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Tutta una vita con Céline


Tao
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Tutta una vita con Céline: il viaggio di Lucette al termine della notte

Pubblichiamo una recensione di Matteo Nucci, uscita su «il Venerdì di Repubblica», su «Céline segreto» di Lucette Destouches e Véronique Robert (Lantana).

Lucette Almanzor aveva ventiquattro anni quando conobbe Louis Ferdinand Destouches, un seduttore da cui le amiche ballerine dell’Opéra tentarono invano di metterla in guardia. Era il 1936, e nella Parigi del Fronte Popolare, Destouches combatteva già battaglie solitarie e sprezzanti sotto il nome con cui sarebbe rimasto celebre: Céline. Aveva quarantadue anni, era ossessionato dalle ballerine ma detestava quelle che gli si concedevano troppo in fretta. Lucette aspettó un mese, nonostante l’attrazione fisica fortissima, e lo scrittore la ripagó con una promessa: “È con te che voglio finire la mia vita. Ti ho scelta per raccogliere la mia anima dopo la morte”. Lucette avrebbe rispettato il patto.

Dal 1961 quando Céline morí, ha vissuto fino a oggi, a cent’anni, per difendere la memoria e l’anima del suo grande amore. Per il resto, soltanto corsi di danza per mantenere quell’indipendenza che le ha dato la possibilità di non cercare soldi alle spalle dello scrittore, mettendone in pericolo l’opera. Tra le sue allieve e amiche, dunque, a una sola è stato concesso di raccogliere le memorie che escono oggi in Italia. Céline segreto, di Lucette Destouches e Véronique Robert (Lantana, pp. 141, euro 14,50) è come un viaggio che in perfetto stile celiniano corre alla sorgente dell’emozione e ci racconta così anche un po’ di storia. La storia, in questo caso, è abbastanza nota. Il governo collaborazionista, la fuga attraverso la Germania in fiamme, Copenaghen, il carcere, il ritorno in patria e la vita da reietti alla periferia di Parigi, i cani, i gatti, le tartarughe e un pappagallo, la nuova notorietà, l’assalto dei giornalisti e la morte.

Venticinque anni di fughe, case, amicizie mai nate, e una fedeltà che supera ogni ostacolo e che non deve mai apparire tale. Con Céline infatti è vietato parlare di sentimenti, e la tenerezza dell’uomo non deve mai essere svelata. Su tutto vince un rigore sotterraneo che finisce per annichilire qualsiasi meschinità. Del resto, di meschinità ne incontriamo parecchie. E su tutte svetta l’immagine di Sartre che, durante l’occupazione nazista, chiede a Céline di intercedere perché venga messa in scena la sua pièce Le mosche. “Ma Louis non era al soldo di nessuno, intransigente con tutti, incapace di patteggiare con chicchessia, sempre solo contro tutti”. Nessuna concessione alla ricchezza o ai favoritismi degli ammiratori – negli ultimi anni, secondo Lucette, lo scrittore era già morto, ucciso dalle torture psicologiche dei mesi di carcere danese. Non si faceva pagare da chi curava, metteva su la maschera del mostro per deridere chi cercava in lui il mostro, spingeva Lucette a lavorare perché si curava della sua indipendenza, ripetendole “quando non si ha denaro, non si ha diritto di aprire bocca”. In realtà pensava solo a finire Rigodon e il giorno dopo aver scritto l’ultima parola morí.

Quanto a lei, il seguito è stato salvarlo dai nemici, impedendo per esempio la ripubblicazione dei famosi libelli antisemiti “esistiti in un certo contesto storico” e che oggi potrebbero “esercitare un potere malefico” del tutto estraneo alla volontà dell’autore che ripeté sempre di averli scritti per evitare la guerra. Ma qualsiasi discussione qui sarebbe inutile. Vale soltanto una perfetta definizione che Lucette offre del marito di passaggio, quasi senza accorgersene, quando mormora: “nessuno poteva afferrarlo, era uno spirito, era come l’acqua”.

Matteo Nucci
Fonte: www.minimamoralia.it
Link: http://www.minimaetmoralia.it/?p=8815
2.08.2012


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