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A mani nude contro gli insediamenti, sfidando i bulldozeri


Tao
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«A mani nude contro gli insediamenti, sfidando i bulldozer israeliani»

RAMALLAH Mazin Qumsiyeh, docente all'Università di Birzeit, esponente di spicco dei comitati popolari contro il muro dell'apartheid

Secondo le prime ricostruzioni dei militari, la morte della 34enne Jawaher Abu Rahmah non è stata causata dai loro lacrimogeni, perché la donna palestinese a quella manifestazione non avrebbe preso parte. «L'esercito più morale del mondo», come amano definirsi le Forze di difesa israeliane, ha anche sollevato sospetti sul referto del decesso, che sarebbe stato spedito dai medici palestinesi con un insolito ritardo.

Di questa vittima dimenticata, caduta il 31 dicembre scorso nel villaggio di Bilin durante il corteo del venerdì contro il muro dell'apartheid e delle prospettive del movimento abbiamo parlato con Mazin Qumsiyeh, docente all'Università di Birzeit (Ramallah), autore di «Popular resistance in Palestine. A history of hope and empowerment», qualche giorno fa in Italia per raccontare l'esperienza dei comitati popolari, di cui è esponente di spicco.
Qual è la vostra versione sulla morte di Jawaher?

Conoscevo lei e la sua famiglia. Il giorno in cui è morta e davanti a casa sua, vicino al corteo. Tra quelli sparati dall'esercito israeliano ci sono i lacrimogeni «CS», proibiti in Gran Bretagna per gli effetti letali che possono avere sulla salute umana. Se una persona ha un organismo indebolito, ad esempio da una malattia, questi gas possono uccidere. Jawaher è peggiorata e nel giro di 24 ore è morta. L'impiego massiccio di «CS» non ha fatto arretrare la resistenza nonviolenta, che ormai coinvolge una trentina di villaggi in Cisgiordania.

Negli ultimi mesi l'Autorità palestinese (Anp), anche con la partecipazione del «premier» Fayyad ai cortei, sta mostrando interesse per la vostra lotta. Quali sono i vostri rapporti col «governo palestinese»?
L'Anp ha istituito un Ministero per il muro e gli insediamenti. Vogliono controllare la rabbia popolare, un'idea che - fin dal 1929, quando lo sceicco Husseini provò a ricondurre la rivolta di massa sotto il suo ombrello politico - ricorre nella nostra storia. L'Anp ha iniziato a stipendiare alcuni abitanti (di diverse affiliazioni politiche) dei villaggi impegnati nei comitati, una pratica deleteria, perché può creare delle divisioni all'interno di una lotta che finora è stata unitaria. «Perché quello è pagato?» iniziano a chiedersi alcuni attivisti.
Nonostante avvenimenti tragici e sviluppi negativi, il suo è un libro ottimista. Perché?

Tutte le nostre rivolte hanno prodotto dei risultati. Ogni ribellione ha anzitutto mantenuto viva la speranza di migliorare le nostre condizioni di vita, rimanendo sulla nostra terra: il sogno sionista di un Israele etnicamente puro dal Mediterraneo al Giordano è tramontato. La pressione esercitata con le manifestazioni ha ottenuto, a Bilin e Jayyus, che il muro fosse spostato meno all'interno della nostra terra. A Walaja siamo riusciti a fermare i bulldozer israeliani per mesi. Stiamo facendo aumentare il prezzo dell'impresa-muro: da due miliardi di dollari previsti da Israele, a oltre il doppio. E non se ne vede la fine: la barriera è completata solo al 70% e la nostra battaglia su più livelli - legale con le petizioni alla Corte suprema, «illegale» con i cortei per rompere la barriera, e dell'opinione pubblica internazionale - sta facendo lievitare tempi e costi del simbolo dell'apartheid israeliana.

Michelangelo Ciocco
Fonte: www.ilmanifesto.it
21.01.2011


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