La potenza del dono
 
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Tao
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La potenza del dono–Le ragioni politiche dell’antiutilitarismo

La critica alla ragione economica in nome del legame sociale in un mondo dominato dall'ossessione della crescita. Un'anticipazione dal libro «Il dono nel mondo dell'utile» della Bollati Boringhieri che sarà presentato domani a Torino. Una raccolta di saggi che lo studioso scrisse per indicare una possibile via d'uscita da una realtà dominata dal mercato

Quando, nel 1988, uscì La mitologia delle scienze sociali di Alain Caillé sembrava quasi che a soddisfare la domanda di antiutilitarismo che poteva esserci in un paese tutto dedito a quello che nel Settecento veniva chiamato il «dolce commercio» dovesse bastare l'introduzione di criteri formali di giustizia a correzione della filosofia politica dell'utilitarismo classico. Soprattutto, da parte dei cultori nostrani dell'individualismo metodologico e del neoutilitarismo, ci fu più di qualche segno d'insofferenza nei confronti del nuovo venuto: un antiutilitarismo di matrice storica e antropologica elaborato da un piccolo gruppo d'intellettuali con base a Parigi, anche se non solo francesi, che alla fine del 1980 aveva deciso di fondare il «Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales» (Mauss) e che da allora andava pubblicando il «Bulletin - oggi Revue - du Mauss». E, di fronte a una elaborazione collettiva che, rifacendosi all'opera di Karl Polanyi, oltre che a quella di Marcel Mauss, metteva radicalmente in dubbio l'universalità dell'homo oeconomicus mosso dal calcolo dell'utile individuale, non si trovò di meglio che prendersela - a torto - con il «francocentrismo» dell'autore. Piccoli incidenti che non si sono ripetuti in occasione della pubblicazione del «manifesto dell'antiutilitarismo», la Critica della ragione utilitaria, dello stesso Caillé, né tanto meno di quella dei libri di un altro esponente di primo piano del Mauss, Serge Latouche, nei quali l'antiutilitarismo esce dalla epistemologia per confrontarsi con i problemi del doposviluppo, cioè con il vasto ammasso di macerie lasciato dall'Occidente al posto delle società e delle culture che aveva trovato sulla sua strada.

Una modernità di troppo

Oggi nessuno si sogna più di negare la pertinenza e la validità delle posizioni del movimento antiutilitarista, divenuto ormai punto di riferimento ineludibile per tutti coloro i quali, a sinistra come a destra, rifiutano la riduzione della realtà storica e sociale nei termini di quella vera e propria «assimatica dell'interesse» che, dal nucleo generatore della economia politica, si è generalizzata a tutte le scienze sociali. Piuttosto, proprio questa insolita convergenza critica contro il cardine stesso della vulgata liberale e neoliberale continua a suscitare perplessità circa la valenza politica del progetto perseguito ormai da molti decenni dal movimento antiutilitarista. Perplessità che si riassumono in due domande: un antiutilitarismo che si propone di pensare i rapporti sociali attraverso il modello del triplice obbligo del dono (dare, ricevere, ricambiare) e trasferisce questa forma di scambio nel mondo contemporaneo dominato da stato e mercato, non porta in sé i germi di una posizione antimodernista o addirittura reazionaria? (...)

Queste in sostanza le riserve espresse nel quadro di un incontro avvenuto nel 1993 con il Mauss da una personalità come Claude Lefort, ex trockista animatore con Cornelius Castoriadis di «Socialisme ou barbarie» e con Edgard Morin di «Arguments» negli anni Cinquanta e Sessanta (...). Partiamo dunque dalle ragioni d'inquietudine riassunte nelle domande di cui sopra, perplessità facilitate senz'altro dallo scarso impegno dei membri del Mauss (in quanto gruppo: a livello personale le eccezioni sono numerose) su temi quali il razzismo, il nazionalismo, il regionalismo, la società planetaria, la cultura urbana, la disoccupazione, la società di comunicazione, il diritto d'ingerenza, la bioetica (...). In fondo, solo la discussione sul cosiddetto «reddito di cittadinanza» (l'allocazione a ogni cittadino di un reddito minimo svincolato dal lavoro) caro a Caillé, impegna attualmente il movimento in un dibattito d'interesse e di portata politici nel senso corrente del termine. Come ha dichiarato Serge Latouche, colui che forse più tempestivamente e con maggior coerenza nell'ambito del Mauss si è posto il problema della posizione politica del movimento, la sostanza di tale posizione consiste nel situarsi in un altrove rispetto alla politica correntemente intesa. Una affermazione pienamente condivisa da Alain Caillé (...).

Sulle macerie dello sviluppo

Così, rispondendo alla domanda ricorrente se il Mauss sia di destra o di sinistra Latouche ha ricordato come il movimento si sia trovato per la prima volta di fronte a questo interrogativo a causa dell'attenzione portata dalla nuova destra culturale nei suoi confronti. Si era nel 1986, e fu lo stesso Latouche, nel numero 20 dell'allora «Bulletin du Mauss», a fare il punto sui rapporti con la nuova destra, con particolare riguardo alla questione del Terzo mondo: «Il parziale incontro tra le tesi della nuova destra e quelle del Mauss - concludeva in quella occasione - richiede vigilanza, ma non è collusione... La ripresa delle nostre tesi da parte di Alain de Benoist non è un'annessione e non ha effetto reciproco». In realtà, accanto a tutta una serie di divergenze sul terreno propriamente politico, bastano a spiegare l'interesse della nuova destra per il Mauss un comune rifiuto della riduzione liberale dell'uomo a homo oeconomicus, una medesima analisi del sottosviluppo in termini di deculturazione e di occidentalizzazione del mondo (...). È accaduto così, fino a una recente diffida di Alain Caillé, che testi del Mauss siano stati spesso ripresi nelle riviste della nuova destra (...).

Senonché, e tocchiamo qui l'articolazione interna del campo antiutilitaristico, al di là delle ambiguità che ne possono derivare in termini di schieramento, Latouche non ha dubbi; l'antiutilitarismo è difficilmente dissociabile da una critica della modernità. Ragion per cui l'antiutilitarismo si trova presso gli heideggeriani di sinistra, in Hannah Arendt e nei «decostruttori» ma anche presso gli hegeliani di sinistra e la loro tradizione marxista. Lo si trova nel giovane Marx, negli hegelo-marxisti e fin nei situazionisti. Una genealogia contestata da Alain Caillé, il quale ha denunciato la presunta incoerenza di una posizione - quella di Latouche - che si ispira al tempo stesso a un antiutilitarismo radicale, a una critica filosofica della modernità, a una visione storica uscita dal marxismo e a un attaccamento al versante emancipatore del liberalismo. Il senso delle obiezioni di Caillé, tese ad allentare il nesso tra antiutilitarismo e critica della modernità e a dissociarlo da eventuali residui tanto di marxismo quanto di radicalismo democratico, si capisce constatando come nell'incontro ricordato all'inizio, Claude Lefort, mentre dichiarava il proprio apprezzamento per le posizioni di Caillé, si scagliava contro la critica della modernità occidentale di Latouche. E se si considera che il progetto di quest'ultimo di «decolonizzare l'immaginario» si richiama piuttosto a Castoriadis, risulteranno precisate talune coordinate dell'articolazione politica interna del Mauss.

Pedagogia della catastrofe

Attraverso la polemica sulle fonti d'ispirazione e il richiamo preferenziale all'uno o all'altro dei due ex animatori di «Socialisme ou barbarie» emergono delle divergenze interne al campo del movimento antiutilitaristico. Quello di Latouche è un anticapitalismo sostanziato da una critica dello sviluppo: dalla identificazione dell'Occidente con la realtà della megamacchina tecnoscientifica nasce un pessimismo che va sino a confidare ironicamente nella «pedagogia delle catastrofi». Caillé è decisamente meno pessimista e meno critico della megamacchina occidentale. Tipica la sua campagna a favore del già
ricordato «reddito di cittadinanza», punto sul quale da ultimo è avvenuta la rottura con André Gorz, più interessato alla riduzione dell'orario di lavoro e a forme di autoproduzione sociale. (...)
Quali che siano le diverse declinazioni politiche dell'antiutilitarismo dei due principali esponenti del Mauss, resta il fatto che entrambe si situano in quell'altrove della politica che Caillé cerca di definire come una dimensione originaria del politico, non ridotto allo Stato, alla sistematicità dei rapporti tra funzioni di comando e di obbedienza, e nemmeno alla regolarità del conflitto tra gli interessi istituiti. Dimensione primitiva del politico, egli precisa, che non è dell'ordine del sistema bensì dell'ordine della contestualità, non dell'ordine dei rapporti tra funzioni ma dell'ordine del rapporto tra soggetti. (...).

Congedo dal marxismo

Il nuovo interesse per l'utilitarismo e l'antiutilitarismo in Italia risale all'inizio degli anni Ottanta ed è strettamente legato al ripudio di una concezione «centrata» del sistema sociale e al riconoscimento di quest'ultimo come un sistema d'integrazione tra gruppi e individui con funzioni di utilità diverse e usualmente in conflitto, nessuna delle quali rappresenta però gli interessi dell'intera umanità. Ovvero a un «bisogno di giustificazione» particolarmente urgente nelle società industriali a tradizione democratica che investe direttamente lo schema di distribuzione di diritti e doveri, costi e benefici, tra individui e gruppi, sullo sfondo di una percezione dei limiti della politica, intesa ormai come mezzo per molti fini e non per un fine. In chiaro, si sarà riconosciuta l'esigenza di rompere con l'ideologia marxista tornando dalla classe all'individuo, dal conflitto all'integrazione, dal sistema centrato al pluralismo sistemico.
Per un verso ci si rifaceva alla riformulazione formalmente più raffinata delle posizioni dell'utilitarismo classico in termini di scelta sociale effettuata dall'economista John Harsanyi; per l'altro si ricorreva alla teoria della giustizia di John Rawls che all'utilitarismo classico opponeva un neocontrattualismo salutato allora come la proposta di un nuovo patto sociale, di una pacificazione generale e fondazione di un nuovo assetto sociale, come una nuova alleanza nata dalla constatazione della crisi del potere statale nelle società più sviluppate, dalla crescente ingovernabilità delle società complesse.
La traduzione delle opere di questi e altri autori e la produzione di contributi originari che ne divulgavano i contenuti segnano indubbiamente una differenza significativa tra la situazione italiana e quella francese, direttamente rilevante per la comprensione e la valutazione di un antiutilitarismo - quello di Caillé e del Mauss - che si presenta con caratteristiche molto diverse rispetto a quello appena evocato. (...).

Tramonto del politico

Ora, per Caillé, la riduzione metodologica all'individuo corrisponde esattamente al riduzionismo economicistico: più precisamente, e su questo punto convergono le analisi della prima e della seconda parte del Tramonto del politico, l'utilitarismo e l'individualismo metodologico non permettono di riconoscere la dimensione plurale e collettiva della vita sociale. Quella dimensione messa in luce dal riconoscimento della presenza del dono accanto alle forme di scambio (mercato e redistribuzione statale) nella modernità che sul piano filosofico impedisce a Caillé di accettare la riduzione della complessità sociale alla polarità individuo/totalità e la soppressione della dimensione tempo. D'altra parte, non svolgere il tema dell'antiutilitarismo esclusivamente né principalmente sul terreno filosofico non significa chiusura verso una problematica peraltro a sua volta sviluppata unilateralmente in Italia, bensì la scelta, certo condizionata dalle circostanze cui si è accennato, di battere una strada alternativa. Una strada, soprattutto, che presenta l'indubbio vantaggio di considerare l'intera faccenda dall'esterno, introducendo riferimenti sostanziali che ravvivano l'interesse inevitabilmente compromesso alla lunga dal formalismo delle distinzioni tra utilitarismo dell'atto e utilitarismo della norma, utilitarismo fondato su medie e utilitarismo fondato su aggregazioni, utilitarismo ordinale e utilitarismo cardinale e via dicendo.

Rispetto all'antiutilitarismo filosofico, quello di matrice storico-antropologica non procede per deduzione logica a partire da assiomi e postulati accompagnati dai vincoli necessari per garantire l'operatività o la semplice presentabilità del paradigma; l'antiutilitarismo di matrice storico-antropologica muove dalla storicità dello stesso paradigma utilitarista, comprese le sue più recenti varianti, facendone coincidere la storia con quella del pensiero occidentale e delle sue tendenze dominanti.
Per Caillé e per il movimento antiutilitarista, pensare la storia reale degli uomini e non la genesi immaginaria delle istituzioni ad opera d'individui senza storia e senza «qualità» implica quanto meno tre rotture con lo scientismo utilitarista: superare il divieto di considerare dei soggetti collettivi; sostituire l'universalismo identitario con un «universalismo relativista», cioè non dato ma da costruire; concettualizzare l'essenza politica del rapporto sociale.

Su quest'ultimo punto Caillé applica il concetto polanyiano di embeddedness alla società vicino a quello dell'autoistituzione secondo Castoriadis per definire il politico e argomentare la tesi della identità tendenziale del politico e della democrazia. Nel senso che la democrazia risulterebbe come la presa di coscienza della natura politica della società e le scienze sociali riprenderebbero la loro funzione essenziale: quella di costituire il momento riflessivo della «invenzione democratica».

Alfredo Salsano
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/23-Ottobre-2008/art50.html
23.10.08


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