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«Tripoli l'abbiamo presa noi berberi»


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Libia A Tripoli gli insorti controllano ormai quasi tutta la città. Ma la situazione è drammatica, mancano acqua, luce, cibo, medicinali
Fra i montanari dello Jebel Nefusa che hanno deciso le sorti della guerra. «Grazie Nato. Grazie Francia. Grazie Sarkozy»

YEFREN.«Grazie Nato. Grazie Francia. Grazie Sarkozy». Le scritte accolgono fin dall'ingresso i visitatori a Yefren, paesino abbarbicato sui rilievi dello Jebel Nafusa, il massiccio montuoso abitato dalle popolazioni berbere della Libia. Siamo a meno di 150 chilometri da Tripoli, nel cuore di quella ribellione occidentale che ha impresso un'accelerazione agli eventi e ha facilitato l'entrata fulminea nella capitale dei "giovani rivoluzionari", spezzando la resistenza dei lealisti prima sulla città costiera di Zawiya, poi nel giro di poche ore dei quartieri occidentali di Tripoli.

I combattenti di queste montagne rosse e brulle hanno resistito per mesi al martellante assedio delle truppe di Gheddafi. Meno nota di quella della Cirenaica, la rivolta dello Jebel Nafusa è scoppiata negli stessi giorni di febbraio. Le popolazioni berbere di Nalut, Juda, Yefren e di gran parte degli altri paesi della zona si sono rivoltate contro il regime, hanno cacciato i lealisti e difeso le proprie posizioni con molti meno mezzi e uomini di quanti ne disponessero i ribelli dell'est. Poi, soprattutto dopo aver conquistato il confine tunisino di Dahiba e quindi la possibilità di approvvigionarsi in armi, hanno cominciato pian piano a guadagnare posizioni. Poco prima della metà di agosto, sono scesi a valle e hanno lanciato l'assalto finale a Tripoli.

Quanto questa manovra sia stata facilitata da consulenti militari occidentali sul terreno di cui ormai la Nato ha ammesso la presenza, non è dato sapere. Quel che è certo, e che tutti riconoscono, è che senza l'ausilio degli aerei Nato nulla sarebbe potuto accadere. Gheddafi sarebbe ancora in controllo di Tripoli e loro sarebbero ancora in montagna a difendersi dagli assalti delle truppe lealiste. L'intervento degli aerei dell'Alleanza atlantica è considerato provvidenziale da chiunque da queste parti. "Negli anni scorsi, quando vedevo le operazioni occidentali in Iraq e in Afghanistan, non ero affatto contento. Non mi sembrava giusto", riconosce Mohammed Abudeya, un 35enne sostenitore della "rivoluzione del 17 febbraio" catturato dai soldati dopo le prime manifestazioni di febbraio, che ha trascorso cinque mesi in carcere a Tripoli ed è appena stato liberato. "Ora - aggiunge con un sorriso - ho cambiato idea. Se la Nato ci avesse abbandonato a noi stessi e non fosse intervenuta, si sarebbe macchiata di un crimine e avrebbe creato una generazione di giovani arrabbiati contro l'Occidente". Mohammed non vuole sentire parlare di interessi occulti meno nobili, di petrolio, di commercio, di lotta per le ricche risorse del paese. "E' stata un'operazione dettata dalla buona coscienza, non ho dubbi", taglia corto.

Anche se lui non è un combattente, la piccola casa in cui ci accoglie è piena di munizioni esplose, foto di bombardamenti, cimeli vari di guerra. Sul muro campeggia una mappa con scritto "Thank you", che mostra la bandiera libica al centro e sui lati tutti i paesi che hanno condotto l'operazione militare, dalla Francia agli Stati uniti, dalla Gran Bretagna al Canada. C'è anche l'Italia. Per la rottura serale del digiuno del ramadan, l'abitazione è un via vai di giovani, che si presentano, salutano, si scambiano informazioni sugli ultimi accadimenti nella capitale. Alcuni di loro sono combattenti appena tornati da Tripoli. "Facciamo turni di due-tre giorni. Ci diamo il cambio", racconta Ahmed, un ragazzo dall'aria stanca, i capelli arruffati e la barba incolta. "Noi non partecipamo direttamente agli scontri all'interno di Tripoli, perché non conosciamo la città. Siamo entrati e abbiamo dato le armi ai tripolini. Noi ci limitiamo a rimanere intorno alla città. Ma un dato comunque è certo: siamo stati noi a entrare nella capitale, siamo stati noi a liberarla".

L'affermazione è indiscutibile ed è un segnale del peso che senza ombra di dubbio i ribelli berberi del Nafusa cercheranno di conquistarsi nel futuro della Libia post-Gheddafi. Trascurati per 42 anni dal regime, tenuti ai margini della società, i combattenti delle montagne occidentali aspirano ad avere un altro spazio nel paese di domani, affermando anche quell'identità che finora non hanno mai potuto esprimere. La cosa appare chiara attraversando i paesi della montagna: dappertutto, accanto alle bandiere rosse-verde-nere della rivoluzione, ci sono quelle azzurro-verde-gialle berbere. Le scritte sui muri non sono solo in arabo, ma anche in tamazigh, la lingua berbera. "Ci è sempre stato impedito di parlarla. A scuola si parla arabo. Nella Libia di domani, ci dovrà essere spazio per diverse lingue", aggiunge Najib Sherwi, un signore di 65 anni che lavora come ingegnere per una compagnia petrolifera,venuto da Tripoli per reincontrare la famiglia, che non vede da più di tre mesi. "Siamo un solo paese con diverse lingue e diverse identità. Dobbiamo convivere in pace ora che siamo riusciti tutti insieme a liberarci del dittatore", aggiunge. Ma gli equilibri della Libia di domani sono ancora tutti da definire. Per il momento, la priorità è un'altra: ripulire definitivamente Tripoli dalle ultime sacche di resistenza lealista e far ripartire la vita in città. "Per la fine del Ramadan, fra tre giorni, avremo finito, ne sono sicuro", afferma sicuro di sé il combattente Ahmed. "L'Aid al Fitr lo festeggeremo tutti insieme tranquillamente nella capitale".

Stefano Liberti
Fonte: www.ilmanifesto.it
28.08.2011


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Tonguessy
Membro
Registrato: 2 anni fa
Post: 2779
 

"Negli anni scorsi, quando vedevo le operazioni occidentali in Iraq e in Afghanistan, non ero affatto contento. Non mi sembrava giusto", riconosce Mohammed Abudeya... "Ora - aggiunge con un sorriso - ho cambiato idea".

Ah, ecco. Finalmente saltano fuori le ragioni retroattive per cui l'invasione dell'Iraq e dell'Afganistan erano giuste. Grazie Mohammed. Nome tipicamente berbero, vero?


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dana74
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 14348
 

"Ci è sempre stato impedito di parlarla. A scuola si parla arabo. Nella Libia di domani, ci dovrà essere spazio per diverse lingue",

da domani ne avrete un'altra di lingua, tutti l'inglese la lingua del colonizzatore
Italia docet


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MicheleMorini
Eminent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 41
 

"Ci è sempre stato impedito di parlarla. A scuola si parla arabo. Nella Libia di domani, ci dovrà essere spazio per diverse lingue",

da domani ne avrete un'altra di lingua, tutti l'inglese la lingua del colonizzatore
Italia docet

Credo che il berbero sarà ancora piu bandito dai nuovi padroni della Libia.... finisce come in Egitto!!


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