e per ciò associato alla ragione e al raziocinio. Ma il centro della terra se viene sostituito con il corpo è il cuore. Quindi se il mito rimane metafora, allora la caduta dell'Uomo è nel suo centro e tiene per metà il suo cuore nel ghiaccio... O nel legno nel caso di Pinocchio.

Ma c'è dell'altro.

La Storia umana rieccheggia in stanze vuote di un antico, lussuoso e vasto castello che emerge da Fiabe Oscure, qualcosa che di certo trae origine dalla tradizione e nel mito prediluviano, come un dejavu, ma che non è la traduzione fedele della caduta (di segno e significato) del primo tra gli astri che fu prima di genere femminile e poi maschile, da Venere al Sole.

Cosa dice quest'eco? La traduzione pare ardua ma con pazienza si riesce a cogliere che l'epicentro di tutto sta nella separazione della passione dalla ragione e la conseguente condanna dell'una o dell'altra (a seconda) come già il pensiero di tanti filosofi ci ha abituato a ritenere. Come fossero due enti distiniti e da contrapporre, intenti a farsi la guerra reciprocamente.

Due fratelli, uniti nel cuore e in spirito ma separati dall'intelletto e dal fato.

Splendido, tragico e appassionante. Peccato che sia nient'altro che il prodotto della propaganda propria del credo cattolico, oggi sottolineata a più riprese come se alla fine la ragione (teologica inquisitoria) avesse prevalso sulla passione del cristo (QUI).

Ma di più ancora, sia della ragione che della passione abbiamo significati distorti, come riflessi in uno di quei labirinti di specchi, dove superfici deformate rimandano ai sensi immagini mai aderenti all'originale. Tanto che la ragione diventa una ragione per avere fede e la passione una per non averla.

Passione viene dal latino, è il participio passato del verbo soffrire (=sofferto) ed indica quindi il prodotto (positivo) di un esperienza negativa, ma soprattutto indica un percorso (emotivo) iniziatico, metafisico e quindi tutto fuorché fisico (come invece è la rappresentazione della crocefissione). Riflettiamo un attimo. Quando passo attraverso un esperienza negativa emotivamente significativa, dopo, passato il peggio, posso avere due esiti (fondamentali): la posso considerare come utile per la mia crescita spirituale o inutile e in questo caso la subisco "per sempre" (o almeno finché non la riconsidero con luce nuova e "spiritualmente utile"). In un certo senso quindi è una condanna finché non trovo la forza per dare un significato che rimetta l'esperienza in linea con l'utile che altro non è se non un modo per vedere l'aspetto organico e omeostatico tra il mio sistema psicofisico  (timico e nervoso) e gli eventi che si susseguono senza sosta.

Tuttavia il passaggio per considerare in modo costruttivo un esperienza emotivamente sofferta, non potrà che essere razionale, cioè una qualche forma di elaborazione "pensata".

Quindi in questo senso la ragione può essere tanto un metro per sigillare una sconfitta, cioé creare una ragione ragionevole (come la chiamo spesso) per significare come inutile l'esperienza emotiva e quindi relegare una parte di noi in un qualche anello dei gironi infernali, oppure elaborare quell'esperienza in chiave differente dandogli un significato aperto, funzionale a una certa utilità che ci spinga verso il miglioramento (o il perfezionamento) di noi stessi, in armonia funzionale al nostro equilibrio psicofisico.

A questo proposito potrei ricordare un episodio noto di Star Wars ("L'Impero colpisce ancora") quando Luke completa il suo addestramento con il Maestro Yoda (QUI) e la saga era ancora in mano a Lucas: la prova finale consiste nell'inoltrarsi nelle foreste di Dagobah dove affronterà lo spettro di Dart Fener, preparandosi allo scontro che conclude l'episodio in cui lo stesso nemico giurato gli confesserà di essere suo padre.

Un altra vicenda che vorrei citare a questo proposito è più personale e chiude il cerchio rispetto al titolo.

Avevo un fratello più giovane che amavo. Certo era un amore/odio come spesso accade tra fratelli, ciò non di meno gli volevo bene. Di errori con lui ne ho commessi molti, però un incoerenza (al solito) che riguardava il nostro rapporto mi ha fatto molto riflettere in questi anni, soprattutto alla Luce di questi tempi così caotici. Proprio come Luke li vedo stranamente "preparatori" al dopo, in un senso quasi veggente. Lui era convinto (al contrario di me) che la Vita si concludesse con l'esistenza terrena e che non c'era proprio nulla oltre. A detta di tutti (me compreso) era anche molto più intelligente della media (e di me). Aveva passato anni a studiare in biblioteca il passato e in particolare l'epoca romana. Aveva concluso alla fine che l'evoluzione storica che aveva portato alla fine dell'Impero di Roma era dovuta principalmente all'incompetenza. Affermava che a un certo punto la scelta per le cariche pubbliche non veniva più basata sulla capacità e sulla preparazione, ma in base al prestigio e unicamente per questioni politiche. In altre parole il vizio di eleggere "gli amici degli amici" su base fideistica e non razionale e meritocratica ebbe inizio (secondo lui) nel nostro paese con il cristianesimo, per garantire ai cristiani il potere e da allora non è mai più venuta meno.

Oggi penso che probabilmente avesse ragione ma solo in parte, nel senso che la caduta dell'Impero è sicuramente dovuta a molte variabili, come un periodo molto lungo di carestia dovuta a questioni ambientali, oltre a una certa corruzzione diffusa dovuta agli eccessi e all'abbondanza di ricchezze cumulate e l'indebolimento delle difese militari che diedero impulso alle invasioni babariche.

L'introduzione del cristianesimo in funzione "disorganica" (per via delle troppe incompetenze e inefficienze) nel preferire il fedele (=ignorante) al cittadino romano istruito ma politeista ebbe però l'effetto di dare una spallata alla già traballante stabilità politica imperiale, resa tale per tutti gli altri fattori e non fu certamente utile nemmeno successivamente per trovare una riunificazione della geografia territoriale nonostante i tentativi di ricostituire un Impero Romano in st'accidente di occidente continuarono in seguito per oltre mille anni senza successo, cioé fino circa la scoperta delle Americhe.

Tutto ciò in un perfetto paradosso, dal momento che la religione era fortemente centralizzante, condivisa e diffusa, ma da sempre, dalla sua canonizzazione, sembrava non produrre altro che decentramento, cioé scontro politico.

Un buon punto di partenza per capire questo aspetto pubblico di decadenza e degradazione riguarda le famose vie romane che collegavano tutto l'Impero, strutturalmente nevralgiche per tenere sia i contatti che i commerci, oltre che per garantire gli spostamenti rapidi delle truppe, tanto che funzionava come un sistema cardiocircolatorio per l'Impero, eppure nessuno seppe/volle a un certo punto più manutenerle (a me ricorda molto ad esempio la parabola delle linee telefoniche "privatizzate" e l'assenza di manutenzione organica conseguente in una struttura vitale per l'esistenza stessa della infrastruttura digitale su cui si sta basanso "solo" tutto il nostro futuro centralizzato, oppure la stessa parabola delle linee ferroviarie e fra poco elettriche e dell'acqua).

Certo, possiamo anche vedere la parobola discendente della Roma antica come un susseguirsi di eventi e in questo senso la cristianità potrebbe semplicemente inserirsi in uno di questi entro un processo di corruttela già certamente fiorente nell'Impero, tanto da non garantire nemmeno prima che le cariche fossero nominate su base meritocratica, più di quanto poi accadde successivamente quando prevalse la scelta religiosa. Anzi, potremmo persino pensare che proprio in reazione a un diffuso malessere sociale, la cristianità come principio etico ebbe buon @GioCo e divenne popolare proprio per questioni morali e socio-politiche non diversamente da quanto sta accandendo oggi nella nostra epoca.

Ed è qui che in una spece di strana armonia si incontrano l'epilogo di Roma, il senso che mio fratello diede a quei momenti storici, addossandone la colpa interamente a un ordine dottrinale cattolico che detestava e che di fatto ha forgiato la cultura e il pensiero occidentale negli ultimi duemila anni e l'epilogo di Vita di mio fratello.

Un senso che osservo denso, stratificato e premonitore.

Mio fratello non era solo molto intelligente e non considerava solo la Vita come una parentesi unica e irripetibile in cui tutto ciò che avviene e tutto ciò che conta, non dissimilmente a certe correnti luciferine molto materialiste, ma soffriva anche di depressione bipolare e credo proprio (oggi) non fosse un caso.

Mio fratello che considerava la Vita tutto in quanto unicamente espressa entro la sua parentesi terrena e di conseguenza chiusa entro l'aspetto materiale, in un perfetto luciferino paradosso di senso compiuto (cioé un insieme di passaggi verosimili che presi singolamente e approfonditi non hanno senso compiuto, ma uniti insieme rimandano l'uno all'altro "autosostenendosi" vicendevolmente) era giunto alla conclusione che solo togliendosi la vita avrebbe posto fine alle sue sofferenze.

Egli infatti soffriva senza motivo e lo ribadiva spesso: era lucidamente cosciente che stava soffrendo ma rimaneva incapace di trovare un senso alla sua sofferenza; la sua superiore intelligenza non riusciva ad aiutarlo e dall'esterno non ebbe altro aiuto se non quell'etichetta medico sanitaria psicoanalitica, "depressione bipolare", che spiegava tutto e niente allo stesso tempo, condannandolo a un girone infernale di pensieri negativi.

Allo stesso modo avrebbe potuto essere un emicrania o un qualche altro malessere fisico privo di una eziologia chiara che non passava e per ciò tale da condannare il sofferente alla convivenza e all'ignoranza.

Da qui "conoscienza" che non è dottrinale (=verbale) ma sistemica, allegorica, metaforica e per ciò eminentemente preverbale e paraverbale, cioé propria delle cose che vengono prima delle parole e poi dopo rimangono intorno alle parole, costituendone la cornice e per ciò ORGANICHE all'intelletto e non separate.

La finta contrapposizione tra emozione e ragione ha quindi solo radici culturali e per quanto ne so per lo più confinate a st'accidente di occidentale.

Alla fine mio fratello riuscì nel compito che si era prefisso: trovare un modo per aggirare l'unico ostacolo alla necessaria soluzione finale, eludere l'istinto di autoconservazione al fine di suicidarsi. Si tolse la vita e forse fu felice di riuscire almeno in quel gesto e per l'attimo in cui poté portare a compimento la sua lunga e laboriosa opera "ragionevole" a spirale negativa.

Ecco, per me invece che risultavo più stupido, tutto ciò appariva certamente "strano" ma non privo di senso. Certo, all'epoca non avevo uno strumento di analisi tale da giungere a un "pensiero pensato" di questa complessità, cioé un metodo in grado di tradurre in parole e logica ciò che per la massa rimane inesplicabile e irragionevole: l'atto estremo che toglie la Vita come fine ultima di un ragionamento logico inappuntabile ma condotto entro un sistema emotivo caotico.

Partendo dal mio metodo diviene semplice la decodifica e con la massima "l'emozione comanda sempre", che noi la osserviamo o no o che noi lo vogliamo o meno, rimarremo coscienti che è l'emozione a comandare, come le onde dell'oceano perché viene prima e rimane intorno alle nostre ragioni, in rapporto con noi come la barca a Vela con il mare, non ne fa parte ma le accompagna e le rende Vive, da loro valore e significato, per ciò non è MAI "contro" la logica ma come l'iniettore per un motore, la logica è una parte costitutiva del complesso più generale che presiede un processo in divenire che non si conclude finché almeno il mediatore corporeo rimane in funzione.

Come ogni parte essa si inserisce nel rimanente con le sue proprie costituenti, che non possono in alcun modo fare altro che inserirsi organicamente nel resto del costrutto (corporeo).

Certamente l'elemento (=ragione) può incepparsi e in questo caso il motore perderà colpi, funzionerà male, potrebbe anche rompersi o per dirla in termini umani "suicidarsi".

L'organicità implicita del costrutto infatti non ci dice nulla poi circa il suo buon funzionamento generale che dipenderà da come le singole parti componenti operano rispetto a un interazione organica interiore. Nel senso che la funzionalità (costruttiva) dell'azione nel Mondo del Corpo, dipenderà eminentemente da un certo comportamento osservabile ben riconoscibile, che rifiuterà significati distruttivi e negativi generali complessivi, in quanto l'essere cerca di divenire organico con il Mondo se le sue ragioni originano dall'organicità interiore, in quanto per essere organici con il Mondo bisogna almeno prima esserlo interiormente.

Per ciò l'educazione che accompagna la crescita e lo sviluppo infantile, dovrebbe mettere al primo posto la necessità di sviluppare strutture altamente responsive e organiche con l'ambiente che circonda il bambino. Ma soprattutto dovrebbe tale ambiente garantire la presenza di un intenso scambio affettivo, sia tra coetanei che verso gli adulti perché solo tramite quello si può permettere l'azione (interiore ed esteriore) organica.

Putroppo gestire l'affetto è uno dei compiti più ardui per chiunque e troppo spesso prendiamo alla leggera questo aspetto, per incapacità, inabitudine e cattiva educazione. Se da una parte il cuore ci restituisce un mediatore eccellente, tale che nessuno strumento informatico per quanto l'I.A. possa divenire "potente" potrà sostituire, finché non diverremo coscienti della straordinaria complessità e potenza di questo mediatore e della necessità di comprendere le Sue ragioni, per liberarci dalle catene emotive dell'ignoranza non faremo altro che desiderare la fuga verso il mediatore elettronico.

Verso un "grande fratello" senza cuore e senza che per ciò sia mai a lui attribuibile "il concepimento" (sofferto) del suicidio e dell'omicidio, ma senza che ciò impedisca sia "eseguito" per conto terzi in via infinitamente più subdola.


alpho hanno apprezzato
Citazione
alpho
Eminent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 24
 

Potentissimo quello che hai scritto.. mi hai emozionato!! 


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Fedeledellacroce
Active Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 6
 

Grazie per condividere la vostra storia.

Anche io consideravo la vita come una mera parentesi prima del nulla, la morte.

Con gli anni, parecchi, la vita stessa mi ha mostrato che siamo piú che una mera parentesi. Mi ha mostrato che con dedicazione possiamo tenere a bada le nostre emozioni, soprattutto cercando di non affidarsi troppo alla mente, quello strumento che chiamiamo intelligenza. Purtroppo ci hanno insegnato che l'intelletto sia necessario per essere intelligenti, e allora lo riempiamo di concetti non nostri, che non ci appartengono.

La mente, soprattutto se raffinata, puó diventare il nostro peggior nemico.


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