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«Sei gradi in più e il mondo è finito»


Tao
 Tao
Illustrious Member
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«Pensate a questo: 18mila anni fa, al culmine dell'ultima era glaciale, la temperatura globale era di circa sei gradi più fredda di quella di oggi. In quel clima gelido, l'America settentrionale era ricoperta di calotte di ghiaccio da costa a costa... E' dunque lecito chiedersi, dal momento che in passato sei gradi in meno bastarono a far fuori quasi tutta l'umanità, quali effetti potrebbero avere sul nostro futuro sei gradi in più?». A questa domanda cerca di rispondere il giornalista e scrittore britannico Mark Lynas, collaboratore di The Guardian, The Observer, National Geographic, New Statesman e Grant nel suo ultimo libro Sei gradi (Fazi editore, pp. 338, euro 1Cool. Su questa ultima opera l'autore, di recente in Italia ospite di Torino Spiritualità, affronta il grave problema del riscaldamento del pianeta prendendo spunto da uno studio del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici che prevedeva sei scenari differenti legati ad un progressivo aumento della temperatura del pianeta, da uno appunto a sei gradi. L'ultima ipotesi, la più grave, comporterebbe, qualora si verificasse, la scomparsa quasi totale di tutte le forme di vita sulla Terra. La sua presenza nel nostro paese, in occasione della presentazione del suo libro, ci ha consentito di ascoltare le sue opinioni sulla questione ambientale più in generale. «Sono sempre stato interessato a questi temi - dice Lynas - sono cresciuto in Perù e mi ricordo fin da bambino l'effetto devastante delle miniere sulla natura. In particolare nella mia memoria è rimasto impresso un fiume dalle acque fluorescenti che scorreva lontano da casa mia, con le piante intorno ormai completamente morte. Certe immagini, quando hai sette anni, non te le scordi più per tutta la vita. Quando ho capito che il cambiamento climatico era la versione globale di quello a cui avevo assistito da piccolo mi è sembrato semplicemente ovvio dedicare la vita a questo».

Se si esclude l'opinione in controtendenza di qualche scienziato, è ormai assodato che il nostro pianeta sta vivendo una fase di riscaldamento inconsueta, che non può essere addebitata soltanto ad un naturale cambiamento del clima, come è sempre successo nel passato. Di fronte a questo scenario sconcerta però la passività di tutti, governi da un lato e società civile dall'altro. Quest'ultima, in Occidente, sembra ormai assuefatta a modelli consumistici deteriori. Vetture sempre più grandi, bottiglie di plastica ovunque e aria condizionata anche quando fuori ci sono temperature autunnali, tanto per fare alcuni esempi, sembrano ormai pane quotidiano. Che cosa pensa di questo scenario certamente paradossale se confrontato con l'emergenza climatica?

Credo che la situazione sia anche peggiore di quella che lei ha appena descritto. Non solo vediamo che c'è scarsa sensibilità in Occidente ma ci sono alcuni tra i cosiddetti "paesi in via di sviluppo", come la Cina e l'India, che stanno cercando il più velocemente possibile di imitare lo stile di vita occidentale. E di conseguenza le emissioni di anidride carbonica stanno aumentando tre volte più velocemente di quanto non accadesse dieci anni fa, disegnando così una scenario molto peggiore di quello previsto dagli scienziati. Insomma il problema sta peggiorando molto più in fretta della nostra ricerca di soluzioni. La sfida è veramente grande ma dobbiamo convincerci che malgrado tutto, si può invertire la tendenza.

In questi ultimi decenni l'economia liberista l'ha fatta da padrone e con essa il mercato che ha imposto prodotti che rendono sempre più complicata la battaglia contro l'inquinamento, soprattutto quello causato dai combustibili fossili. Non crede che a questo punto lo Stato debba intervenire per imporre modelli di produzione che aiutino a contrastare il riscaldamento del pianeta, riappropriandosi così di un ruolo di regolatore dell'economia?

In realtà penso che il mercato sia uno degli strumenti politici più forti che noi abbiamo per migliorare le cose. Credo che un importante passo in avanti consisterebbe semplicemente nel dare un prezzo al carbonio, alle emissioni di Co2. E penso che a quel punto il mercato farebbe gran parte del resto nel risolvere il problema e nel superare la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Insomma l'economia deve essere ristrutturata prendendo in considerazione i costi anche delle nostre stesse azioni che non sono mai stati calcolati e non hanno mai fatto parte dell'equazione economica. Appunto il Co2 è uno dei primi costi che andrebbero calcolati, come anche quelli derivati dalla deforestazione per esempio dell'Amazzonia. La sua distruzione rappresenta un costo enorme, proprio in termini economici, per tutta l'umanità. La sua scomparsa per esempio comporterebbe un'assenza di precipitazione negli Stati Uniti del sud, con ripercussioni gravi dal punto di vista alimentare. Il ruolo della scienza deve essere quello di dirci qual è l'importanza della foresta amazzonica e quali sono i benefici. Quello dell'economia di dare un valore anche economico a questa foresta. Questa è la sfida maggiore che ci troviamo ad affrontare in questo momento. E in questo senso lo Stato potrebbe avere un ruolo importante affiancato da organismi politici sovranazionali. Il motivo per cui tutto questo non è ancora successo è che poteri molti forti si sono finora opposti ad un cambiamento di questo tipo. Sto parlando in particolare dei paesi produttori di petrolio, come quelli mediorientali, o consumatori, come gli Stati Uniti. Finora hanno avuto praticamente un rapporto simbiotico che sta distruggendo il pianeta.

Un nodo importante è il ruolo che l'uomo ha sempre avuto nel pianeta. Un ruolo centrale che le ha permesso di fare il bello e il cattivo tempo. Non le sembra che sia giunta l'ora di cambiare atteggiamento, considerandoci ospiti della Terra e non i padroni?

Dal punto di vista scientifico l'essere umano può essere considerato onnipotente. E il potere distruttivo dell'umanità si sta avvicinando sempre di più a quello dell'asteriode che ha spazzato via la vita sulla Terra ai tempi del Cretaceo. E quindi non prendere atto o rifiutarsi di vedere questa realtà non è certamente una opzione. Non c'è dubbio a questo punto che l'essere umano deve imparare a governare il pianeta nell'interesse di tutte le forme di vita che vi sono. Per tantissimo tempo la Terra si è autoregolata. C'era un equilibrio tra le terre, i mari e l'atmosfera che hanno permesso una stabilità termica la quale ha consentito alla vita di fiorire per milioni e milioni di anni. Purtroppo noi in questo momento abbiamo mandato in corto circuito il ciclo del carbonio che governa il clima del nostro pianeta. E come se avessimo la mani sul termostato del pianeta.

A sinistra si è sempre posto l'accento sulla necessità di redistribuire il profitto delle imprese tra i lavoratori nella maniera più equa possibile. Non crede che proprio il profitto a tutti i costi possa nuocere all'ambiente, impedendo alle aziende di investire in tecnologie più pulite?

Credo che la questione dell'uguaglianza tra gli esseri umani sia un tema distinto da quello ambientale. In questo senso questo aspetto trascende tutti i vecchi dogmi e i vecchi schemi politici e ci costringe a pensare alla politica in maniera completamente diversa. Credo che il conflitto reale sarà tra coloro che accetteranno la necessità di un cambiamento della maniera dell'uomo di relazionarsi con la natura e con la terra e chi invece continuerà a fare come si è sempre fatto credendo che le risorse siano inesauribili. Sarà questo il vero terreno di scontro nei prossimi anni.

Vittorio Bonanni
Fonte: www.liberazione.it
15/10/2008


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