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Libri:"El presidente de la paz" di M.Correggia


marcopa
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26 giugno 2015

El presidente de la paz: Hugo Chavez

Marinella Correggia e il suo saggio "El presidente de la paz" (Sankara Edizioni)

Hugo Chavez Frias, il Presidente che viene dalla periferia, nato a Sabaneta, piccola cittadina dello Stato venezuelano di Barinas.
E proprio nella periferia di Roma, ironia della sorte, è stato presentato un bellissimo saggio a lui dedicato, scritto dalla giornalista Marinella Correggia che il 25 giugno scorso, presso la Biblioteca Vaccheria Nardi di Via Grotta di Gregna, ha infatti intrattenuto appassionati e lettori con il suo “El presidente de la paz” (Sankara Edizioni).

El presidente de la paz è lui, Hugo Chavez, purtroppo scomparso nel 2013 per un tumore, e che ha guidato il Venezuela dal 1999 sino alla sua morte.
A Chavez ho dedicato numerosi articoli, alcuni dei quali saranno anche presenti nel mio prossimo saggio “Amore e Libertà – Manifesto per la Civiltà dell'Amore” e per me è il Giuseppe Garibaldi del XXIesimo secolo.

La particolarità del saggio di Marinella Correggia è che si vanno a toccare tematiche meno conosciute e più di scottante attualità geopolitica.

Il ruolo del Presidente Chavez, del Venezuela e dei Paesi dell'Alba (Alleanza bolivariana per le Americhe, comprendenti Venezuela, Cuba, Nicaragua e Bolivia) per la prevenzione delle guerre e dei conflitti internazionali.

Guerre che, come ben sappiamo, sono foriere di un'immigrazione forzata, di un vero e proprio sradicamento di persone dalle proprie terre d'origine, con il conseguente sfruttamento nei Paesi occidentali, falsamente definiti “democratici” (visto anche che spesso hanno causato quelle guerre !).
Pensiamo alla guerra in Iraq durata dagli Anni '90 sino a pochi anni fa e a quella dell'Afghanistan, ennesime guerre per le risorse petrolifere e spacciate per “interventi umanitari”, per “guerre preventive” o peggio ancora di “esportazione della democrazia”. Guerre fatte sulla pelle dei popoli e di bambini inermi. Veri e propri crimini contro l'umanità commessi da Capi di Stato presunti democratici (solo perché eletti !) quali i Bush e Tony Blair, denunciati più volte dallo stesso Chavez, il quale più volte ne ha chiesto l'incriminazione in sede internazionale, ma ancora oggi rimasto inascoltato.

Pensiamo alla guerra in Libia del 2011, all'invasione franco-anglo-statunitense – un vero e proprio Asse della Guerra - di uno Stato sovrano, spacciata anch'essa per “protezione dei civili e dei diritti umani”. Civili che, intanto, sono stati bombardati dall'Occidente (sic !). La medesima cosa, peraltro, è accaduta in Siria e ne pagano le conseguenze interi popoli, costretti peraltro a migrare in quell'Occidente che li ha sfruttati e sfrattati per secoli e continua a farlo, chiudendo le porte come fa la Francia, i cui governi hanno le mani sporche di sangue sin dai tempi della Guerra d'Algeria degli anni '50 e '60. Purtuttavia sono considerati “civili e democratici” e finanche “repubblicani” (sic !). Mai terroristi. Stranamente. E così gli USA di Barack Obama, che ha ricevuto un Premio Nobel per la Pace in modo totalmente ingiustificato e ingiusto. Perché chi uccide e bombarda, tutto è tranne che un uomo di pace.

In tutto ciò l'azione dei Paesi latinoamericani dell'Alba. Hugo Chavez in prima linea per trovare una soluzione che evitasse l'intervento della Nato in Libia come in Siria, tentando anche di coinvolgere i Paesi fratelli e non allineati dell'Africa, ma senza purtuttavia successo. Le forze dell'Asse della Guerra Nato-petromonarchie saranno infatti troppo forti. E riusciranno a coinvolgere tutta l'Europa, persino l'Italia (che pur con Gheddafi aveva raggiunto un ottimo accordo) con l'avallo del Presidente Giorgio Napolitano, il quale – come ricordato nel saggio di Marinella Correggia – assumerà un ruolo interventista e quindi anticostituzionale, a cento anni dalla colonizzazione italiana della Libia (sic !).

Solo i Paesi dell'Alba e gli altri Paesi latinoamericani che guardano al Foro di San Paolo, fra cui il Brasile e l'Argentina, si oppongono alla guerra imperialista in Libia e Siria, spacciate anche dai social-network come delle guerre di librazione nazionale (sic !).
Una guerra che, ancora una volta, mira all'accaparramento delle risorse petrolifere ed economiche. Fanno gola infatti soprattutto le riserve libiche collocate nelle banche occidentali. Una guerra che, oggi, ci ha consegnato l'attuale situazione di migrazione di massa e ci ha consegnato l'Isis, per decenni finanziato dagli amici degli Stati Uniti d'America, come di recente raccontato dall'ex generale Wesley Clark, in funzione anti-sciita. Ma nessuno ne parla. Nessuno ha memoria del suo passato, anche perché i governi ed i media hanno fatto in modo di distorcerlo ad uso e consumo di chi sulle guerre lucra e continua a lucrare: governi, sistema bancario, multinazionali...oltre che le cooperative mafiose di casa nostra. Come abbiamo ben visto con la recente inchiesta su mafia Capitale.
E continueranno a farlo se seguiteremo a delegare ad altri, se seguiteremo a rinunciare alla nostra sovranità ed alla cooperazione internazionale. Che poi è la nostra libertà e quella di tutti i popoli della terra.

Marinella Correggia, nel raccontare di questo - che è peraltro il fulcro del suo saggio su Chavez - racconta la suggestione di un economista gandhiano durante la Guerra di Corea, J.C. Kumarappa, il quale fece un appello a tutti i Paesi non allineati della Terra - spesso appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo - affinché si coalizzassero in termini di cooperazione economica in chiave anti-bellica e dunque anti-statunitense, oltre che anti-sovietica. E ciò proprio al fine di costruire una prospettiva di pace, al di fuori dei due blocchi, capitalista e comunista. Il suo pensiero, purtroppo, non influenzò per nulla la nostra vecchia Europa, la quale è sempre finita fra i Paesi belligeranti e si è resa colpevole, come abbiamo già detto, di milioni di morti fra i civili.

Il saggio di Marinella Correggia è dunque un pretesto per parlare di chi ha lavorato contro le guerre nel mondo, a quarant'anni, peraltro, della fine della Guerra in Vietnam. E per parlare inevitabilmente di anticolonialismo e di antimperialismo, ovvero di sovranità nazionale, oltre che delle prospettive ecosocialiste del Venezuela chavista.
Un Venezuela che, assieme alla Cuba dei fratelli Castro, alla Bolivia di Morales ed al Nicaragua del sandinista Ortega, si è subito adoperato per una prospettiva umanitaria e proprio per questo, nel 2002, è stato destabilizzato da un colpo di Stato finanziato dagli USA e nel 2014, il governo del chavista Maduro ha subìto l'attacco da parte dell'opposizione di destra – sostenuta dai ricchi oligarchi – attraverso violente manifestazioni di piazza.

Il secondo capitolo de “El presidente de la paz” pone in parallelo la vicenda di Hugo Chavez con quella di Thomas Sankara, Presidente per soli quattro anni del Burkina Faso, assassinato nel 1987 a soli 38 anni nel corso di un colpo di Stato.
Anche Sankara, come Chavez, fu un sognatore con i piedi per terra, un lucido utopista, un rivoluzionario non a caso definito il “Che Guevara africano”, che avviò una serie di progetti di lotta ai privilegi ed agli sprechi e di sviluppo nazionale che permisero al Burkina Faso di essere indipendente economicamente e socialmente, senza per forza dover dipendere da organismi esterni, usurai ed oligarchici quali il Fondo Monetario Internazionale.

Dei progetti che permisero ai cittadini di avere due pasti al giorno, l'acqua, l'assistenza sanitaria gratuita, un programma di istruzione gratuita, di rimboschimento, di redistribuzione delle terre e di politiche in favore delle donne, contro l'infibulazione genitale femminile e la poligamia.
Progetti che richiamano il “Plan de la Patria 2013
– 2019” avviato da Hugo Chavez che, oltre a richiamare principi di collaborazione geopolitica fra i Paesi del Sud del Mondo in chiave antimilitarista, propone un progetto di autogestione delle imprese da parte dei lavoratori, le cosiddette comunas ed un progetto ecosocialista che vada oltre l'estrattivismo petrolifero e che punti allo sviluppo delle energie e delle risorse rinnovabili.

Ecco che, dunque, Marinella Correggia con il suo piccolo saggio - i cui proventi peraltro andranno all'opera dei Fratelli maristi, i quali gestiscono un ospedale ad Aleppo - in Siria - e varie attività sociali, assistenziali ed educative – ci ha aperto un mondo, misconosciuto ai più.
Il mondo dei poveri e dei diseredati. Degli abitanti delle periferie del mondo, dei socialisti del XXIesimo secolo, dei bolivariani, dei sandinisti, degli amici di Sankara. Di coloro i quali, sfruttati da secoli di colonialismo e di neo-colonialismo, hanno ricercato una loro via di liberazione che è ogni giorno messa a rischio dai Signori della guerra, dai signori del danaro. Dai tiranni senza cuore, ovvero senza amore, che si proclamano, a torto, difensori di una libertà e di una democrazia che non conoscono.

Luca Bagatin

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marcopa
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Il mondo si divide fra chi fa le guerre e chi le contrasta. Fra chi sfrutta i popoli impoveriti e chi costruisce alleanze paritarie. Fra chi cerca di mantenere l'iniquo disordine mondiale e chi disegna i lineamenti di una nuova realtà.

Hugo Chávez, presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela scomparso nel 2013 è stato capace, insieme ai paesi dell'Alleanza Alba, di portare avanti iniziative per la prevenzione dei conflitti, costruire relazioni internazionali emancipatrici e pacifiche ben al di là del continente sudamericano (con particolare attenzione all'Agrica), avviare la sperimentazione di un modello economico e culturale equo e sostenibile, di valenza planetaria.

Su questi aspetti poco conosciuti del presidente venezuelano si sofferma questo testo, la cui versione spagnola ha vinto il Pimo concorso letterario "El pensamiento y la obra de Hugo Chávez Frias", organizzato dall'associazione Tricontinental de las relaciones internacionales y de la solidariedad (Trisol) di Caracas.
Le proposte e le sperimentazioni di questo uomo politico geograficamente lontano ne fanno una figura di riferimento. Studiarlo è un esercizio non accademico ma di utilità operativa.

http://www.sankara.it/marinella.htm


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marcopa
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https://elpresidentedelapaz.wordpress.com/presentazione/

La presentazione del libro scritta da Marinella Correggia

<<Davanti a un testo mi faccio due domande: Che cos’ha di nuovo? E a che serve?»: così rifletté un giorno ad alta voce il presidente Thomas Sankara, guida rivoluzionaria del Burkina Faso, ucciso nel 1987 dopo soli quattro anni di governo.

E allora: si può dire qualcosa di nuovo, e di utile sul pensiero e sull’opera di un altro capo di Stato non come gli altri, Hugo Chávez, il presidente invicto del Venezuela scomparso il 5 marzo 2013? Si può, da un continente un po’ morto come Manuel Scorza definì l’Europa ne La danza immobile? C’è forse qualcosa che attivisti e lettori latinoamericani od occidentali, africani o asiatici non conoscono nei dettagli e dovrebbero sapere, sull’orgoglio della resistenza e sull’umiltà del servizio che Chávez offrì al Venezuela e al mondo?

Da fuori sarebbe ingenuo o presuntuoso provare ad analizzare l’operato di Chávez in Venezuela. È forse più utile un focus sul riverbero planetario dei suoi anni di politica ai massimi livelli, che fecero del Venezuela un riconosciuto faro del cambiamento; un lievito fecondo. Nella sua azione rivoluzionaria internazionale, alcuni macro-ambiti sembrano avere due caratteristiche: una grande rilevanza, e una relativa sottovalutazione da parte dei più: 1) il modello di prevenzione e soluzione dei conflitti, contro l’interventismo bellico con maschere umanitarie; 2) l’alleanza intercontinentale Sud-Sud; 3) la proposta di un cammino economico e culturale verso l’ecosocialismo. I tre capitoli che seguono sono dedicati a questi aspetti.

In primo luogo, il lavoro instancabile del defunto presidente bolivariano contro le guerre di aggressione – il più diabolico di tutti i mali – condotte via via da non troppo variabili coalizioni di paesi della Nato e del Golfo potrebbe apparire scontato, agli occhi di cittadini di paesi rivoluzionari e antimperialisti. Invece, per chi si impegna verso la pace vivendo in una provincia dell’impero, la coraggiosa opera di Chávez merita ricerche e approfondimenti, non solo in segno di gratitudine, e non solo perché per contrasto fa risaltare il ruolo funesto dei politici occidentali, ma anche perché potrebbe servire da modello di prevenzione dei conflitti. E diciamo «potrebbe», e non «avrebbe potuto», perché la politica estera del Venezuela fortunatamente non è cambiata dopo la morte del presidente Chávez.

In secondo luogo, hanno portata universale le alleanze Sud-Sud (tricontinentali) intessute dal presidente, e la sua visione di un blocco autonomo di pace e sviluppo autocentrato, per una liberazione congiunta. A partire dall’esperienza del più progressista dei blocchi esistenti, l’Alba (Alleanza bolivariana per i popoli di nostra America), e guardando in primo luogo a Madre Africa.

Infine, la proposta di un socialismo del XXI secolo dal volto ecologico nella più piccola delle comunas venezuelane fino ai cinque continenti, non ha superato ancora le contraddizioni dell’estrattivismo ma risponde a un’esortazione: non imitiamo l’Occidente, cambiamolo sganciandocene! Con un invito: sul petrolio e sulle altre materie prime fossili, anche se finalmente sono diventate – grazie alla forza trainante del presidente bolivariano – carburante per un’opera di giustizia solidale, si dovrebbe fare affidamento solo por ahora, per poco: pena il caos climatico e un oceano di distruzioni. Chávez insisteva sulla diversificazione egualitaria dell’economia, del lavoro e dell’organizzazione sociale e politica, che potrebbe costruire quell’ecosocialismo del XXI secolo in grado di offrirsi come modello a un mondo scriteriato.

Dunque, «non ci basterà l’eternità per pentirci se non riusciremo a generare un grande movimento planetario in appoggio alla rivoluzione venezuelana» (Fernando Buen Abad, dal Messico, in occasione della campagna elettorale di Chávez nel 2012).

Come dissidente in Occidente, poi, ritengo doveroso questo omaggio a un politico che ho considerato il «mio capo di Stato», soprattutto quando i nostrani bombardavano altri popoli, senza rischiare né missili né tribunali e in più con la fortuna di sentirsi buoni: perché si uccideva pretendendo di salvare, in una moderna versione di Torquemada e dell’Inquisizione. Superato con la Tempesta del deserto del 1991 lo spartiacque minimo fra civiltà e barbarie, quante guerre si sono accatastate sulla nostra coscienza. In ordine cronologico: guerre dirette in successione, Iraq, Serbia, Afghanistan, Iraq ancora, Libia; interventi per procura e destabilizzazioni in mezzo mondo. Milioni di morti e invalidi, paesi sbriciolati, creazione di mostri settari, montagne e oceani di sofferenze.

Per i cittadini di paesi che non bombardano a casa d’altri, l’opposizione alle guerre e alle destabilizzazioni imperialiste è quasi implicita. I popoli dell’Alba, poi, possono addirittura delegare le iniziative di pace ai rispettivi governi. Invece in Occidente quella parte della popolazione che rifiuta il maggiore dei crimini ha il preciso dovere di oppor-visi attivamente, pena la connivenza morale e il peccato di omissione. I cittadini del Nord globale hanno già fra i loro privilegi quello della pace: vivono sotto un cielo fortunato dal quale piove solo acqua; rombi e lampi sono tuoni e fulmini, o fuochi artificiali. Chi non è mai stato circondato da morti, bruciati, amputati, decapitati, chi non ha perso un occhio o la pelle o la testa od ogni bene, chi non ha visto il proprio paese sfaldarsi, chi non appartiene alla folta schiera di senzatetto di guerra o fuggitivi dalle bombe, dovrebbe sentire tutta la responsabilità di opporsi in ogni modo alle azioni belliche condotte dal proprio governo.

Ma con il 2011 e la guerra della Nato alla Libia, i pacifisti sono spariti dai radar europei e statunitensi. Che solitudine da queste parti, presidente!

C’è, in una valletta di collina, nel centro dell’Italia, un grande prugno selvatico che senza chiedere alcuna cura regala ogni anno molti frutti e ombra. Dal marzo 2013 è dedicato al presidente Hugo Chávez, insieme a ulivi, albicocchi e meli intitolati a persone che nella storia furono di aiuto al mondo.

Del resto gli alberi sono esseri naturalmente positivi, nutrici disinteressate del loro prossimo umano, animale e vegetale.

M.C.


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marcopa
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"El presidente de la paz (Il Presidente della Pace)" e l’Ecosocialismo di Marinella Correggia

El presidente de la paz

di Marinella Correggia

Il mondo si divide fra chi fa le guerre e chi le contrasta. Fra chi sfrutta i popoli impoveriti e chi costruisce alleanze paritarie. Fra chi cerca di mantenere l'iniquo disordine mondiale e chi disegna i lineamenti di una nuova realtà.

Hugo Chávez, presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela scomparso nel 2013 è stato capace, insieme ai paesi dell'Alleanza Alba, di portare avanti iniziative per la prevenzione dei conflitti, costruire relazioni internazionali emancipatrici e pacifiche ben al di là del continente sudamericano (con particolare attenzione all'Africa), avviare la sperimentazione di un modello economico e culturale equo e sostenibile, di valenza planetaria. Su questi aspetti poco conosciuti del presidente venezuelano si sofferma questo testo, la cui versione spagnola ha vinto il Pimo concorso letterario "El pensamiento y la obra de Hugo Chávez Frias", organizzato dall'associazione Tricontinental de las relaciones internacionales y de la solidariedad (Trisol) di Caracas.

Le proposte e le sperimentazioni di questo uomo politico geograficamente lontano ne fanno una figura di riferimento. Studiarlo è un esercizio non accademico ma di utilità operativa.

http://www.sankara.it/marinella.htm

POST FAZIONE

a cura dell' associazione Trisol

Il saggio preciso e appassionato di Marinella Correggia ha vinto il primo concorso letterario “El pensamiento y la obra socialista de Hugo Chàvez Frìas” organizzato nel 2014 dall' associazione tricontinental de la relaciones internacionales y de la solidariedad (Trisol) che ha sede a Caracas.

Nella relazione inevitabile e affascinante che si stabilisce con il testo El presidente de la paz. Hugo Chavez: resistenza all' imperialismo bellico, solidarietà internazionalista, cammino verso l' ecosocialismo, si coglie fra l'altro un fatto centrale: uno dei grandi risultati del presidente bolivariano consistette nella necessaria messa in discussione di leggi, azioni, insegnamenti, convinzioni che sembravano immutabili e fissi. In effetti la realtà è soggetta a contraddizioni (Karl Marx) e ai percorsi legati alla sua condizione. Questo ci invita indubbiamente a ripensare anche i più radicati tra i teoremi e le interpretazioni. Ci porta ad assumere la storia a partire da una prospettiva di totalità (Karl Kosik).

La riflessione che ci offre questo scritto si traduce in una necessaria ermeneutica intorno ai principi formulati dal presidente Hugo Chàvez Frìas. E' un modo per comprendere, e rendere visibili, lo spirito e gli ideali legati a una pratica rivoluzionaria ed emancipatrice.

In questo lavoro ci si imbatte in un modo peculiare di trattare i temi che furono motivo di preoccupazione e attenzione da parte del presidente Chàvez. Temi come la pace e le aggressioni patite da paesi ex colonie, le relazioni internazionali con il sud, in particolare con l'Africa, e il modo di trattare il paradigma socialista – come risposta alternativa a un modello di produzione in chiara crisi, e con la visione di un paese che compie grandi sforzi per arrivare alla cosiddetta semina del petrolio.

Al tempo stesso, è stato utile e opportuno trovare in questo scritto il riferimento alla “guerra alla guerra”: le potenze imperiali vedono nella conflagrazione bellica un modo per sostenere l' attuale ordine mondiale.

Ai conflitti armati si intrecciano le altre strategie e tattiche per l' appropriazione delle risorse naturali, della biodiversità e delle risorse energetiche in tutte le loro forme. E' una guerra intangibile e incommensurabile.

L' autrice analizza a partire da un altro sistema di pensiero i temi della pace e della guerra. E ne trae una dura critica della realtà geopolitica e geo-economica attuale.

Parlare di guerra nella prospettiva di Chàvez, significa riferirsi anche al potere economico, politico, finanziario, militare e mediatico. Chàvez pensa alla pace come all' unico modo per garantire il rispetto e la continuazione della vita dell' umanità , delle generazioni attuali e di quelle future. Pertanto, riferirsi alla pace come a un diritto inalienabile obbliga a ripensare alle strutture di potere costruite con il fermo proposito di garantire il cosiddetto establishment . Le aggressioni possono essere quelle delle bombe e dei missili, dei carrarmati e dei cannoni – come nel caso degli ingiusti e irrazionali interventi militari condotti in Iraq, Afghanistan e Libia – o possono dispiegarsi mediante altre tattiche: colpi di Stato, destabilizzazioni, guerre per procura e altri mezzi il cui fine ultimo è garantire lo status quo.

Sperimentiamo peraltro, in particolare in Venezuela, un tipico conflitto di quarta generazione, con il sostegno dei mezzi di informazione di massa i quali cercano di riposizionare nell’ immaginario collettivo quella che è di fatto una “rivoluzione dei ricchi”, concetto che dal punto di vista del senso e del significato della lotta per l’ emancipazione è surreale: visto che i ricchi non fanno rivoluzioni.

E allora. Da cosa parte questa forma peculiare di vedere, nel secolo XXI, i problemi causati dell’ impero, particolarmente in America latina e Venezuela ? In primo luogo, si tratta di riferirsi al sistema di pensiero e azione del presidente Chàvez, che ha permesso di decostruire realtà che parevano statiche per costruire nuovi concetti, categorie, spiegazioni. Siamo usciti dalla chiusura e dall’oscurantismo dove ci trovavamo e dove c’era spazio solo per il pensiero unico.

L’autrice analizza anche il collegamento fra il continente latinoamericano e quello africano, emblematicamente rappresentati da Chàvez e Thomas Sankara, due sognatori con i piedi per terra, fra i tanti paralleli, ricorda che Burkina Faso significa paese degli integri, paese dei degni, categorie che il presidente venezuelano ispirò al suo popolo: la dignità è ora assunta dai tanti che la storia aveva reso invisibili e ai quali aveva negato qualunque intervento da parte dello Stato. Oltre alle caratteristiche dei due uomimi che sfidarono il potere nella sua versione tradizionale, è interessante in particolare individuare i fattori comuni nell’ ispirazione ad uno sviluppo autonomo, partecipativo ed egualitario. Uno sviluppo che non obbedisce ai piani degli organismi finanziari internazionali. Uno sviluppo diverso da quello convenzionale.

Un altro elemento in comune fra i due presidenti è l’aspirazione a una società senza privilegi né oppressi. In Burkina Faso, paese impoverito all’ estremo, negli anni ’80 si assistette all’ impegno determinato per liberarsi dal giogo dei fattori di oppressione. Pochi anni separano la lotta di Sankara dalla comparsa visibile e pubblica – per non dire mediatica – di Hugo Chavez.

Una delle ragioni per le quali il presidente venezuelano stabilì un ponte nelle relazioni Sud-Sud fu il rafforzamento del Sud come paradigma: dar voce e presenza al Sud, dar potere al Sud come categoria e come prassi, forma di relazionarsi, vincolo fra simili che condividono comuni radici e rifiutano di legittimare un ordine unipolare, obsoleto. L’ America del Sud e l’ Africa devono formare una potenza, perché la loro unione, come diceva Simon Bolivar, contribuirà a creare l’ equilibrio del mondo. Così, il testo sottolinea una relazione Sud-Sud che nel passato era quasi inesistente, tanto brave erano state le potenze a dividere e frammentare…per annullare le possibilità di un’ integraz
ione fuori dal loro controllo.

Infine, l’ autrice sviluppa, a partire dai teorici dell’ ecosocialismo, una critica al modello capitalista il quale continua a ignorare i limiti imposti dalla natura. Il caso più emblematico nell’ attualità è il fenomeno del fracking (fatturazione idraulica per l’ estrazione di idrocarburi dalle rocce) negli Stati Uniti.

L’ ecosocialismo è agli antipodi della visione capitalista di produrre, consumare e assumere i rapporti di produzione, con i rapporti sociali attraversati da un modello che reifica l’ essere umano fino a ridurlo a merce. Una corrente teorica – l’economia ecologica – ha contribuito a smascherare la pretesa dell’ economia dominante di considerare natura ed essere umano come capitale. Per questa ragione l’ecosocialismo si è articolato con il vivir bien o buen vivir.

Risulta quindi molto opportuna la riflessione” Finché si continua ad estrarre dalla viscere della Terra tutto il petrolio possibile e anche di più, ci sarà mai un vero cambiamento del modello mondiale?” E' certo che quanto a impronta ecologica sul pianeta, esiste una responsabilità massima da parte dei paesi mal definiti del primo mondo, e una responsabilità minore da parte dei paesi mal definiti sottosviluppati o in via di sviluppo. Ma chi paga per le colpe ? La risposta è ovvia.

Il testo ci offre alcune indicazioni per analizzare il problema. L' allusione al piano Siembra petrolera non è casuale. Ricordiamo che nel 1936 l' espressione “seminare il petrolio” fu coniata dallo scrittore Arturo Uslar Pietri. Egli sosteneva la necessità di orientare la rendita petrolifera verso il settore non estrattivo dell' economia nazionale, mirando allo sviluppo integrale del paese. Si eviterebbe così quello che alcuni economisti hanno chiamato il morbo olandese, che si verifica quando un settore aumenta in modo sostanziale i suoi proventi ma questo penalizza gli altri settori dell' economia di un determinato paese.

Trisol invita a utilizzare questo saggio che contiene una serie di contributi essenziali per comprendere il pensiero e l' opera del presidente Hugo Rafael Chàvez Frìas.


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