Notifiche
Cancella tutti

La dolce vita


Tibidabo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1331
Topic starter  

"È meglio la vita più miserabile, credimi, che un'esistenza protetta da una società organizzata, in cui tutto sia previsto, tutto perfetto" (Steiner, in La Dolce Vita)

Il senso del film

Marcello fa parte di quella classe sociale sradicata e senza tradizioni che si abbandona alla ricerca dell'effimero in un mondo in cui nulla appartiene veramente più alle persone o al popolo ma tutto è mercificato per essere dato in pasto a una spiritualità che è diventata puramente "di consumo".
Religione, nobiltà, borghesia, amore, divertimento, tutto diventa un mezzo per "estrarre plusvalore" economico e morale.
Anche Cristo ormai è solo un idolo e nessuno è più in grado di cogliere il senso che per ognuno di noi ha il suo sacrificio.
Marcello "discende", si degrada (scendere e salire sono due dei "topoi" della sua esperienza come nel "Bidone" di pochi anni prima in cui il protagonista, un truffatore da due soldi, muore mentre cerca di risalire un fossato nel quale lo avevano gettato) si abbassa senza rendersene conto fino a "dichiarare", in un gesto significativo, che non è più in grado né vuole uscire dalle sbarre della sua prigione.

Al di là del messaggio, del quale a ogni visione si scopre qualche altro dettaglio e sfumatura, il film è molto bello e costruito in ogni particolare.

La musica

Il link al quale fare riferimento è questo

https://www.youtube.com/watch?v=21Ig3a-e2_Y

La musica dei titoli di apertura inizia con un tema ritmico (tema 1) dal minuto 01:00 (in forma A-B-A ma conta solo la parte A. Nella esposizione di un tema breve con questa struttura la parte B serve solo da contrasto e non viene sviluppata, come in questo caso).
Il tema 1 si arresta al minuto 01:24 sul nome di Anita Ekberg.
A quel punto inizia un confronto fra due altri temi che hanno la stessa radice melodica del primo ma sono diversi nel carattere.

Il primo (tema 2, una marcia "cattiva" tipica delle marce militari romane nei peplum degli anni '50) viene ripetuto (la prima volta) per 3 volte - con leggere variazioni - a partire dal minuto 01:27.
Le tre volte (del tema 2) arrivano fino al minuto 01:38 ma il temino da considerare va da 01:27 fino a 01:31 (le altre sono due variazioni).
A questo si contrappone un altro tema (tema 3, inequivocabilmente un tema gregoriano, per quinte parallele), stessa radice melodica degli altri due, che nella prima enunciazione va dal minuto 01:38 a 01:41.
La contrapposizione fra T2-T3 si ripete tre volte e finisce al minuto 01:57.
A questo punto la musica ha un nuovo arresto e riprende il tema 1.
Al termine una coda in diminuendo in cui si sentono solo gli echi della contrapposizione T2-T3, da 02:28 a 02:53 (clarinetti al basso per il T2 e per il T3 flauto con qualcos'altro).

Che vuole dire ossia come si lega al film?
La prima osservazione è che si tratta di un film d'arte con una colonna sonora scritta da un musicista di levatura internazionale quindi si possono fare tutte le ipotesi meno quella che "è musica che non significa niente".
Qualcosa voleva dire e Fellini gli ha sicuramente dato qualche spunto.
Per esempio la dissolvenza finale del pezzo, che è singolarmente lunghina se paragonata al resto, credo che sia stata richiesta per ammorbidire l'impatto della prima immagine ossia non far sì che la musica, con un finale in crescendo, in qualche modo si sovrapponesse all'incipit del "visivo" (che per di più è in silenzio).

Dopodiché il contrasto T2-T3 lo si ritrova in due situazioni durante la rappresentazione (se non me ne è sfuggita qualche altra ma in queste due c'è sicuramente e messa in evidenza):

1) quando Anita dopo l'atterraggio a Ciampino viene portata a Roma lungo la Via Appia Antica dove si trova il parco archeologico con la strada romana ancora intatta e altre note rovine.
A partire da 27:37

2) quando appare la cupola di S. Pietro nella scena fra Marcello e Anita sulle scale (che qui salgono) interne alla basilica (dal minuto 31:47)

Quindi rovine romane nel primo caso e una chiesa nel secondo.
Tenete presente che il film si apre con delle rovine romane e il Cristo che vi vola accanto.

Il T1 invece riappare nella scena a Via Veneto quando Marcello prende la macchina insieme ai nobili per andare a Bassano di Sutri (che oggi si chiama Bassano Romano, Il palazzo che vedete al minuto 200 è quello del film, Palazzo Giustiniani, sotto in foto). Dal minuto 155

A questo punto c'è da ricordare che esiste un pezzo molto conosciuto in cui, anche qui, c'è una insistita contrapposizione fra due temi, uno che rappresenta la "brutalità antico romana" ( nel brano di Respighi non è una marcia, come in Rota, ma l'incedere minaccioso e il ruggito delle belve del Colosseo) e un canto gregoriano, ed è il primo numero di Feste Romane di Respighi (Circenses), compositore fascista maestro dell'orchestrazione in stile "cinematografico" (di derivazione russa) che ha influenzato molti altri musicisti successivi.

https://www.youtube.com/watch?v=SfPEK9-S7ms

Inizio spettacolare poi la "contrapposizione" che comincia a 01:33 è abbastanza pallosa.

Quindi c'è un'idea in comune, ma c'è anche qualcos'altro e cioè la conclusione dell'ouverture di La Dolce Vita (la dissolvenza) con una particolare chiusa della frase nel finale (tre note ma importanti) uguale a un altro pezzo sempre di Respighi di carattere romano che illustra il Gianicolo di notte, entrambi i brani in diminuendo e questa doppia somiglianza a mio avviso potrebbe indicare che quella contrapposizione in Respighi "antica Roma brutale- speranza del Cristo", che naturalmente è anche la cifra del film di Fellini, ha effettivamente ispirato Rota (il brano del Gianicolo di Respighi prosegue ancora per un po' ma la chiusa vera è in quella "cadenza" di tre note, ripetuta successivamente dall'arpa, il resto sono gli uccellini dell'alba che introducono il passaggio senza soluzione di continuità all'ultimo numero della suite).

Qui Respighi dal minuto 14:22 a 14:25

https://www.youtube.com/watch?v=IvgyfqzLC0A

Nino Rota lo trovate nel link del film da 02:46 a 02:50

In conclusione: secondo me con quella musica di apertura Rota ha voluto rappresentare musicalmente una indicazione di Fellini che (in un film ambientato a Roma) gli ha suggerito un contrasto fra la brutalità spietata antico romana (cioè "della vita") e la speranza offerta dal Cristo.

Il film

Roma e Cristo

Infatti come si apre il film? A 02:54 si vedono le rovine dell'acquedotto romano nel parco archeologico dell'Appia Antica.
Maestosa costruzione in rovina e deprivata della sua sacrale regalità di edificio di pubblica utilità ma anche di rappresentanza politica del potere (come scrive Ranuccio Bianchi Bandinelli in "L'arte romana nel centro del potere") dalla presenza sotto a destra di un campetto di calcio un po' scalcinato.
Subito, con qualche secondo di onirico silenzio, appaiono da lontano degli elicotteri che portano in volo la statua del Cristo.
Roma in rovina, il Cristo che vola trionfante: la brutalità dell'antica Roma è stata sconfitta dalla speranza della religione.
Quel Cristo non è il Bambino né il Crocifisso ma "Il Salvatore risorto dalla morte" che con le braccia aperte accoglie il mondo e lo redime con la sua Grazia ossia il 'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ il cui acronimo segreto è Ἰχθύς, "Pesce".
Visto che si tratta della scena immediatamente successiva alla musica di apertura credo che una qualche plausibilità ci sia nell'ipotesi, tenendo sempre presente che se non è questa deve essere un'altra, non si può dire che è musica buttata là senza un significato intenzionale del compositore d'accordo col regista.

Ma quel Cristo è una statua portata da elicotteri quindi è, senza dubbio, un "Deus ex machina".
Il Deus ex machina però deve apparire alla fine delle rappresentazioni a risolvere le situazioni inestricabili, non all'inizio.
Questa dunque, secondo il regista, è una salvezza falsa, è un illusorio palliativo per una umanità sofferente e disperata che non riuscirebbe a tenersi unita in una "società" se guardasse in faccia la realtà.
Brutale realtà, brutale come l'antica Roma, apparentemente vinta dalla speranza cristiana che invece è sempre presente e senza che si abbia il coraggio di fronteggiarla apertamente distrugge le anime dei più indifesi, coloro che non solo sono più poveri e meno istruiti ma che sono senza tradizione, senza un sentimento di appartenenza autentico che gli dia "di default" un orizzonte di senso entro il quale diventi possibile stare al mondo come "presenze agenti" e non come "agiti - passivi - assenti".
Per questi individui atomizzati senza centro di gravità il Cristo è solo un idolo dispensatore di miracoli privati e a loro non è possibile cogliere la profondità dell'impegnativo messaggio della passione e resurrezione.
Senza tradizione e senza sentimento di appartenenza i "fini" esistenziali sono dettati da chi ha il potere, il denaro e soprattutto i mezzi di comunicazione/persuasione/mercificazione sempre presenti nel film (la scritta al neon Argon - ci poteva mettere Sauron... - che incombe durante la scena dell'apparizione della Madonna, i riflettori che non si sa che ci stanno a fare nel litigio in macchina fra Marcello e Emma, tutto l'episodio di Anita).
Questi fini sono provvisori, precari, a buon mercato, teneri e disperati ma effimeri e irrealizzabili per la loro inconsistenza più che per la loro impervia difficoltà.
Li si persegue senza vedere altro e perseguendoli ci si avvita con tutta la propria anima nel nulla esistenziale di una vita che non è più "presenza" ma mesta, a volte disperata o anche, e qui è il film, affascinante e elegantemente annoiata "assenza", dalla quale non c'è più via di uscita salvo per alcuni che, appunto, hanno la "austera tradizione" che li salva.

Il film non è una storia vera e propria ma ricalca lo svolgimento di una Sacra Rappresentazione - come per esempio i Misteri medievali - ossia è composto da "Stazioni" che a volte si intrecciano e che si dipanano, incluse fra un Prologo e un Epilogo.
Solo che è un percorso soteriologicamente (dal punto di vista della Salvezza) all'inverso perché invece di "Morte e Resurrezione" qui c'è "Resurrezione e Morte".

Che quel Cristo sia solo una statua e non un vero Dio lo dimostra l'atteggiamento molto profano di Marcello che si trova nell'elicottero che lo trasporta. Dall'alto cerca di abbordare delle ragazze che prendono il sole in bikini tentando un approccio un po' troppo sbrigativo.

Ma soprattutto è il passaggio repentino dall'immagine del volto di quel Cristo con degli occhi curiosamente a mandorla a un idolo orientale con gli stessi identici occhi che illustra come si tratti solo di un idolo sostanzialmente pagano. Dal minuto 05:42 a 05:51.

Una sovrapposizione che è ovviamente il suggerimento di una analogia.
Non credo volesse dire che Cristo "è" un idolo ma che nel mondo moderno, in cui tradizioni sono svilite e che è ormai privo di un vero sentimento comunitario, sussiste della vera religione solo il suo simulacro, anche il Cristo è percepito come un qualsiasi vitello d'oro (non penso volesse essere più cattivo).
Sono invenzioni da grande regista.

Scale che scendono e scale che salgono

Nel night club, luogo di perdizione, Marcello fa un mestiere che è solo esteriormente brillante ma in realtà è da marginale.
E' maltrattato e minacciato dai ricchi burini che lo frequentano e anche se risponde con distaccata noncuranza ci si rende conto della sua precaria condizione di avventizio nella società che conta.

Arriva Maddalena, donna ricca che vive con i soldi del padre, rotta a tutte le esperienze come dimostra il particolare molto suggestivo dell'occhio nero che non sia come se lo sia procurato, certamente indizio di una noia e di un vuoto esistenziale che lei cerca di ingannare accettando addirittura esperienze degradanti.

Marcello la segue e vanno a degradarsi insieme, lei da ricca, lui a rimorchio come un cagnolino inseguendo eternamente i suoi sogni da poco prezzo.
Raccolgono una prostituta di mezza età che con la sua bonomia popolaresca esprime un calore umano che i due amanti hanno perduto da tempo o forse mai conosciuto.
E' lei che ha dei pudori, lei si sforza di comportarsi secondo le buone maniere, si scusa per la brutta casa disastrata e offre un caffè che non verrà accettato.
Lì Marcello, per andare a fare l'amore nel tugurio, deve scendere le scale, ci riesce senza problemi e l'amore lo farà.
Invece quando si tratterà di salire le scale interne della basilica di S. Pietro rincorrendo Anita, l'ascesa sarà molto più difficile, il suo fotografo si ferma per il fiatone e anche lui si ferma più volte ostacolato da qualcuno e poi rallenta per la fatica.
Raggiunge Anita ma l'amore (un bacio) non riuscirà a farlo.

I tre canti del gallo di S. Pietro che rinnega Cristo

Marcello sente una inquietudine interiore che non riesce a definire.
Capisce il vuoto e la provvisorietà della sua esistenza ma persegue ideali fittizi, gli unici che un uomo "solo, in una società perfettamente organizzata che garantisce e impone una illusoria serenità" (come gli dirà l'amico Steiner) può riuscire a concepire.
Il suo desiderio di "salvezza", umana e spirituale, non va al di là del mito del successo, della conquista della bella donna desiderata da tutti, della notorietà, dei soldi, tutte cose che non gli leveranno mai l'angoscia da cui è segretamente afflitto e che lui non ha il coraggio di comprendere.
Tutte cose che a lui sono precluse in partenza oltretutto, perché hanno senso esclusivamente quando si appartiene a una tradizione, a un sentimento comunitario antico ossia quando sono delle insignificanti trasgressioni e non degli obiettivi autentici, altrimenti anche se vengono raggiunte svaniscono, in sostanza anche quando sono lì davanti, pronte e disponibili, non si sa più come e soprattutto "perché" conquistarle davvero.

Per tre volte ci proverà e per tre volte fallirà, come Pietro che per tre volte al canto del gallo rinnega Gesù.

Arriva Anita che appare come una donna divina (la diva) e Marcello la segue ovunque tentando di sedurla.
La vede splendida, nordica, che sale le scale volando, bellissima nel suo vestito sacrilego da prete con la gonna (ancora la falsa "salvezza") e con lei raggiunge la terrazza in cima alla basilica.
Lì per la prima volta cerca di baciarla, lei è disponibile ma un colpo di vento le fa volare via il cappello rompendo l'incanto.

Dopo un party alle terme di Caracalla la accompagna con la sua macchina di notte in una campagna deserta.
Lì lei, che appare come una dea ma è solo una povera ragazza, ha un momento di sconforto:

"Marcello, everything is so difficult"

Lui non capisce che a quel punto dovrebbe parlarle, che se l'adorazione che prova per quella donna bellissima è amore come lui crede conterebbe anche conoscersi, confidarsi, essere complici non solo di una scappatella e "pragmaticamente" la invita a scendere.
Tenta un approccio da sciocco dicendogli che non ha mai visto una donna come lei, si avvicina ancora una volta alle sue labbra ma l'ululare di un cane la distrae.
Per la seconda volta l'incanto svanisce, lei si mette a ululare in preda a un entusiasmo infantile facendo radunare tutti i randagi della zona, alla fine arriva un anziano signore in bicicletta col faro acceso e il campanello che come un ammonimento ricordano a Marcello la falsità della situazione e lo spingono ad allontanarsi.

Arrivano a Roma che è l'alba.
Lui è molto preso ma insiste nel suo tentativo da loffio. Sapendo che la sua fidanzata è in casa telefona a Maddalena (che sarebbe la sua amante...) chiedendole se le presta la casa...per trombare con un altra...
Lei però si trova col padre e non può.
Poi Anita nei suoi continui vaneggiamenti da bambina si invaghisce di un gattino e lo manda a cercare del latte; Marcello come uno sciocco continua a trottare da una parte e dall'altra per rimediare una scopata di cui andare fiero credendo che si tratti di un vero sentimento da condividere.

Torna e trova Anita che è entrata dentro la fontana di Trevi.
La vede che si mette sotto la cascata d'acqua e decide di seguirla in quello che è indubbiamente un battesimo purificatore pagano.
Si abbracciano e per la terza volta cerca di baciarla. Lei è pronta con la testa riversa, i lunghi capelli biondi abbandonati sulle spalle, lui come sempre ha quel suo momento di esitazione, perchè non ci crede nemmeno lui, in cui come un deficiente recita qualche banalissima frase romanticheggiante che non è altro che il patetico tentativo di convincersi che sta amando davvero e...ovviamente...la fontana si ferma...in sostanza "svanisce come erano svanite le due occasioni precedenti...l'acqua non cade più...il precario incanto da supermercato si rivela per la terza volta un inganno...
Per la terza volta, come Pietro al canto del gallo con Cristo, Marcello ha tradito sé stesso cercando di raggiungere un sogno "di consumo" del quale gli uomini come lui senza tradizione e senza fede non si sentono all'altezza ma che in realtà non gli serve, non gli dà la "salvezza".

E infatti subito dopo la squallida menzogna dell'illusione gli si rivela in tutta la sua falsità, quando prima il fidanzato lo prende a pugni e poi lei, Anita, sgridata come una ragazzina dal suo uomo, scappa in albergo piagnucolando non più come una donna divina ma come una povera squinzia qualsiasi.

Marcello cerca ovunque un riscatto, un valore che lo possa affrancare dal vuoto nel quale si sente perduto, afflitto da una fidanzata che lo tormenta con le sue angosce (che rappresenta la sua stessa anima senza una direzione; donna-anima del protagonista è una metafora molto comune in varie narrazioni) e ovunque le sue illusioni crolleranno senza pietà.

L'amico Steiner, sposato con due bellissimi bambini, è un elegante e colto borghese che lo introduce nella sua raffinata cerchia di amici.
Lì confessa a Marcello:

"È meglio la vita più miserabile, credimi, che un'esistenza protetta da una società organizzata, in cui sia previsto, tutto perfetto... È la pace che fa paura, temo la pace più di ogni altra cosa. Mi sembra che sia soltanto un'apparenza e che nasconda l' inferno."

Teme "quella" pace perché è data da qualcun altro, da un estraneo e impersonale "mondo perfettamente organizzato" che diventa un'oppressione e non dalle tradizioni del suo senso di appartenenza originario, di quando la gente era un popolo che viveva una vita scomod ma autentica.
L'organizzazione lo tiene lontano dalle avversità, gli concede il lusso e la serenità economica ma la serenità interiore viene solo dal saper affrontare la durezza della vita avendo nell'anima dei principi consolidati da una condivisione vissuta attivamente, non dalla tutela di sorveglianti lontani e interessati.
Quella serenità "commerciale", in altre parole, la si guadagna al prezzo della servitù, della rinuncia a mettere in discussione l'ordine falso della modernità.

Marcello si sforza di entrare nell'ordine di idee del mondo borghese di Steiner ma quando crede di aver trovato un punto di riferimento da seguire inevitabilmente, come sempre, arriva la tragica disillusione: Steiner improvvisamente uccide i suoi due bambini e si suicida.
La moglie non sa niente e Marcello assiste alla scena terribile della polizia che la ferma e l'avverte per la strada mentre lei sta tornando a casa.

E' un mondo intero che vive di patetiche illusioni come quella della folla immensa che si riversa disperata per assistere alle presunte apparizioni della Madonna di fronte a due bambini che si divertono a prendere in giro gli adulti che li seguono quasi impazziti.
Televisioni, pubblicità, giornalisti, aspiranti miracolati, curiosi, tutti a cercare qualcosa che sentono di aver perduto e che credono si possa reificare in un "miracolo".
Il prete ricorda che quei miracoli non esistono ma una sorta di intellettuale di regime evidentemente portavoce del "mondo perfettamente organizzato" afferma che comunque si tratta di validissime espressioni della naturale spiritualità di un popolo.
Non è un caso che sia il prete a ammonire della menzogna, La Dolce Vita nonostante tutto, nonostante il finale molto icastico, non è un film anticristiano.

Le tradizioni

Maddalena aveva negato la casa a Marcello perchè c'era il padre. Lei "aveva" un padre e di fronte a lui anche le sue sregolatezze dovevano cessare.
Maddalena è ricca, Marcello è di piccola borghesia e un padre vero non ce l'ha.
Ha un omino ridicolo che non è capace di dimostrargli affetto sincero nemmeno per un istante.
Come un provinciale qualsiasi va al tabarin sforzandosi di imitare gli uomini di mondo, vuole andare a puttane per fare il viveur, beve troppo e si sente male.
A quel punto per lui Marcello non esiste più.
Se ne torna in Romagna, Marcello lo segue con angoscia, cerca un segno di affetto, glielo sollecita in tutti i modi e si trova a correre come un bambino dietro al taxi nel quale quel padre da quattro soldi scappa, incapace tutta la vita di dare qualcosa al figlio che non fosse un insopportabiole senso di assenza che gli avvelena la vita.

Poi a Via Veneto Marcello viene invitato da un gruppo di giovani aristocratici in una splendida villa fuori Roma.
Marcello è affascinato dall'eleganza distaccata di quel mondo ma ancora una volta è e sa di essere solo un avventizio chiamato per ravvivare la compagnia, poco più di un giullare di corte.
Incontra Maddalena, quella che con lui viveva i momenti di trasgressione, lui credendoci e sentendosi quasi nobilitato per l'essere stato scelto, lei invece solo per provare l'ebbrezza dell'assurdità di una situazione da "poveri".
In una scena molto bella ed evocativa lei gli fa credere di amarlo e tutto l'aplomb blasé di Marcello di sciolglie in un attimo.
Per l'ennesima volta Marcello cade preda dei suoi desideri fittizi, crede alle parole dell'amica e si lascia andare nuovamente ai suoi troppo facondi sproloqui pseudo amorosi, un amore che crede essere vero ma che è solo una supplica di condividere autentico affetto...mentre lei nell'altra stanza, ovviamente, amoreggia con il primo che gli è capitato accanto...

Ma nel trionfo dell'effimera, cinica superficialità e indifferenza a un certo punto appare da lontano la principessa madre: lei è la tradizione, l'incarnazione della continuità del senso di appartenenza secolare di una casta. Extra, nulla salus.
Piccoletta, apparentemente indistinguibile da una popolana, che (come era caratteristico nella vecchia nobiltà nera) parla un romanesco pesantissimo eppure con fermezza, non sbracato, con una asciuttezza che la prostituta romana dell'inizio non avrebbe potuto nè osato nemmeno simulare.

"Le hai comprate le ova?"

I rampolli debosciati (ma solo per vezzo, non sono come Marcello che lo fa per elemosinare un riconoscimento e un lavoro) si mettono subito sugli attenti, lasciano la compagnia e vanno disciplinatamente ad accodarsi al seguito della principessa madre.
Lì le cose hanno finalmente un significato, lì la trasgressione non contamina.

Lì la salvezza portata da Cristo è in qualche modo comprensibile.

Il mostro marino

Marcello litiga in una scenata ridicolmente teatrale con la fidanzata (teatralità sottolineata dalla presenza vigile di una batteria di riflettori da ripresa cinematografica in bella vista) e arriva alla disperazione profonda, quella dalla quale non si vuole più uscire.
Si abbassa a fare l'organizzatore di orge in una casa di ricchi accompagnato da un equivoco assortimento di attricette, borghesi guardoni, froci e gentaglia di ogni genere finchè non arriva il padrone di casa che lo tratta come un pitocco e poi lo caccia in malo modo.

La compagnia si dirige al mare con Marcello che segue come in un corteo funebre e lì alcuni pescatori hanno appena tirato fuori un mostro marino.

"Ahò, questo vale mijioni"

Tutti si radunano su quel cadavere e appare il "volto" del mostro.
Quello è il Cristo dell'inizio nella sua verità, per chi ormai non può più comprenderlo.
Gesù per chi è ormai perso e senza direzione, per chi si trova nella condizione dell'uomo comune del nostromondo, non è altro che un pesce morto.
Il Pesce simbolico, l' Ἰχθύς della resurrezione non può essere capito da chi ha perso le sue radici.

Una checca con una smorfia di disgusto dice

"Uh...ma è vivo"

E subito un pescatore, con un pesante accento romano, questa volta non da aristocratico ma "brutale"...il trionfo finale della "brutalità dell'antica Roma" (della vita) sul Cristo illusoriamente trionfante sulle rovine imperiali dell'inizio:

"Questo è morto da tre giorni"

...l' Ἰχθύς, dopo tre giorni, non è mai resuscitato.

E sta lì con le ali da manta spalancate come erano spalancate le braccia del Cristo-statua, che guarda disperato e sconfitto con i suoi grandi occhi vuoti il cielo, dal basso verso l'alto, mentre trasportato dall'elicottero il Cristo-idolo guardava amoroso e vittorioso la terra dal cielo, dall'alto verso il basso.
Le ali della manta sono aperte come le braccia di un Cristo che non è mai sceso dalla croce.
Marcello non può capire il richiamo di quello sguardo.
Non sa vedere la sua stessa disperazione in quegli occhi - posti sopra la bocca atteggiata a una tragica e tristemente goffa smorfia di atroce dolore - non la vuole vedere.
Come non prova un briciolo di compassione per il bellissimo animale morto non può più provare compassione nemmeno per sè stesso.
E' prigioniero.

Dall'altra riva di un fiumiciattolo lo chiama Paola, una bella ragazzina che aveva conosciuto a uno stabilimento balneare, una alla quale non aveva pensato di fare la corte perché era troppo semplice, non poteva corrispondere al glamour spasmodicamente agognato che per lui era l'unica forma di "valore" comprensibile.
Lei lo chiama, lo invita a raggiungerla ma lui non può più.
Lei insiste in un dialogo senza voce, coperti dal frastuono delle onde, in una incomunicabilità onirica o da dormiveglia, come nel dialogo con le ragazze in bikini sulla terrazza coperto dal rombo delle pale, come il silenzio degli elicotteri lontani nell'incipit.
Allarga le mani in un gesto di "non ti sento" che è la sua "impossibilità" di sentire...e poi voltandosi si porta la mano con le dita semi aperte proprio davanti al volto...sarebbe per salutare...ma esita e per un secondo in più quella mano si ferma proprio davanti al suo viso nascondendolo, come le sbarre di una prigione nella quale è rinchiuso e dalla quale non può né vuole più uscire. (minuto 203)
E se ne va.


Citazione
Tibidabo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1331
Topic starter  

La raie

Da dove ha preso l'immagine della "Manta-Cristo Crocifisso" Fellini?
C'è un noto precedente pittorico, un quadro di Jean-Baptiste-Siméon Chardin intitolato "La Razza" (animale identico a una manta ma più piccolo), dipinto poco prima del 1728.

E' una natura morta, sempre allusiva come nello stile del pittore.

Le razze e le mante hanno un corpo piatto con un dorso e un ventre, la bocca si trova sul ventre con sopra due fossette nasali mentre gli occhi si trovano sul dorso.
La manta di Fellini però ha gli occhi sul ventre dove dovrebbero trovarsi le fossette nasali.
Il quadro di Chardin va guardato appunto come se quelle fossette sopra la bocca fossero due occhi e appare un volto in preda al dolore (nel film al minuto 230 e 240).
E' ritenuta da critici e appassionati una metafora della crocifissione.
La croce divide lo spazio come un set di assi cartesiani, orizzontale e verticale, destra-sinistra, alto-basso.
L'impianto del quadro è dichiaratamente a croce: a sinistra gli animali, molluschi informi, pesci e un gatto maligno in posizione aggressiva; a destra gli oggetti inanimati, geometrici, molto "forma" nella loro luce astratta e quasi opaca, con un coltello semi coperto da una tovaglia ripiegata, forse lo stesso coltello che ha squartato il ventre della razza (il coltello semicoperto è presente in molte nature morte e viene considerata una allusione fallica). Destra-sinistra.
Alto-basso lo dà la razza stessa con la catena alla quale è appesa con un gancio che la infliza e con quei due pesci che spuntano dalla sua estremità inferiore con l'intento compositivo di prolungare evidenziandolo l'asse verticale.
In Chardin, forse, c'è l'espressione di qualche sorta di disprezzo se si osserva lo squarcio nel ventre che mostra le ovaie che fuoriescono parzialmente.
E' una razza femmina e secondo qualcuno è il modo di rappresentare uno svilimento dell'icona religiosa.

In Fellini non c'è blasfemia al di là della crudezza dell'immagine ma c'è stato chi se l'è presa a male, sono volati gli sputi e hanno cercato di aggredirlo.
Poi ha invitato a una visione privata un vescovo o un cardinale che ha apprezzato il film liberandolo dal sospetto.

Non ho la certezza che sia proprio da quel quadro, peraltro molto noto, che FF abbia preso l'idea del mostro marino ma certamente è abbastanza difficile che due persone abbiano avuto in maniera indipendente la stessa idea di paragonare una manta-razza al Cristo in croce, soprattutto se si pensa alla questione degli occhi, messi esplicitamente da Fellini sul ventre e suggeriti, ma altrettanto esplicitamente, dalle fossette nasali sopra la bocca nel dipinto di Chardin.


RispondiCitazione
Tibidabo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1331
Topic starter  

Dimenticavo: il T1 sarebbe "La Dolce Vita", l'ambiente vivace e un po' sguaiato della via Veneto di notte.
Il tema riappare appunto a via Veneto nella scena in cui Marcello sale in macchina con i nobili.
T2 e T3 sono il conflitto nascosto che si agita sotto la dolce vita esteriore.


RispondiCitazione
PietroGE
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 4104
 

Da dove ha preso l'immagine della "Manta-Cristo Crocifisso" Fellini?

Deve essere un personaggio uscito dalle crisi di astinenza del cocainomane, cioè fa parte della serie : io, superio e Manta-Cristo, la quale serie è in relazione con l'altra : io, mammeta e tu....con implicazioni inquietanti del tipo complesso di Edipo ecc. ecc.


RispondiCitazione
Tibidabo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1331
Topic starter  

Clamoroso (cioè da ridere e anche un pochino da esserne soddisfatti).

Nel post sul film ho ipotizzato un legame fra la musica di La Dolce Vita di Nino Rota e due pezzi di Respighi (un compositore di epoca fascista considerato il caposcuola dell'orchestrazione "cinematografica" fra gli italiani).
Non avevo mai letto alcun critico che ne parlasse.
E adesso trovo su google books un articolo che parla proprio di questo.

Si riferisce a un'altra suite relativamente a un altro pezzo in cui, guarda caso, appare PARI PARI il T3, quello che ha il carattere gregoriano e che quindi Rota ha plagiato apertamente (al minuto 03:29)

https://www.youtube.com/watch?v=L9UP-tu_duM

Qui il testo del critico che ne parla

https://books.google.it/books?id=1nlWKYyBeW4C&pg=PA100&lpg=PA100&dq=nino+rota+respighi&source=bl&ots=XCoylKj-c3&sig=uOr7BsgSlZVScsh8VPsq0FSN3MY&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiAktWSpPfUAhWIxRQKHRXCDWo4ChDoAQgqMAY#v=onepage&q=nino%20rota%20respighi&f=false

La suite di Respighi si chiama "I Pini di Roma" ed è composta di quattro pezzi, il primo carino, il secondo che rappresenta i pini presso una catacomba è una palla e lo salto sempre, il terzo bello e il quarto famosissimo a cui la gente concede sempre la standing ovation tanto è entusiasmante.

Il plagio avviene appunto sul secondo che non sento mai...

L'influenza di Respighi c'è e la si sente anche in altri passaggi, soprattutto in quel fronteggiarsi di T2-T3, Roma antica contro Cristo, che è la cifra di un altro pezzo sempre di Respighi che ho linkato nel post, Circenses (da un'altra suite, Feste Romane. Dai "Pini" mi sembra - sono sicuro - di sentire la cadenza della frase finale di I Pini del Gianicolo, tenendo comto che oltretutto entrambe stanno su un diminuendo che funziona da dissolvenza verso una fase successiva).

PS: Ma non vi divertono queste cose piccini?
Non vi appassionate a smembrare pezzo per pezzo quello che ascoltate, leggete, o vedete per poi rimontarlo magari in configurazioni del tutto diverse?
No, eh?
È perché siete ancora tanto piccini...


RispondiCitazione
MarioG
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 3055
 

Io sono deliziato


RispondiCitazione
Tibidabo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 1331
Topic starter  

Io sono deliziato

Quanto mi fa piacere, non sai.
Però comincia anche tu che il talento ce l'hai.
Non c'è bisogno che ne scrivi qui se non vuoi ma provaci per i fatti tuoi.

Vuoi un segreto?
Tieni un taccuino accanto al letto e appena apri gli occhi - ma subito subito sennò svanisce tutto - scrivi sempre e ogni volta quello che hai sognato.
Scriverai un po' come un ubriaco perché sei appena sveglio ma fregatene.
Non guardare i tuoi scritti per un bel po' di tempo e poi dopo qualche mese inizia a leggere i primi sogni.
Vedrai che c'è una evoluzione se li segui con la scrittura e vedrai che appaiono e riappaiono dei personaggi che anche se in fattezze diverse sono sempre gli stessi.
Le donne per esempio. Quelle sono la tua anima che ti chiama.

Non so se ci senti ma ci vedi di sicuro.

Ci senti è una cosa complessa, diciamo che non so se sei intonato.
Se lo fossi potresti andare più veloce.

Comunque se ti sei divertito a leggere per me è una soddisfazione.


RispondiCitazione
Condividi: